259 - speciale agosto 2004


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I lettori ci scrivono
 

DA: Stéphane Toussaint
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio 2004 12.24
Oggetto: Università italiana o chiacchiere romane?

Sono uno studioso francese. Raccolgo volentieri l'invito ad esprimermi
per il semplice motivo che, studiando da vicino il dibattito
sull'umanesimo e l'antiumanesimo, mi è impossibile ignorare le riforme
in atto.
Preciso che la riforma denominata da voi "Berlinguer", dal nome del
vostro ex ministro, viene ricondotta da noi alla Declaration de la
Sorbonne (18 maggio 1998) all'origine della Dichiarazione di Bologna del
1999. Farne un argomento ad personam pare sbagliato, così come farne un
argomento politico. Le dichiarazioni del nostro ex ministro Luc Ferry,
durante le audizioni in Senato sugli scioperi degli studenti di Rennes
(contro gli LMD), confermavano una sostanziale e rivendicata continuità
con la parte politica opposta, rappresentata da Allègre e da Lang.
Questo è certamente il primo punto a destare l'attenzione. Come possono
famiglie politiche opposte su tutto, particolarmente sulla gestione e la
cosiddetta economia del sapere, ritrovarsi su una riforma di tali
dimensioni, senza palesare uno screzio? La mia analisi di vari discorsi
europei dal 1998 ad oggi, mi induce a pensare che i concetti espressi
nella riforma sono abbastanza indeterminati da appagare due ansie:
l'ansia di una massificazione antielitaria, piuttosto di sinistra, e
l'ansia di una modernizzazione antitradizionalista, piuttosto liberale.
Le opposizioni più forti, non a caso, mi giungono dall'estrema sinistra
e dalla destra tradizionalista. Di quali concetti vado parlando? Di:
impiegabilità (in francese: employabilité), formazione permanente,
antiformalità del sapere (professione e studio sono un unico capitale).
La nuova università europea non deve privilegiare l'impiegabilità dello
studente, bensì riformarsi dall'interno per fare dell'impiegabilità il
metro di formazione. La formazione è una dinamica permanente dacché
tutti i saperi valgono come capitale educativo, nel quadro di una
conoscenza che non distingue più tra teoria e pratica, prima e dopo
l'atto culturale. Studiare è una professione, allorché prima era
l'insegnare. E la professione stessa diventa uno studio continuo. Lo
studente non vive più i suoi anni di studi come, nel peggiore dei casi,
un accumulo di sostanza intellettuale, nel miglior dei casi, una libertà
di errare, di fuorviarsi, scoprendo e riscoprendo la vita
intellettuale. Egli è già un professionista. Non voglio andare oltre e
tediarvi. Mi preme osservare che vanno perdute da noi, a lungo andare,
strutture di ricerca a vita come il CNRS, e da voi, tipi d'insegnamento
come la preparazione classica (e non classista) rigorosa. Sapere e capire
Eraclito nel testo a sedici anni, come ho visto fare in Italia, o
passare una vita a studiare gli incunaboli, come al CNRS, sono
fatalmente due attività, o meglio non-attività, intrinsecamente legate
alla vecchia vita contemplativa, né popolari, né dinamiche. Richiedono
un sapere lungo, diametralmente e paradossalmente opposto alla
formazione permanente. Mi pare meriti attenzione l'intervento di Sergi,
nella sua brevità disincantata.
Con cordialissimi saluti.
S. Toussaint.

DA: Ilario Gavioli
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio 2004 12.24
Oggetto: "Popoli migranti: Europa non aver paura"

Diamo per scontato che l'immigrazione può essere una risorsa da sviluppare e gestire.
mi piacerebbe sapere se l'idea di cui si parla è cosa in qualche modo condivisa da studiosi e sopratutto politici o partiti. Esistono paesi con leggi o progetti di legge che vanno in questa direzione? Ricordo un progetto di legge leghista, forse redatto con altri intenti ma forse utile a questa causa. creare un fondo pensione con condizioni particolari che permettesse all'immigrato, con un minimo di contribuzione (10 anni mi pare), di poter usufruire di una pensione, con rendimenti commisurati alla contribuzione effettuata. L'immigrato può quindi eventualmente rientrare in patria e godere di una pensione che è minima per il costo della vita occidentale ma significativa invece nel paese d'origine. l'immigrato è spinto a regolarizzare la propria posizione, è spinto a "contribuire" con il pagamento delle tasse e il suo eventuale ritorno è una ricchezza per il paese di origine. Nella logica dell'integrazione non vedo invece di buon occhio la creazione di una scuola parificata islamica senza che si valuti attentamente la sua organizzazione e i suoi programmi di studio. Credo che potrebbe contribuire a "evitare" un livello di integrazione, che non deve essere pervasivo e coercitivo ma che deve esserci, proprio per permettere ad ogni "diversa cultura" di non restare stagna e portare ricchezza alla società in cui si inserisce. Cosa ne dite?

