249 - 20.03.04


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L'integrazione arriva col diritto di voto
Gianfranco Fini


Il testo che segue ² l'intervento che il Vice Presidente del Consiglio Gianfranco Fini ha tenuto venerdÒ 5 marzo '04 all'incontro organizzato dalla rivista "Reset" e dal Goethe-Institut di Roma, dal titolo "L'immigrazione musulmana in Europa. La politica di fronte al bivio tra integrazione e ghetto".

Il processo di globalizzazione che la nostra societö sta attraversando ² accompagnato da un fenomeno parallelo e al contempo opposto: la forte riaffermazione, di specifiche identitö culturali, religiose, etniche e linguistiche; una tendenza, questa, che pu÷ trovare espressioni radicali, quali il fondamentalismo religioso, il separatismo etnico, la localizzazione e la frammentazione dell'esperienza politica, dando forma a una realtö in cui la cultura islamica vede crescere al suo interno nuove forme di radicalismo.

Non dobbiamo commettere per÷ l'errore di confondere l'islam con l'islamismo. L'islam ² una religione, una civiltö e un sistema culturale che, come tale, pu÷ essere, anche a costo di non pochi sforzi e difficoltö, integrato nell'identitö europea. L'islamismo, di cui attualmente l'organizzazione Al Qaeda ² il "prototipo" e l' "alfiere" nel mondo, ² al contrario, un'ideologia politica, sinonimo di fondamentalismo religioso all'interno della societö islamica, assolutamente in opposizione a qualsiasi tipo di integrazione, e che, di fronte alle trasformazioni della modernitö, alimenta un nuovo terrorismo che dopo l'11 settembre sta evolvendo sul piano geopolitico e costituisce una sfida grave per la civiltö occidentale.

L'integrazione arriva col diritto di voto
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Nel libro Euro-Islam. L'integrazione mancata (Marsilio - I libri di Reset), Bassam Tibi invita a questo proposito l'Occidente ad aprire gli occhi e a perseguire politiche sistematiche d'integrazione che possano portare a una fruttuosa condivisione di valori con gli immigrati. Passa quindi dall'Europa, secondo l'autore, la speranza di un incontro positivo tra l'islam e la cultura occidentale.
I musulmani costituiscono, dal punto di vista statistico, la comunitö pið grande fra gli immigrati in Europa, pari a 17 milioni di persone nel 2003 che, secondo alcune previsioni, dovrebbero raggiungere i 30 milioni nel 2025. Tra 30 anni, quindi, dovrebbero essere presenti nell'Unione Europea circa 40 milioni di immigrati mussulmani. Sebbene non si nasconda come dal punto di vista dell'integrazione, quella islamica rappresenti indubbiamente una delle comunitö pið difficili da integrare sia per motivi culturali che religiosi, Bassam Tibi cerca di offrire argomenti per sostenere che, a certe condizioni, tali collettivitö possano diventare "parte" dell'Europa. Ma, egli si chiede, gli europei vogliono e sono in grado di fare degli immigrati musulmani dei veri e propri "cittadini europei"?

Tibi parla giustamente di una "cecitö europea" (che descrive come un "atteggiamento comodo" tra tolleranza e indifferenza) che crea problemi di integrazione e favorisce l'emarginazione della cultura islamica. A questo comportamento da parte degli europei corrisponde naturalmente e quasi automaticamente anche la mancata volontö di integrazione (con relativa propaganda in tal senso) da parte dei leader e dei gruppi islamisti. Ci÷ facilita la formazione e lo sviluppo di societö parallele. Anche per questo l'immigrazione islamica in Europa ha finora dato origine a comunitö emarginate altamente conflittuali.

La lettura delle pagine di Bassam Tibi ci spinge in sostanza a chiederci quali possano essere, di fronte all'Islam, per l'Italia e per l'Europa le linee di una politica attiva e ispirata da una cultura-guida, ma in prima battuta molti pensano di risolvere il problema affermando che tutti i processi di integrazione politica e culturale devono necessariamente essere ancorati al principio di reciprocitö. In altri termini, spesso si sostiene che l'Europa, di fronte al processo di forte immigrazione dai Paesi arabi, debba richiedere che pari diritti e pari doveri siano richiesti e concessi sia da parte dei Paesi di accoglienza che di quelli di provenienza.

Per quanto la reciprocitö possa e debba essere richiesta, ² tuttavia illusorio vedere in questo principio la chiave di soluzione del problema. Tale prospettiva mi sembra infatti non solo inapplicabile, ma anche ingiusta nei confronti di tanti cittadini non europei che vedono proprio nel nostro Continente un esempio e un baluardo della tutela e della promozione dei diritti della persona umana. Mi sembrerebbe ingeneroso applicare a questi individui il "marchio" di provenienza da Paesi che non si uniformano ai principii dello stato di diritto e, per questo solo motivo, considerarli cittadini di seconda categoria, non degni di godere delle garanzie giuridiche previste dal nostro sistema. Chi emigra ² spesso vittima (e non responsabile) delle violazioni del diritto e lascia il Paese di origine proprio alla ricerca di migliori garanzie di libertö oltre che di migliori possibilitö di benessere.

