DA: Stéphane Toussaint
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio 2004 12.24
Oggetto: Università
italiana o chiacchiere romane?
Sono uno studioso francese. Raccolgo volentieri l'invito
ad esprimermi
per il semplice motivo che, studiando da vicino il
dibattito
sull'umanesimo e l'antiumanesimo, mi è impossibile
ignorare le riforme
in atto.
Preciso che la riforma denominata da voi "Berlinguer",
dal nome del
vostro ex ministro, viene ricondotta da noi alla Declaration
de la
Sorbonne (18 maggio 1998) all'origine della Dichiarazione
di Bologna del
1999. Farne un argomento ad personam pare sbagliato,
così come farne un
argomento politico. Le dichiarazioni del nostro ex
ministro Luc Ferry,
durante le audizioni in Senato sugli scioperi degli
studenti di Rennes
(contro gli LMD), confermavano una sostanziale e rivendicata
continuità
con la parte politica opposta, rappresentata da Allègre
e da Lang.
Questo è certamente il primo punto a destare
l'attenzione. Come possono
famiglie politiche opposte su tutto, particolarmente
sulla gestione e la
cosiddetta economia del sapere, ritrovarsi su una
riforma di tali
dimensioni, senza palesare uno screzio? La mia analisi
di vari discorsi
europei dal 1998 ad oggi, mi induce a pensare che
i concetti espressi
nella riforma sono abbastanza indeterminati da appagare
due ansie:
l'ansia di una massificazione antielitaria, piuttosto
di sinistra, e
l'ansia di una modernizzazione antitradizionalista,
piuttosto liberale.
Le opposizioni più forti, non a caso, mi giungono
dall'estrema sinistra
e dalla destra tradizionalista. Di quali concetti
vado parlando? Di:
impiegabilità (in francese: employabilité),
formazione permanente,
antiformalità del sapere (professione e studio
sono un unico capitale).
La nuova università europea non deve privilegiare
l'impiegabilità dello
studente, bensì riformarsi dall'interno per
fare dell'impiegabilità il
metro di formazione. La formazione è una dinamica
permanente dacché
tutti i saperi valgono come capitale educativo, nel
quadro di una
conoscenza che non distingue più tra teoria
e pratica, prima e dopo
l'atto culturale. Studiare è una professione,
allorché prima era
l'insegnare. E la professione stessa diventa uno studio
continuo. Lo
studente non vive più i suoi anni di studi
come, nel peggiore dei casi,
un accumulo di sostanza intellettuale, nel miglior
dei casi, una libertà
di errare, di fuorviarsi, scoprendo e riscoprendo
la vita
intellettuale. Egli è già un professionista.
Non voglio andare oltre e
tediarvi. Mi preme osservare che vanno perdute da
noi, a lungo andare,
strutture di ricerca a vita come il CNRS, e da voi,
tipi d'insegnamento
come la preparazione classica (e non classista) rigorosa.
Sapere e capire
Eraclito nel testo a sedici anni, come ho visto fare
in Italia, o
passare una vita a studiare gli incunaboli, come al
CNRS, sono
fatalmente due attività, o meglio non-attività,
intrinsecamente legate
alla vecchia vita contemplativa, né popolari,
né dinamiche. Richiedono
un sapere lungo, diametralmente e paradossalmente
opposto alla
formazione permanente. Mi pare meriti attenzione l'intervento
di Sergi,
nella sua brevità disincantata.
Con cordialissimi saluti.
S. Toussaint.
DA: Ilario Gavioli
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio
2004 12.24
Oggetto: "Popoli
migranti: Europa non aver paura"
Diamo per scontato che l'immigrazione può essere
una risorsa da sviluppare e gestire.
mi piacerebbe sapere se l'idea di cui si parla è
cosa in qualche modo condivisa da studiosi e sopratutto
politici o partiti. Esistono paesi con leggi o progetti
di legge che vanno in questa direzione? Ricordo un
progetto di legge leghista, forse redatto con altri
intenti ma forse utile a questa causa. creare un fondo
pensione con condizioni particolari che permettesse
all'immigrato, con un minimo di contribuzione (10
anni mi pare), di poter usufruire di una pensione,
con rendimenti commisurati alla contribuzione effettuata.
L'immigrato può quindi eventualmente rientrare
in patria e godere di una pensione che è minima
per il costo della vita occidentale ma significativa
invece nel paese d'origine. l'immigrato è spinto
a regolarizzare la propria posizione, è spinto
a "contribuire" con il pagamento delle tasse
e il suo eventuale ritorno è una ricchezza
per il paese di origine. Nella logica dell'integrazione
non vedo invece di buon occhio la creazione di una
scuola parificata islamica senza che si valuti attentamente
la sua organizzazione e i suoi programmi di studio.
