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Da: Gaspare Impastato
Data: Wed, 14 Jan 2004 17:02:03 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Riflessioni sulla recensione de Dalla parte dgli Esclusi di Anna Maria Mori

Spett.le CaffEuropa,
la prima volta che visito il Vostro sito e mi sono commosso ed entusiasmato nel leggere tutto quello che avete scritto sul lavoro flessibile e la frantumazione della vita sociale profittando della recensione del libro di Anna Maria Mori.
Non mi vergogno a dire che anche io sono un escluso: non ho mai avuto una lavoro a tempo indeterminato, ho fatto sempre lavori precari, in nero, in azzurro ed in rosa, insomma di qualsiasi colore; ora a 57 anni mi ritrovo a lavorare come facchino in un villaggio turistico come stagionale, ma la mia et non gradita per cui mi ritrover con la moltitudine di persone troppo giovani per la pensioni e vecchi per un nuovo lavoro...
Vi faccio i complimenti per la completezza di argomenti e per avermi dato la possibilit di acculturami sul tema che da sempre ha accompagnato la mia esistenza e cio l'insicurezza del lavoro e quindi della mia economia: sono sposato ed ho tre figli (mia moglie non lavora).

Purtroppo debbo confessarvi che non conoscevo il libro di Anna Maria Mori, di cui mi sono innamorato a prima vista: galeotto fu lo sciopero di Rainews 24 di marted 13 gennaio c.a. che ha dedicato tutto il palinsesto al "Lavoro in corso" ed proprio durante questa trasmissione, verso le tre di notte, che ho seguito l'intervista ad Anna Maria Mori accompagnata dalla telefonata al Prof. Luciano Gallino sociologo del lavoro all'Universit di Torino sulla precariet.
Subito cerco su internet e trovo il Vostro bel sito che non finir mai di lodare, avrei molte altre cose da dire ma non voglio tediarVi ancora, per, lasciatemelo dire, abbastanza squallido che un'intervista cos interessante ed importante venga fatta alle tre di notte profittando dello sciopero, mentre durante gli orari normali e serali mandino in onda sempre lezioni di cucina, giochetti per arricchire e ballerine seminude etc...etc...una scrittrice- giornalista come Annamaria Mori la metterei al posto di Emilio Fede una sera s ed un'altra s perch finalmente si parli dei veri problemi che affliggono tutti gli esclusi.


Da: Massimo Negri
Data: Wed, 14 Jan 2004 09:33:40 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Il valore dell' amicizia

Cari amici di Caff Europa,
i mass-media hanno adeguatamente celebrato l'anniversario della scomparsa del regista Federico Fellini avvenuta a Roma il 31 ottobre 1993. In particolare e per quanto attiene allo scopo di questa mia comunicazione, Gaetano Afeltra ha ricordato, a dieci anni di distanza, la visita da lui compiuta all' ospedale "San Giorgio" di Ferrara dove il regista era ricoverato. Ad un certo punto Fellini gli chiese: "Ma tu hai la fede? Tu credi?". Ed Afeltra rispose: "Federico, io ho la religione dell'amicizia. E tu non sai in quanti pregano per te, per la tua guarigione, proprio nel nome di questa fede".

Mi pare che l'episodio descriva bene la forza di un sentimento nobile, antico come l'amicizia. Da un lato, l' incontro concreto, commovente, tra due vecchi amici. Dall'altro lato, la fraterna riconoscenza da molti provata verso l' artista.
Ci si sente meno soli quando si apprezza il lavoro di qualcun altro, anche se non si ha la fortuna di conoscerlo direttamente. E' la stessa ragione per la quale quando scegliamo di leggere un libro, vedere un film o visitare una mostra ci sentiamo, spesso, in buona compagnia. Pure ritrovarsi attorno ad una rivista, a un'associazione o a un partito pu trasmettere un senso di calore e di appartenenza ad una comunit. Annoto, nel frangente, un pensiero di Massimo Cacciari: "Non sei solo in questo destino. Cos' fare politica, se non dire al tuo prossimo che non solo?".

