Caffe' Europa
 
Libri

Sebastiano Maffettone, Il valore della vita

Giancarlo Bosetti

 

Sebastiano Maffettone
"Il valore della vita. Un'interpretazione filosofica pluralista"
Mondadori
pp.324, L.15.000

 

Il Novecento della filosofia non religiosa si chiude, allo stato dei fatti, all'insegna di un embargo durissimo nei confronti delle domande – e naturalmente delle risposte – di senso. Chiedersi quale significato abbia l'esistenza umana, quale fondamento abbia la morale, quale sia, come diceva Russell, "l'arredo ultimo del mondo" e' una procedura squalificata dalla filosofia professionale. Per questo si parla da molto tempo e da varie parti di "fine della filosofia": un tema caro a Richard Rorty e alla sua scuola che ha dedicato a questa tesi innumerevoli libri che interpretano il progresso della riflessione umana come abbandono di ogni pretesa metafisica, cioe' di ogni intenzione di parlare dei fondamenti della esperienza e di venire a sapere qualcosa sull'essere in quanto tale, cioe' sulla realta'. Codeste biasimate (dai professionisti della speculazione) pretese per i non professionisti non sono poi altro che i legittimi interrogativi che ci vengono in mente davanti ai casi della vita, nel bene e soprattutto nel male: che senso ha tutto questo? Chi siamo? Come e' cominciato tutto? Perche' qualcuno muore di cancro da giovane e qualcun altro arriva a cent'anni? Le risposte che la gente si da' appartengono di solito a quella categoria che viene definita "realismo ingenuo", cosi' come ingenui possono essere il materialismo o lo spiritualismo. E' la metafisica del senso comune: il mondo esiste, noi ci stiamo sopra e queste sono verita' inoppugnabili.

La messa fuori gioco di queste ingenuita' e' il risultato di una progressione antimetafisica (cominciata in verita' con Kant, che ha messo fuori della nostra portata la realta' in se') che ha le sue pietre miliari in Nietzsche, Heidegger, Husserl, Wittgenstein fino ai numerosi contemporanei tra i quali bisogna ricordare almeno Derrida, Rorty e Vattimo. E' il risultato in altri termini della grande filosofia del nostro secolo. "Di cio' di cui non si puo' parlare (in maniera rigorosa) e' necessario tacere". Se poi fatalmente siamo costretti a continuare il nostro discorso sulla vita e la morte, sulla gioia e sul dolore, questo avverra' al di fuori di un vero discorso filosofico, si trattera' di bricolage della esistenza quotidiana. Lo faremo in modo piu' o meno dotto e brillante, ma non sara' piu' filosofia, sara' chiacchiera, letteratura, tutt'al piu' estetica, come suggerisce Rorty. O sara' il puro resoconto, come suggerisce Vattimo, dei nostri accidenti biografici, che ci porteranno magari a convincerci che Dio esiste. Oppure del contrario, il che avrebbe la stessa irrilevanza sul piano, come dicono i filosofi, "ontologico".

Il libro di Sebastiano Maffettone, "Il valore della vita", e' un arditissimo – data la forza immensa della corrente che vuole risalire – tentativo di ristabilire l'onore della metafisica, di rendere omaggio a quelle domande che assillano chiunque non si rassegni alla indifferenza di fronte agli enigmi del vivere. Ci aveva gia' provato qualche anno fa Robert Nozick, ma in modo piu' descrittivo e analitico, a "pensare" la vita con gli strumenti del filosofo di professione. Maffettone intende fare qualche cosa di piu': avviare la costruzione di una "metafisica pubblica" traendone le basi dal valore della vita che e' incorporato in tante scelte che facciamo pubblicamente. Negli argomenti con cui sosteniamo quelle scelte attraverso una prassi liberale e tollerante, nel confronto cui diamo luogo tra posizioni diverse a proposito di aborto, eutanasia, esperimenti scientifici sui viventi etc., nelle decisioni che coinvolgono attribuzioni di valore e che non rimangono pure illazioni dal momento che diventano leggi e procedure, Maffettone vede la possibilita' di aggirare l'embargo antimetafisico dello scetticismo e del relativismo. In realta' una "metafisica pubblica" la stiamo gia' praticando ed e' difficile negare che dentro quella conversazione libera tra esseri razionali che su taluni punti fondamentali convergono si intravedono le premesse di un comune riconoscimento del "valore della vita".