Si ² sostenuto da pið parti come, di fronte a un mondo occidentale intimidito dai fondamentalismi, le nazioni europee dovrebbero dare un segnale forte in difesa dei propri valori ed in particolare del principio di laicitö. In questa direzione ² stata recentemente approvata dal Parlamento francese, la una legge che vieta i simboli religiosi nelle scuole, il cui primo "bersaglio" ² costituito dal velo delle allieve musulmane. Certamente la laicitö, intesa come distinzione fra religione e realtö secolari, quindi fra religione e politica, ² un valore fondante della cultura occidentale, che trova peraltro le sue radici nello stesso cristianesimo si pensi ai testi in cui ² scritto: "Date a Cesare quello che ² di Cesare, e a Dio quello che ² di Dio".

Non si devono tuttavia mai confondere la laicitö, che ² distinzione fra politica e religione, e il laicismo, che ² separazione ostile ed aggressiva della politica dalla religione, pretesa di impedire ai credenti di manifestare la loro fede sia in pubblico sia nella vita della societö. Chi si ² rallegrato, specie negli Stati Uniti, per una legge che separa la Francia dai paesi arabi e la "costringe" a rientrare nel campo occidentale, forse dimentica che in quei paesi la Francia esporta laicismo, mentre gli americani cercano di esportare laicitö. A Parigi le giovani musulmane il pið delle volte scelgono il velo come affermazione identitaria (e politica), spesso in contrasto con le loro famiglie. La legge francese, ² lo studioso Farhad Khosrokhavar ad affermarlo, "non soltanto rischia di alienare una parte delle comunitö musulmane ma anche di indurire, o peggio radicalizzare, dei musulmani che sarebbero potenzialmente moderati" finendo cosÒ per rivelarsi "una vera benedizione per l'islamismo radicale". Va comunque sempre tenuto presente che il modello francese di laicitö ² peraltro estraneo alla storia e all'ethos italiano: l'Italia non ha una religione civile condivisa e, se ce l'ha, questa va rintracciata nell'uso "civile" del cattolicesimo.

All'estremo opposto rispetto alla legislazione francese c'² il cosiddetto modello multiculturalista, sviluppato in Gran Bretagna e ripreso in Scandinavia, secondo il quale ciascuna identitö etnica o religiosa ² riconosciuta come tale, e quindi ammessa a gestire e a rappresentare in autonomia sulla scena pubblica le sue esigenze, anche in aperta competizione con altre identitö. Dopo dopo l'11 settembre, il modello "pluralista" britannico ² stato, giustamente a mio avviso, giudicato troppo permissivo e lassista nei confronti delle attivitö di ultra-fondamentalisti, pið o meno vicini a Bin Laden, lasciati totalmente liberi di sviluppare la loro propaganda a livello mondiale standosene comodamente a Londra o meglio, per usare un'espressione usata ad indicare tale situazione, nel Londonistan.

Per confrontare i due modelli e facilitare l'integrazione dei mussulmani nella nuova "casa comune europea", occorre certamente tenere presenti le diverse legislazioni che regolano la complessa realtö migratoria dell'Unione, ma occorre anche applicare con "flessibilitö" il concetto occidentale della laicitö. Ci si pu÷ chiedere a questo punto se esiste un modello italiano, una "via italiana" all'immigrazione, e in particolare ai rapporti con l'Islam. Bisogna premettere a questo proposito come l'esempio italiano delle Intese con lo Stato, che ha risolto benissimo i problemi di altre minoranze religiose, ² in pratica difficilmente applicabile ai musulmani. Le Intese, infatti, vanno firmate con qualcuno, e l'islam non ² una Chiesa n³ una confessione e non ha leader da tutti riconosciuto.