E l' amicizia, quando c', supera le barriere generazionali, religiose, etniche e culturali. Ne fornisce un'ottima rappresentazione il recente film di Francois Dupeyron Monsieur Ibrahim e i fiori del corano dove in una Parigi anni '60 si incontrano un ragazzo di origini ebraiche abbandonato a se stesso ed un droghiere turco di fede mussulmana, interpretato in modo assai delicato da Omar Sharif. Il legame tra Ibrahim e il ragazzo diventa paterno-filiale : l' anziano trova nel giovane una ragione per ridare senso alla propria esistenza ed il giovane grazie all' anziano trova la sua strada nella vita.

Condivisa la tesi per cui l'amicizia un dono da coltivare con cura, desidero chiudere questa lettera riportando un ampio passaggio dell'omaggio reso da Claudio Magris all'amico Paolo Bozzi (noto studioso di psicologia e poeta appartato) sulle colonne del Corriere della Sera del 12 ottobre 2003:

"E' giusto che ieri mattina, quando ero confuso, quasi un po' perso per la notizia della morte di Paolo Bozzi, avvenuta poche ore prima nella notte a Bolzano, qualcuno mi abbia fatto le condoglianze, come si fa invece di solito con i parenti.
L' amicizia non un legame meno stretto della parentela e significa, altrettanto o ancor pi, vita condivisa, cammino percorso insieme, esperienza comune del mondo che non pu essere recisa senza implicare una reale mutilazione per chi sopravvive.
'Come fosse un pezzo di me', dice una poesia tedesca di Uhland parlando di un uomo che cade, colpito a morte, ai piedi di un amico fraterno.
Questo il sentimento che provo io ora, come l' ho provato per quelle tre o quattro persone il cui congedo, in questi anni, ha amputato la mia esistenza [ ... ]
Con lui ho girato il mondo, in viaggi grandi e minimi, lungo il Danubio o tra una collina e l'altra del Friuli o del Piemonte; lui mi ha insegnato a vedere la realt, a prestare attenzione non solo alle idee, ma pure alle cose. Senza di lui, come senza Alberto Cavallari, probabilmente non avrei scritto "Danubio" o "Microcosmi". Con Paolo abbiamo percorso insieme tante strade, intellettualmente e materialmente; abbiamo sostato in tante osterie, abbiamo tanto riso, in un legame che comprendeva le altre persone care ed essenziali della nostra vita, persone amate con cui abbiamo scoperto insieme incantevoli radure e costeggiato baratri oscuri, anche ogni tanto cadendovi.

Violinista e autore di premiate composizioni musicali, Paolo Bozzi tirava fuori ogni tanto, tra una frasca e l'altra, il "violinaccio da viaggio" che si portava sempre dietro e si metteva a suonare.
Poche ore fa mancato, come si dice, ma ora che la morte smetta di fare troppo il gradasso, perch ha poco potere sulla presenza di chi continua a esserci vicino, a influire sulla nostra vita, anche se si fermato un po' pi indietro a bere un bicchiere in un' osteria, come una di quelle della valle del Natisone in cui, pochi mesi fa, siamo andati beatamente a zonzo insieme".

Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)


Da: Orazio Niceforo
Data: Mon, 1 Dec 2003 11:50:33 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Quanto conta il mio voto?

Ho letto l'articolo di Fishkin con vivo interesse. Due brevi note:
1. Il linguaggio è semplice, lineare, comunicativo: speriamo che anche in Italia si cominci a scrivere così, abbandonando le complicate, anche se molto "accademiche", elucubrazioni di molti nostri politologi.
2. La proposta mi sembra interessante sia in sè, come modalità di implementazione del modello partecipativo liberaldemocratico, sia in rapporto allo scenario politico italiano, nel quale potrebbe favorire forme di aggregazione del consenso, su tempi specifici, che vadano al di là delle contrapposizioni tra gli schieramenti politici, spesso schematiche e ancora più spesso ipocrite (esempi: il voto che ha impedito la riduzione dei tempi del divorzio, la legge sulla fecondazione assistita ecc.). Un cordiale saluto, e auguri.
Orazio Niceforo


