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Cinema/Baci e abbracci
Paola Casella
Baci e abbracci, diretto da Paolo Virzi', scritto da Paolo Virzi' e Francesco
Bruni, interpretato da Francesco Paolantoni, Edoardo Gabbriellini, Paola Tiziana
Cruciani, Massimo Gambiacciani, Pietro Gremigni, Daniela Morozzi, Emanuele Barresi,
Isabella Cecchi
Renato (Massimo Gambacciani), suo cognato Luciano (Pietro Gremigni) e sua sorella
Tatiana (Paola Tiziana Cruciani) sono ex operai che tentano di riciclarsi come allevatori
di struzzi. La loro piccola azienda stenta a decollare: ci vorrebbero altri capitali,
nella fattispecie i fondi della regione, e il piccolo clan familiare spera di ottenerli
grazie al nuovo fidanzato della cognata di Renato, che fa l'assessore regionale.
Non resta che invitarlo al cenone di Natale e cercare di entrare nelle sue grazie:
peccato che al suo posto, per una serie di equivoci, si presenti un suo omonimo,
Mario (Francesco Paolantoni), ristoratore sull'orlo del fallimento e suicida mancato.
La trama di Baci e abbracci e' poco piu' di un pretesto, (anche se ben congegnato,
come si conviene ad un regista che e' prima di tutto un abile sceneggiatore), al
punto che il gioco degli equivoci di per se' riesce quasi noioso: molto piu' interessanti,
come gia' in La bella vita, Ferie d'agosto e Ovosodo, sono la caratterizzazione dei
personaggi e la visione d'insieme del nostro tempo.
I tre protagonisti di Baci e abbracci, fin dalla prima scena, generano simpatia e
nello stesso tempo provocano una stretta al cuore. Nati alla fine degli anni Cinquanta
(cosi' dice il copione), appartengono a quella generazione che non e' riuscita a
trovare la sua direzione: come sentenzia il padre di Renato, contadino rozzo e concreto,
"non son buoni a far nulla". Il piu' patetico e' proprio Renato, una
contraddizione vivente, animato da aspirazioni alte e bassi appetiti, animalesco
e nello stesso tempo profondamente umano, attraente e insieme sgradevole, vitale
e derelitto (perfetto il casting di Massimo Gambacciani; incredibile invece che,
nella vita, questo uomo-bestia faccia il principe del foro).
E' sintomatico che sia proprio Renato ad emettere l'urlo di una generazione, quel
"Siamo disperati, dateci una mano" che arriva quasi alla fine della vicenda,
ma che si avverte in sottofondo, quasi come un malessere, per tutta la durata del
film, anche quando si ride, soprattutto quando si ride: ci vuole coraggio a costruire
un'intera commedia sopra un grido di disperazione.
Lo smarrimento non e' solo di Renato, ma di tutta la sua generazione, e di un paese
dove "non usa piu' chiamarsi compagni" (e ci si e' dimenticati il padrenostro)
e dove le tradizioni vengono snaturate (l'area rurale in cui e' ambientata la vicenda,
cioe' la valle di Cecina, e' zona di allevamento di mucche chianine, non di struzzi)
o svilite (alla cucina locale, e alle prelibatezze cucinate nel ristorante di Mario,
i protagonisti preferiscono "pizza birra e patatine"). E' il tramonto delle
ideologie, con corollario (quanto mai attuale) di disinteresse totale alla partecipazione
politica (e siamo in Toscana!). Il rappresentante dello stato entra nel quadro solo
per ovviare a una situazione di emergenza mentre i piu' giovani si domandano: "Ma
gli assessori regionali, che cosa sono esattamente?"
Tuttavia Virzi' lascia ai suoi personaggi la speranza, o almeno la voglia di coltivare
illusioni. C'e' ancora spazio per miracoli e apparizioni mistiche, anche se sono
solo frutto dell'immaginazione di chi credeva di aver perso il diritto di sognare,
e quando l'uovo di struzzo si rompe ne emerge una vita nuova (mentre in una scena
precedente, forse la piu' disperata del film, Mario il ristoratore disintegrava senza
intenzione e senza scopo la lampada a forma di uovo di struzzo dell'ex moglie).
In qualche modo, racconta Virzi', sopravviveremo, anche se a dircelo e' una canzone
americana, magari aggrappandoci a quelle poche tradizioni indigene che hanno tenuto
duro, come la partita di calcio (quella in cortile, non quella alla tele). Certo
saremo creature diverse, in grado di comunicare (solo?) elettronicamente (come il
figlio di Renato) e di scomporre l'universo in unita' infinitesimali (come la figlia
di Luciano, alla quale il padre non puo' insegnare piu' nulla).
Nel raccontare l'umanita' livornese in divenire, Virzi' attinge al cinema internazionale,
da Big Night al Pranzo di Babette, da Kusturica a von Trier, per non parlare del
De Sica di Miracolo a Milano. A una delle sue interpreti piu' giovani il regista
lascia pero' la facolta' di schermarsi dalla cultura dell'immagine, soprattutto quella
che ha per oggetto l'intimita' dell'individuo, coprendo con una mano l'obbiettivo
della cinepresa.
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