Credo che potrebbe contribuire a "evitare"
un livello di integrazione, che non deve essere pervasivo
e coercitivo ma che deve esserci, proprio per permettere
ad ogni "diversa cultura" di non restare
stagna e portare ricchezza alla società in
cui si inserisce. Cosa ne dite?
Ilario Gavioli
DA: Luigi Cannella
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio
2004 12.12
Oggetto: "Popoli
migranti: Europa non aver paura"
L'immigrazione è una risorsa e non un problema.
E andrei anche oltre: è una necessità
per una società opulenta e assopita che rischia
di perdere quegli elementi di dinamicità che
le hanno permesso di raggiungere un elevato grado
di sviluppo e benessere.
DA: Tommaso Merlo
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: martedì 20 luglio 2004
1.15
Oggetto: Appunti sul bipolarismo
in Italia
Cara Redazione,
Vi mando il mio modesto contributo su un tema di massima
attualita' oggi in Italia.
Perché.
Con l'avanzamento del processo d'unione politica europea
i partiti ed i loro contenuti particolari sono destinati
a perdere rilevanza. Le democrazie più mature
si basano da tempo sul bipolarismo e le recenti vicissitudini
italiane confermano la necessità di completare
tale percorso anche nel nostro paese. Il bipolarismo
permette l'emergere di una sintesi delle idee di un
area politico-culturale più ampia rispetto
ai partiti senza che prevalgano egoismi e tornaconto.
L'azione politica che emerge da una piattaforma ampia
è per definizione più vicina all'interesse
generale del paese. Garantisce la stabilità
e la capacità decisionale e quindi realizzativa
del Governo. La coalizione tra partiti permette di
incanalare la politica su direttive più moderate
e sensate in quanto frutto di una profonda negoziazione
preventiva; permette di marginalizzare visioni politiche
estremiste e populiste. La selezione necessaria a
primeggiare in una coalizione di partiti essendo più
dura, garantisce maggiore qualità di uomini
ed idee.
Come.
Attraverso un accordo tra partiti vincolante sui valori
di fondo e attraverso la negoziazione di un programma
comune. La coalizione viene rappresentata da un direttorio
composto, in proporzione alle ultime dimensioni elettorali,
dagli esponenti di partito. Il direttorio è
in sostanza il potenziale Governo, espressione dalla
coalizione in caso di vittoria elettorale, la dichiarazione
anticipata della squadra di Governo aumenta la trasparenza.
I partiti devono sviluppare un nuovo ruolo: non più
"finalizzatori" della politica nazionale
ma intermediari tra direttorio della coalizione e
società. In concreto devono: garantire la qualità
dei candidati e il loro legame al territorio, ascoltare
e analizzare la società nella sua evoluzione
- laboratorio di idee, proporre e negoziare nuove
soluzioni e progetti all'interno della coalizione.
Il nuovo ruolo dei partiti non consentirà che
egoismi particolari impediscano la realizzazione del
programma della coalizione; lo scontro tra partiti
rimarrà ad un livello più basso e interno
alla coalizione. Solo a fine legislatura i giochi
si possono riaprire. Il Deterrente a tradire la coalizione
sarà la necessità di appartenere alla
coalizione per avere peso politico.
Cosa.
Il programma della coalizione non deve essere una
melassa omnicomprensiva. Trovato l'accordo sui valori
di fondo, il programma deve essere chiaro e leggibile.
Al cittadino interessa capire in che direzione vuole
andare la coalizione, la sua anima. Per questo il
programma deve contenere alcuni punti chiave che dimostrino
la reale volontà politica di progresso e innovazione,
tra questi, nell'Italia di oggi:
- Ammettere i fallimenti della partitocrazia e rilanciare
un miglior funzionamento delle istituzioni nazionali
anche attraverso un completo bipolarismo.
-Rottura con la pratica delle lottizzazioni negli
enti pubblici. Fine del controllo politico sull'informazione,
impegno per una RAI totalmente indipendente dal mondo
politico.
- Miglioramento dell'efficienza della macchina statale,
snellimento e promozione di professionalità
e meritocrazia. Servizio pubblico efficace nel colmare
i fallimenti di mercato.
- Lotta senza tregua alla mafia e alla criminalità
di ogni genere, anche avvalendosi di supporto europeo.
In sostanza, un programma politico vincente, deve
avere il coraggio di affrontare quei nodi che impediscono
al nostro paese di esse una compiuta ed equilibrata
democrazia.
Quando.