Da: Diego Retis
Data: Wed, 3 Dec 2003 11:49:55 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: In rotta verso la Babele elettronica

Salve,
ho letto con interesse l'articolo sulla evoluzione dei media provocato dalla pubblicazione del libro La Nuova Babele elettronica che mi fa porre una domanda alla luce della approvazione della legge Gasparri sulla telecomunicazione avvenuta il 2 dicembre.
Il professor Somalvico parla di tecnologie digitali utilizzando la figura del rombo descritto come "una figura che ci disegna due processi di concentrazione, uno in alto, l’altro all’estremo inferiore del processo di produzione, distribuzione e fruizione della programmazione televisiva".
Secondo Voi la nuova legge che concentra su pochi editori potenti e dinamici tutte le risorse mediatiche che vanno dall'editoria alla trasmissione di qualsivoglia segnale non porta anche alla concentrazione dei contenuti destinati a passare al pubblico in minima parte, e quello che filtra è solo quello che più interessa a chi gestisce gli apparati mentre rimangono invisibili altri?
Vi ringrazio dell'attenzione, cordiali saluti
Diego Retis

Da: Raffaele Facciolà
Data: Wed, 26 Nov 2003 19:13:24 -0800
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: L'Europa.

Mi pare che nella costruzione dell'Europa, la mancanza di una direttiva politica e cioe' di una strada che i popoli europei devono percorrere assieme, c'è il "fastidio" molto presente e molto reale della percezione di una sovrapposizione di regolamenti europei che in fin dei conti sono inutili ai, e nei, vari paesi. Credo che se si eliminasse questa sensazione del "rompiscatole" dietro la porta, ora per un motivo ora per l'altro, l'Europa viaggerebbe alla velocità giusta, senza perdersi dietro le virgole, come scherzosamente alcuni oppositori dicono.
Cordiali saluti,
Raffaele Facciolà


Da: Giuseppe Di Mauro
Data: Fri, 5 Dec 2003 14:14:39 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Considerazioni inattuali

Troppi gli eventi che si stanno succedendo sullo scenario della storia da
non meritare un’attenzione particolare. Solo se si voglia un po’ affondare
lo sguardo dietro l’affannarsi delle notizie è possibile scorgere un filo
sottile la cui conoscenza potrebbe aiutare non poco alla comprensione del
destino del genere umano. Per far questo, prenderemo le mosse da una visione
della storia che purtroppo esula dalla cultura ufficiale così in voga nelle
accademie di tutto il mondo, dove si preferisce pensare alla stessa come
un susseguirsi di avvenimenti più o meno indipendenti tra loro come fossero
casuali o, secondo certe scuole, dettati da oscure volontà di potenza quando
non da meri interessi pragmatico-economici; mentre, per altri ancora, essa
rappresenta il dipanarsi progressivo di un cammino ascendente verso forme
di vite sempre più sviluppate e perfette.

Non vogliamo in questa sede dimostrare l’inconsistenza di tali posizioni, basterebbe uno sguardo appena disinteressato alla realtà , quanto invece dedicarci al senso nascosto, e palese a un tempo, dei fatti, essi stessi espressione formale di un progetto
provvidenziale la cui origine e il cui fine trascendono ogni esperienza/esistenza umana.

Abbiamo tempo fa’ fatto notare, durante la guerra in Iraq, una singolare
coincidenza: le truppe anglo-americane che dirigevano l’attacco hanno preso
come loro obiettivo strategico la terra di Ur, senza risparmiarsi nel conflitto
a fuoco. Sarebbe questo un fatto di cronaca come tanti altri, se non fosse
per la valenza simbolica che assume questa terra in ben altro contesto: la terra di Ur, infatti, secondo l’antica tradizione biblica, è la terra dove visse Abramo, padre della fede, da cui discendono le tre religioni, dette perciò anche ‘abramiche’, ebraica, cristiana e musulmana. Questo deve subito indurre ad una precisa constatazione: perché il conflitto si è svolto proprio su questo territorio? Non può forse essere quella irachena una guerra, certo più velata, contro le tre religioni, in luogo di una guerra tra
religioni o di pretese conquiste economiche?

