249 - 20.03.04


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Bossi-Fini, tra rottura e continuità
Mauro Buonocore


11 luglio 2002. Il Senato dà il via libera definitivo alla Bossi-Fini, ovvero, diventano legge le idee del centro-destra per regolamentare l’immigrazione e la condizione degli stranieri in Italia. La discussione alle Camere è stata preceduta da lunghe e accese discussioni tra le parti politiche e all’interno della stessa maggioranza, e ancora oggi la legge – a più di un anno dalla sua entrata in vigore – continua a suscitare divergenze e dibattiti. Ma perché tante parole? In che cosa questa legge è così diversa dalla Turco-Napolitano, promossa dai più recenti governi di centro-sinistra? Quali sono, in altre parole, gli argomenti, le prese di posizione, le definizioni, le novità introdotte che tanto hanno animato il dibattito del’opinione pubblica italiana e che cambiano così radicalmente la realtà rispetto alla Turco-Napolitano? Uno sguardo ai punti-chiave della nuova legge ci aiuterà a mettere in evidenza rotture e continuità con il passato, ci aiuterà a capire nel dettaglio dove sono i cambiamenti più significativi e dove invece la situazione è rimasta più o meno la stessa.

La nuova legge abbassa a due anni (rispetto ai tre stabiliti dalla Turco-Napolitano) il periodo di validità del permesso di soggiorno che viene concesso soltanto agli stranieri in possesso di regolare contratto di lavoro. Dopo cinque anni (contro i sei previsti dalla legge precedente) di regolare soggiorno in Italia, lo straniero ha diritto alla carta di soggiorno, un permesso che non ha bisogno di ulteriori rinnovi salvo casi eccezionali come i cambi di residenza, dei dati del passaporto o dello stato civile.
Una volta scaduto il permesso di soggiorno, la Bossi-Fini concede all’immigrato sei mesi di tempo (la metà rispetto ai dodici previsti dal centro-sinistra) per procurarsi un nuovo contratto di lavoro che gli consenta di rinnovarlo, se entro questo limite di tempo non ci saranno le condizioni per avere diritto a un nuovo permesso, scatta l’espulsione dal suolo italiano e l’immigrato dovrà tornare in patria.

L’espulsione, quindi, rimane la misura prevista per gli immigrati non i regola con la legge, ma anche qui ci sono delle differenze rispetto al passato. La Turco-Napolitano aveva predisposto dei centri di permanenza in cui gli stranieri privi di documenti venivano portati per un periodo masimo di trenta giorni entro cui portare a termine le pratiche di identificazione, la Bossi- Fini raddoppia tale periodo a sessanta giorni, se poi l’immigrato non viene identificato entro il termine stabilito, scatta l’espulsione entro tre giorni (contro i quindici della legge precedente). A questo punto la Bossi-Fini presenta un nuovo cambiamento importante rispetto al passato: introduce nel codice penale il reato di immigrazione clandestina. In altre parole, uno straniero espulso dall’Italia perché non in possesso di permesso di soggiorno, per dieci anni deve stare fuori dal nostro paese se non riesce a regolarizzare la sua posizione, nel caso venisse trovato di nuovo entro i confini nazionali in condizione di clandestinità, viene arrestato e portato in carcere.

Uno degli aspetti che ha sollevato molte voci polemiche intorno alla nuova legge riguarda le impronte digitali. A tutti coloro, infatti, che chiedono il permesso di soggiorno o ne richiedono il rinnovo, vengono rilevate le impronte digitali in modo tale da creare un data base con i dati identificativi di tutti gli immigrati che vivono in Italia. Al datore di lavoro spetta il compito di fornire alle autorità competenti garanzie circa la disponibilità di alloggio per il lavoratore immigrato, mentre chi fa lavorare extracomunitari primi di permesso di soggiorno valido rischia l’arresto da tre mesi a un anno e multe fino 5.000 euro per ogni lavoratore non in regola.

Altre due novità assolute della Bossi-Fini meritano di essere sottolineate. Da una parte scompare il meccanismo dello sponsor, istituito dalla legge precedente, che offriva a una persona italiana la possibilità di farsi garante per l’ingresso di due extracomunitari. Questo meccanismo permetteva così l’ingresso nel nostro paese a persone che si presentavano in Italia con una sicura destinazione e con provate garanzie.
D’altra parte qualcosa è cambiato anche in materia di ricongiungimenti familiari. Il cittadino extracomunitario, in regola con i permessi, può essere raggiunto in Italia da un parente di primo grado ma con alcune limitazioni: il coniuge, il figlio minore o i figli maggiorenni possono ricongiungersi al familiare immigrato purché siano a carico e dimostrino di non poter provvedere al proprio sostentamento. I genitori possono invece ricongiungersi al figlio (o alla figlia) emigrato in Italia solo dopo aver compiuto 65 anni e se nessun altro figlio può provvedere al loro sostentamento.

Questi sono alcuni dei punti salienti su cui si è svolta, e continua a svolgersi, la discussione intorno alla legge sull’immigrazione. Da una parte le critiche dell’opposizione, dall’altra le risposte e le difese della maggioranza; ma all’interno della stessa coalizione di governo il dibattito è animato, soprattutto su due argomenti.
Il primo riguarda le quote di immigrati che hanno accesso ogni anno al nostro paese. La Bossi-Fini demanda al Presidente del Consiglio il compito di emanare ogni 30 novembre un decreto che fissi, di anno in anno, il numero di immigrati ammessi, ma dalla voce di Gianfranco Fini si è affacciata la possibilità di eliminare le quote, entrate in vigore con la Turco-Napolitano; e sempre dal vice-premier arriva anche l’idea di concedere agli immigrati la possibilità di votare alle elezioni comunali e di essere eletti. La proposta di Alleanza Nazionale sul voto agli immigrati, la cui approvazione renderebbe necessaria la modifica dell'articolo 48 della Costituzione secondo il quale sono "elettori tutti i cittadini" italiani maggiorenni, riguarda particolarmente il fatto che se uno straniero vive in Italia da almeno sei anni, è in regola con i permessi di soggiorno, ha un lavoro che gli consenta di mantenere sé e la sua famiglia e, ovviamente, può dimostrare di aver regolarmente pagato le tasse può avere il diritto non solo di eleggere i rappresentanti del municipio e della comunità in cui vive, ma anche di presentare la propria candidatura al consiglio comunale e circoscrizionale (esclusi i ruoli di sindaco e vice sindaco che gli sono preclusi). E qui inizia la bagarre nella maggioranza, la voce della Lega è ovviamente la più cupa e rumorosa nel bocciare la proposta. Il sasso intanto è lanciato e il dibattito si è acceso.

 

 

 

 

 

 

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