Ilario Gavioli

DA: Luigi Cannella
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 21 luglio 2004 12.12
Oggetto: "Popoli migranti: Europa non aver paura"

L'immigrazione è una risorsa e non un problema. E andrei anche oltre: è una necessità per una società opulenta e assopita che rischia di perdere quegli elementi di dinamicità che le hanno permesso di raggiungere un elevato grado di sviluppo e benessere.

DA: Tommaso Merlo
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: martedì 20 luglio 2004 1.15
Oggetto: Appunti sul bipolarismo in Italia

Cara Redazione,
Vi mando il mio modesto contributo su un tema di massima attualita' oggi in Italia.

Perché.
Con l'avanzamento del processo d'unione politica europea i partiti ed i loro contenuti particolari sono destinati a perdere rilevanza. Le democrazie più mature si basano da tempo sul bipolarismo e le recenti vicissitudini italiane confermano la necessità di completare tale percorso anche nel nostro paese. Il bipolarismo permette l'emergere di una sintesi delle idee di un area politico-culturale più ampia rispetto ai partiti senza che prevalgano egoismi e tornaconto. L'azione politica che emerge da una piattaforma ampia è per definizione più vicina all'interesse generale del paese. Garantisce la stabilità e la capacità decisionale e quindi realizzativa del Governo. La coalizione tra partiti permette di incanalare la politica su direttive più moderate e sensate in quanto frutto di una profonda negoziazione preventiva; permette di marginalizzare visioni politiche estremiste e populiste. La selezione necessaria a primeggiare in una coalizione di partiti essendo più dura, garantisce maggiore qualità di uomini ed idee.

Come.
Attraverso un accordo tra partiti vincolante sui valori di fondo e attraverso la negoziazione di un programma comune. La coalizione viene rappresentata da un direttorio composto, in proporzione alle ultime dimensioni elettorali, dagli esponenti di partito. Il direttorio è in sostanza il potenziale Governo, espressione dalla coalizione in caso di vittoria elettorale, la dichiarazione anticipata della squadra di Governo aumenta la trasparenza. I partiti devono sviluppare un nuovo ruolo: non più "finalizzatori" della politica nazionale ma intermediari tra direttorio della coalizione e società. In concreto devono: garantire la qualità dei candidati e il loro legame al territorio, ascoltare e analizzare la società nella sua evoluzione - laboratorio di idee, proporre e negoziare nuove soluzioni e progetti all'interno della coalizione. Il nuovo ruolo dei partiti non consentirà che egoismi particolari impediscano la realizzazione del programma della coalizione; lo scontro tra partiti rimarrà ad un livello più basso e interno alla coalizione. Solo a fine legislatura i giochi si possono riaprire. Il Deterrente a tradire la coalizione sarà la necessità di appartenere alla coalizione per avere peso politico.

Cosa.
Il programma della coalizione non deve essere una melassa omnicomprensiva. Trovato l'accordo sui valori di fondo, il programma deve essere chiaro e leggibile. Al cittadino interessa capire in che direzione vuole andare la coalizione, la sua anima. Per questo il programma deve contenere alcuni punti chiave che dimostrino la reale volontà politica di progresso e innovazione, tra questi, nell'Italia di oggi:
- Ammettere i fallimenti della partitocrazia e rilanciare un miglior funzionamento delle istituzioni nazionali anche attraverso un completo bipolarismo.
-Rottura con la pratica delle lottizzazioni negli enti pubblici. Fine del controllo politico sull'informazione, impegno per una RAI totalmente indipendente dal mondo politico.
- Miglioramento dell'efficienza della macchina statale, snellimento e promozione di professionalità e meritocrazia. Servizio pubblico efficace nel colmare i fallimenti di mercato.
- Lotta senza tregua alla mafia e alla criminalità di ogni genere, anche avvalendosi di supporto europeo. In sostanza, un programma politico vincente, deve avere il coraggio di affrontare quei nodi che impediscono al nostro paese di esse una compiuta ed equilibrata democrazia.