Perché, se si riflette un attimo, le bombe che cadono come pioggia incandescente sui luoghi ove è nata la fede di tre popoli possono proprio rivelarsi immagine di serie minacce a ciò che più fonda una nazione e, ancor più, l’identità di interi popoli, ovvero il proprio credo ortodosso. Minacce che non sono certo da rintracciarsi esclusivamente tra gli eventi bellici, ma che possono invece provenire da ambienti
culturali, politici o economici, miranti a destabilizzare le basi dall’interno. E i
fatti stanno tutti lì a dare conferma a quanto or ora accennato.

Basti pensare al discredito che gettano sulla religione islamica quei furiosi kamikaze
che spacciano le loro presunte missioni come adempimento di una guerra santa
contro il ‘Grande Satana’. Agli occhi miopi delle menti d’occidente non può che apparire facilmente l’impressione di una religione rigida, aggressiva e autoritaristica. Se poi aggiungiamo le campagne che sono iniziate dalle nostre parti per abolire delle usanze antiche presso le popolazioni islamiche come fossero anacronistiche e ‘anti-democratiche’, ecco che il gioco di oscurare il messaggio divino è fatto.

Non può che balzare innanzi l’ultimo tragico attentato alle sinagoghe ebraiche in un quartiere di Istanbul: senza voler qui considerare l’importanza storica di quella che era la grande Costantinopoli, e che conferirebbe maggior spessore alle considerazioni esposte, ci basti sottolineare la deplorevole scelta da parte degli attentatori del giorno
del sabato, giorno santo per gli ebrei, esattamente come per noi cristiani è, o dovrebbe quantomeno essere, la domenica. Che non ci sia anche qui, camuffato dietro un simbolo, un attacco diretto contro il cuore della liturgia?

Il consumismo profanante, per certi aspetti, sembra proprio comprovare tale tesi: ogni festa pare sia diventata occasione tanto di compere quanto di lauti guadagni. Per non parlare di tutte le manomissioni e gli stravolgimenti che in ambito cattolico stanno riducendo la santa liturgia a qualcosa che la rende più simile a un luogo di incontro sociale o ad un concerto rock, piuttosto che ad un autentico e vivo partecipare al mistero di un Dio che si fa carne, rivelandosi all’uomo e redimendo l’universo intero.

Ancora un’altra osservazione: riportando la memoria ai discorsi dei
presidenti di Iraq e Stati Uniti in occasione della guerra, si ricorderà l’invocazione
reciproca fatta da entrambe le parti a Dio come mandante e protettore delle
truppe. Inutile domandarsi a quale Dio abbiano fatto riferimento i due presidenti, e
i frutti amari di questa guerra sono lungi dall’esser stati già raccolti.

Deve da ciò apparire chiara una cosa: non esiste un nemico chiaramente
identificabile e da combattere, per quanto possa assumere le sembianze di dittatore o di crudele tiranno. Non è questione di andare a cercare errori in un
fantomatico ‘sistema’, o discutere se gli Stati Uniti avessero fatto volentieri a meno
di attaccare il regime iracheno. Lasciamo a certi giornalisti il compito
di riempire le testate dei giornali con le loro chiacchiere. Di contro,
preferiamo constatare come, sia che si parli di destra, sia che si parli
di sinistra, sia che ci si schieri da parte americana o sia che si
sostengano le ragioni irachene, una soltanto sembra la causa profonda di tanto male:
il dilagare di una cultura della morte che non sta risparmiando alcun
popolo, né coscienza alcuna. Cultura il cui virus serpeggia già da sette secoli
per tutto l’occidente, ben dissimulato da maschere di potere sempre nuove
e sempre vecchie.