Che su quei problemi, che costringono a fare delle "scelte critiche" intorno a questioni di vita e di morte, ci si divida tra opzioni alternative non significa che non ci sia in ogni caso un terreno comune, un'area di "sovrapposizione" e "intersezione" (overlapping consensus, direbbe Rawls), un minimo denominatore comune che rende possibile la conversazione pubblica e talora la convergenza. Per stare a un esempio minimo, quei principi che spingono un genitore a dire al figlio che deve "leggere di piu'" contengono un giudizio di valore sul significato da attribuire alla vita, come un bene quanto meno da non sprecare, che, al di la' di diverse possibili descrizioni della vita buona dentro diverse concezioni del mondo, rivelano una zona di convergenza che puo' considerarsi universale. La metafisica che Maffettone propone e' "pubblica" e non "speculativa", perche' la prima e' desunta dalle prassi riformistiche che possiamo plausibilmente distinguere, dentro uno spettro molto ampio anche se necessariamente non infinito, dall'arbitrio della follia, mentre la seconda rimane aperta agli esercizi teorici piu' spericolati e idiosincratici dei costruttori di visioni del mondo, professionisti della filosofia e non.

Il bersaglio principale di Maffettone e' quello che si e' detto: il nemico scettico o relativista. Ma non e' l'unico. L'altro, piu' abituale per un pensatore che iscrive la sua filosofia dentro l'alveo del liberalismo, e' il fondamentalismo delle metafisiche speculative con pretese assolute ed esclusive di verita'. Tocchiamo qui l'altro scoglio pericoloso di una navigazione che voglia salvarsi dal naufragio: se di la' Scilla era il nichilismo dell'antimetafisica del Novecento, di qua Cariddi e' la zona turbolenta delle verita' rivelate con una lunga tradizione di intolleranza e conflitti. Descritto cosi' l'itinerario filosofico di Maffettone, alla ricerca di un varco, di una terza via tra nemici antichi e recenti, tra filosofie del Tutto e filosofie del Nulla, il racconto del libro sarebbe soltanto all'inizio. Ci sarebbe quanto meno da dire del modo in cui l'autore utilizza il lavoro dell'etica liberale americana, dell'etica del discorso habermasiana, della vasta letteratura sulla bioetica e di come cerchi di farsi seguire non solo dagli accademici che sono a loro agio su quelle pagine, ma anche da un pubblico che preferisce gli esempi di di situazione-dilemma tratti dal cinema e dai romanzi di Grisham. Ma non lo possiamo fare qui. Dobbiamo rimandare alla lettura del volume e alle discussioni che a questo libro certamente seguiranno.

Aggiungiamo che tra le sfide ingaggiate temerariamente dall'autore c'e' quella di contraddire tutte le pagine della storia del pensiero che si arrendono di fronte all'inspiegabile e che accettano la prospettiva della "insensatezza" della vita: l'assurdismo. L'esempio che vale per tutti e' quello di Tolstoj nelle "Confessioni": "Il mondo si rivela in qualche modo infinito e incomprensibile. La vita umana e' una parte incomprensibile di questo incomprensibile tutto". Impegnato nell'impervio cammino e circondato di tanto agguerriti nemici, l'illuminista Maffettone ricorre piu' di una volta all'aiuto del grande Kant (da cui tanti guai per la metafisica erano pur cominciati). Se si volesse applicare al libro una critica severa si potrebbe cercare, con qualche successo, di ridurre quasi tutti i sostegni che Maffettone raccoglie per la sua tesi filosofica a spunti che vengono dall'uomo di Koenigsberg. Ma a questa critica si potrebbe replicare con due domande, retoriche: a) denunciare un debito verso Kant e' davvero una critica demolitoria? b) non si puo' dire la stessa cosa di tutti i filosofi del Novecento?


 

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