In Italia l'unico possibile "patto con l'islam" ² un progetto che aggiri l'ostacolo rappresentato dalle associazioni islamiche e, senza escludere la nascita di nuovi soggetti associativi o la lenta evoluzione di quelli esistenti, proponga attraverso l'azione politica, un'offerta di integrazione diretta anzitutto ai singoli musulmani. E' in questa prospettiva che si inserisce il diritto di voto amministrativo per gli immigrati, come previsto dal disegno di legge da me proposto.
Questa proposta, che si inserisce nel quadro di una politica di saggia e prudente accoglienza e integrazione degli immigrati ² per me la naturale evoluzione della legge sull'immigrazione attualmente vigente in Italia e deve essere accompagnata da rigorose misure, preventive e cautelari, in sintonia con le direttive dell'Onu in materia. Ad esempio: certamente il divieto d'ingresso e permanenza degli immigrati che hanno precedenti penali nei loro Paesi, l'espulsione immediata di quei sedicenti rifugiati che in realtö sono agenti politici di organizzazioni eversive, violente o paraterroristiche ma anche, l'esclusione di ogni forma di riconoscimento, legalizzazione o integrazione di usanze o norme giuridiche di carattere barbarico o tribale (come l'infibulazione), la proibizione di ogni propaganda o incitamento alla rivolta etnica o religiosa contro il Paese ospitante, e soprattutto la promozione di politiche di aiuto internazionale ai Paesi di provenienza, privilegiando a quelli che abbiano dimostrato una concreta collaborazione nel controllo dei flussi migratori.

Su questa via, un'importante opportunitö ² costituita dal Protocollo di Palermo contro il traffico illegale di migranti entrato in vigore alla fine del gennaio scorso. Si tratta, come noto, del documento aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, svoltasi poco pið di tre anni fa nel capoluogo siciliano. E' un Protocollo importante perch³ mette l'accento sulla necessitö di garantire ai migranti un trattamento umano e invita ad adottare un approccio globale e internazionale contro il traffico illegale di migranti, con misure socio-economiche che agiscano sulle cause all'origine delle migrazioni.

A fronte delle interessanti direttive-guida del Protocollo internazionale, va per÷ evidenziato il progressivo deteriorarsi delle politiche migratorie nell'ambito dell'Unione Europea, dove sembra prevalere un'idea dell'immigrato come potenziale disturbo e pericolo per i nostri Paesi, con conseguenti politiche prevalentemente restrittive e repressive.
Di fronte alle grandi masse di immigrati, in continuo aumento nell'area comunitaria, sarebbe invece opportuno che le Istituzioni europee, dessero vita accanto alle misure restrittive, a interventi concreti per lo sviluppo dei Paesi di maggior pressione migratoria, per l'introduzione da parte di tutti i Paesi europei di quote annuali d'ingresso regolare e soprattutto nei, singoli Stati membri - della Convenzione Onu per la tutela dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie del 18 dicembre 1990.

La vocazione dell'Italia ² sempre stata quella di essere "ponte" tra Oriente ed Occidente e una grande ricchezza del nostro Paese ² stata, nella storia, il suo universalismo, cio² la sua capacitö di integrare e metabolizzare culture e tradizioni diverse, senza per questo perdere la propria identitö. Va ricordato infatti che se lo Stato nazionale italiano nasce nel 1861, l'identitö nazionale italiana ² pið che millenaria e si ² mantenuta nei secoli proprio attraverso il confronto e l'osmosi con culture diverse. In questo senso sono convinto che il principale livello d'intervento, quello pið difficile e lento, ma anche pið sicuro e fruttuoso, ² quello culturale. Per risolvere i problemi che abbiamo di fronte ² necessario ma non sufficiente concedere il diritto di voto amministrativo, permettere l'esercizio della libertö religiosa, diritto del resto previsto dalla nostra Costituzione.
Si potrö garantire alle comunitö immigrate una "autonomia culturale" che permetta loro di coltivare e gestire (al proprio interno) la lingua, la cultura, le usanze e perfino certe istituzioni dei paesi di origini e fatte ovviamente salve le esigenze giuridiche del nostro ordinamento e i diritti individuali delle persone. D'altra parte, mi sembra per÷ necessario e indispensabile promuovere un insegnamento scolastico obbligatorio di educazione civica per i figli e nipoti degl'immigrati islamici, in modo ch'essi apprendano e assimilino la cultura, lo spirito civico e la legislazione del nostro Paese. In tal modo si potrö sviluppare un proficuo confronto tra la cultura islamica e quella italiana ed europea attorno a quei concetti-chiave (come "natura", "ragione", "persona") che hanno permesso lo sviluppo culturale e civile dell'Occidente.

Un dialogo, questo, che dovrö essere costantemente accompagnato da iniziative in favore dei pið deboli e bisognosi, per dimostrare in concreto, "sul campo" l'importanza e l'utilitö del principio "personalistico", ossia di tutela della persona umana nella civiltö europea. Si tratta in ultima analisi di comprendere e far comprendere come la vera identitö degl'immigrati non ² necessariamente in contrasto con la cultura e la civiltö europee, in quanto l'Europa non impone un vero e proprio modello culturale ma un orientamento che permette alle varie culture di svilupparsi pienamente e liberamente, in armonico dialogo con la nostra tradizione etica e giuridica.
In estrema sintesi una via europea al rapporto con l'Islam nel XXI secolo.

 

 

 

 

 

 

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