Sarebbe interessante interrogarsi sul perché proprio i secoli successivi alla rivoluzione francese siano stati i più sanguinari e violenti di tutta la storia, alla faccia di ogni bandiera di progresso e fratellanza; sul perché si siano scelti nomi come ‘Riforma’, ‘Umanesimo’, ‘Rinascimento’, ‘Illuminismo’ o ‘Risorgimento’ che si sono quasi sempre capovolti nel loro contrario. Diciamo ‘quasi’ perché non rientra nelle nostre intenzioni giudicare in modo unilaterale la storia; riconosciamo, al
contrario, la necessità di certi cambiamenti epocali per il cui ultimo significato
ci rimettiamo nelle mani di Colui che sa meglio di qualunque uomo.

Detto ciò, resta ancora da chiedersi quanto efficaci siano le risposte che
si tenta dare al processo descritto, quando non si limitino a mere e sterili
proteste. Il rischio è infatti quello di ostentare proposte che in un modo
o in un altro non fanno che riportare dentro la perversa spirale della
cultura della morte. Ponendo i propri valori su delle basi esclusivamente
sentimentali o, peggio, istintive, quali appaiono i valori propagandati da certi
movimenti di liberazione, di emancipazione, di libertà, in faccia ad ogni senso del
pudore, se ancora esiste, e ad ogni legge di diritto naturale, si pone
la seria possibilità di scambiare il male con il bene e di farne addirittura
una bandiera. Quanti pacifisti marciano per le strade delle nostre città,
gli stessi pronti a favorire ogni legge di promozione dell’aborto o
dell’eutanasia in nome di una presunta libertà dell’essere umano?

Neppure i progressi della genetica sono riusciti a farli desistere dai loro intenti: già nella prima cellula fecondata dell’embrione, cova silenziosa la catena del Dna da cui
dovranno in seguito realizzarsi tutte le potenzialità proprie della creatura.
Una grande donna, di recente proclamata beata, ha dato la propria vita per gli ultimi del mondo. Tra questi ultimi vi erano i milioni di feti che ogni anno vengono trucidati da strutture ospedaliere legalizzate. Peccato che nell’esaltare l’umanità di questa umile serva, i media abbiano omesso l’ammonimento che ella volgeva all’occidente intero: “Se una madre può uccidere il suo stesso figlio nel suo grembo, distruggere la carne della sua carne, vita della sua vita e frutto del suo amore, perché ci sorprendiamo della violenza e del terrorismo che si sparge intorno a noi?
L’aborto è il più grande nemico della pace, perché se una madre può uccidere il figlio, ciò significa che gli esseri umani hanno perso totalmente il rispetto per la vita e più facilmente possono uccidersi a vicenda”.

Ecco perché occorre molta circospezione e vigilanza: facile è cadere nella trappola di fare il gioco dell’avversario.
Non si pensi, alla luce di queste considerazioni che potranno persino apparire inattuali, che si nutre da parte di chi scrive un atteggiamento pessimistico nei confronti del mondo. È vero semmai il contrario. La speranza non è mai venuta meno e tanti sono i segni, per chi voglia davvero cercare e vivere la Verità, che ci fanno presagire l’avvento di grandi avvenimenti, volti a portare a compimento le nozze così attese tra la Sposa pellegrina per il mondo e lo Sposo celeste.

Il sigillo è costituito dalla croce, croce che significa sofferenza, croce che è al contempo gloria luminosa. Per il momento, preferiamo contemplare tale luce in coloro che anticipano le nozze già su questa terra, attraverso la testimonianza delle loro opere e della loro stessa vita: sono i santi, i profeti, i poveri, gli ultimi, i semplici,
i piccoli e i martiri di ogni latitudine e di ogni longitudine, che dissetano in parte la nostra sete di amore e conoscenza, donandoci un modello al quale, con fatica, tentiamo di conformare le nostre sante vite.
Giuseppe Di Mauro