Quando.
Subito. La coalizione permette di superare la crisi irreversibile della partitocrazia senza che i partiti perdano il loro ruolo decisivo nella politica. E' la via d'uscita, lo stadio evolutivo successivo che non mette in discussione il sistema democratico. I tempi sono maturi perché la politica faccia un salto di qualità. Il malcontento popolare, la recente disavventura populista e i movimenti, dimostrano la crescente distanza tra politica e società. Mentre la società è cambiata sotto gli stimoli della modernità, la partitocrazia, per spirito conservativo, non ha tenuto il passo. Il risultato è che la politica tradizionale finisce per essere un elemento conservatore, un ostacolo per le nuove esigenze e problematiche. Cioè esattamente il contrario della sua posizione naturale di front line, di testa trainante e pensante della società. La creazione di una sistema bipolare è un passo fondamentale per colmare il gap tra politica e società e per ridare alla politica quella centralità ed autorevolezza che gli compete.
Tommaso Merlo

DA: Salvatore Murgia
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: martedì 20 luglio 2004 1.15
Oggetto: Università italiana o chiacchiere romane?

No, non mi è piaciuto proprio per niente. Non capisco il bisogno di difendere il "povero" Berlinguer e la "povera" Moratti dai malumori di un intellettuale senza potere.
Mi pare, inoltre, che l'autore si avvalga di una tipica versione del "principio di autorità", per il quale chi è stato rettore di un'università e ha organizzato convegni su questo e su quello ha una sorta di pontificale indiscutibilità di fronte a chiunque esprima dubbi e perplessità.
Non mi sembra che i due "poveretti" summenzionati abbiano bisogno di tante zelanti difese (ovviamente, per ora soprattutto la poveretta in carica)
Salvatore Murgia

DA: Antonino Molino
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: lunedì 19 luglio 2004 16.59
Oggetto: Il paradosso Montanelli

Montanelli era un grande del giornalismo, se ci fosse stato ancora lui
Berlusconi avrebbe avuto vita difficile.
Antonino Molino.

DA: Ylli Polovina
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: lunedì 19 luglio 2004 16.05
Oggetto: Il paradosso Montanelli

Veramente un lavoro straordinario. Anche per me Montanelli è così. In un giornale molto letto, qua in Albania, si scrivevano cose molto contraddittorie: prima che era un fascista, poi un anticomunista etc.
Complimenti all'autore.
Ylli Polovina


DA: Massimo Negri
A:redazione@caffeeuropa.it
Data: domenica 18 luglio 2004 11.54
Oggetto: Costruire il discorso europeo

Cari amici di Caffe' Europa,
riascoltando una vecchia canzone di Ivano Fossati
"La costruzione di un amore", per le libere associazioni
del pensiero, mi sono ricordato di un passaggio della
"dichiarazione Schuman" (1950) che portò alla nascita
della CECA (Comunità europea del carbone e dell' acciaio).
Recitava: "L' Europa non potrà farsi in una sola volta,
né sarà costruita tutta insieme: essa sorgerà da realizzazioni
concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto".
L'applicazione nel tempo di questo metodo ha condotto
l'Unione Europea a progressivi traguardi tra cui segnalo,
nell' ultimo ed intenso decennio, la creazione del mercato
unico, l'avvento dell'euro, l'allargamento a 25 paesi e il
recente varo della Costituzione Europea.
A fianco di questi tangibili frutti mette pure radici
l'idea di un "processo circolare" nella edificazione di
una Unione (se non Federazione) di Stati e di una società
europea. In altro contesto, don Leonardo Zega ha scritto che
"la comunità costruisce la chiesa e la chiesa costruisce la
comunità". Parimenti, credo, si possa dire che la società e,
in particolare, l' opinione pubblica e intellettuale costruisce
l'Unione di Stati europei e quest’ultima, con le sue Istituzioni,
i suoi ordinamenti e i suoi partiti costruisce la società europea.
In fondo, a ben pensarci, una parte del "discorso europeo"
è già sperimentata dentro quelle cellule vive che sono i giornali e
le riviste di qualità, le Università, le Fondazioni, le imprese
esposte alla concorrenza estera, le associazioni culturali e così via.
E granello dopo granello, l'interagire di idee, comportamenti,
norme e vincoli comunitari, erigono quella casa comune europea
di cui avvertiamo il bisogno anche per ridefinire compiutamente
la nostra identità di cittadini non solo, e non più soltanto,
italiani.
E' confortante, in tal senso, che pure il sito amico di
Caffe' Europa svolga appieno il suo dovere.

Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)





 

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