Subito. La coalizione permette di superare la crisi
irreversibile della partitocrazia senza che i partiti
perdano il loro ruolo decisivo nella politica. E'
la via d'uscita, lo stadio evolutivo successivo che
non mette in discussione il sistema democratico. I
tempi sono maturi perché la politica faccia
un salto di qualità. Il malcontento popolare,
la recente disavventura populista e i movimenti, dimostrano
la crescente distanza tra politica e società.
Mentre la società è cambiata sotto gli
stimoli della modernità, la partitocrazia,
per spirito conservativo, non ha tenuto il passo.
Il risultato è che la politica tradizionale
finisce per essere un elemento conservatore, un ostacolo
per le nuove esigenze e problematiche. Cioè
esattamente il contrario della sua posizione naturale
di front line, di testa trainante e pensante della
società. La creazione di una sistema bipolare
è un passo fondamentale per colmare il gap
tra politica e società e per ridare alla politica
quella centralità ed autorevolezza che gli
compete.
Tommaso Merlo
DA: Salvatore Murgia
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: martedì 20 luglio 2004
1.15
Oggetto: Università
italiana o chiacchiere romane?
No, non mi è piaciuto proprio per niente.
Non capisco il bisogno di difendere il "povero"
Berlinguer e la "povera" Moratti dai malumori
di un intellettuale senza potere.
Mi pare, inoltre, che l'autore si avvalga di una tipica
versione del "principio di autorità",
per il quale chi è stato rettore di un'università
e ha organizzato convegni su questo e su quello ha
una sorta di pontificale indiscutibilità di
fronte a chiunque esprima dubbi e perplessità.
Non mi sembra che i due "poveretti" summenzionati
abbiano bisogno di tante zelanti difese (ovviamente,
per ora soprattutto la poveretta in carica)
Salvatore Murgia
DA: Antonino Molino
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: lunedì 19 luglio 2004
16.59
Oggetto: Il
paradosso Montanelli
Montanelli era un grande del giornalismo, se ci fosse
stato ancora lui
Berlusconi avrebbe avuto vita difficile.
Antonino Molino.
DA: Ylli Polovina
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: lunedì 19 luglio 2004
16.05
Oggetto: Il
paradosso Montanelli
Veramente un lavoro straordinario. Anche per me Montanelli
è così. In un giornale molto letto,
qua in Albania, si scrivevano cose molto contraddittorie:
prima che era un fascista, poi un anticomunista etc.
Complimenti all'autore.
Ylli Polovina
DA: Massimo Negri
A:redazione@caffeeuropa.it
Data: domenica 18 luglio 2004 11.54
Oggetto: Costruire il discorso europeo
Cari amici di Caffe' Europa,
riascoltando una vecchia canzone di Ivano Fossati
"La costruzione di un amore", per le libere
associazioni
del pensiero, mi sono ricordato di un passaggio della
"dichiarazione Schuman" (1950) che portò
alla nascita
della CECA (Comunità europea del carbone e
dell' acciaio).
Recitava: "L' Europa non potrà farsi in
una sola volta,
né sarà costruita tutta insieme: essa
sorgerà da realizzazioni
concrete che creino anzitutto una solidarietà
di fatto".
L'applicazione nel tempo di questo metodo ha condotto
l'Unione Europea a progressivi traguardi tra cui segnalo,
nell' ultimo ed intenso decennio, la creazione del
mercato
unico, l'avvento dell'euro, l'allargamento a 25 paesi
e il
recente varo della Costituzione Europea.
A fianco di questi tangibili frutti mette pure radici
l'idea di un "processo circolare" nella
edificazione di
una Unione (se non Federazione) di Stati e di una
società
europea. In altro contesto, don Leonardo Zega ha scritto
che
"la comunità costruisce la chiesa e la
chiesa costruisce la
comunità". Parimenti, credo, si possa
dire che la società e,
in particolare, l' opinione pubblica e intellettuale
costruisce
l'Unione di Stati europei e quest’ultima, con
le sue Istituzioni,
i suoi ordinamenti e i suoi partiti costruisce la
società europea.
In fondo, a ben pensarci, una parte del "discorso
europeo"
è già sperimentata dentro quelle cellule
vive che sono i giornali e
le riviste di qualità, le Università,
le Fondazioni, le imprese
esposte alla concorrenza estera, le associazioni culturali
e così via.
E granello dopo granello, l'interagire di idee, comportamenti,
norme e vincoli comunitari, erigono quella casa comune
europea
di cui avvertiamo il bisogno anche per ridefinire
compiutamente
la nostra identità di cittadini non solo, e
non più soltanto,
italiani.
E' confortante, in tal senso, che pure il sito amico
di
Caffe' Europa svolga appieno il suo dovere.
Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)
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