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Libri

"Il popolo di Lady Diana"

Paolo Ceri

 

"Il popolo di Lady Diana"
Paolo Ceri
Marsilio, 1998
pp.146, lire 20mila





Pubblichiamo di seguito il terzo capitolo, in cui l'autore indaga le ragioni di un sentimento che travolse il Regno Unito esattamente un anno fa. Ringraziamo autore ed editore per la gentile concessione.



Perché si commuovono?

"Settembre non fu un bel mese per chi credeva che la società umana fosse, potesse essere governata un giorno dalla ragione" (Ian Jack in "Granta"). Chi crede che ragione e sentimento siano non solo forze indipendenti, ma anche incompatibili, la seconda non può manifestarsi che a scapito della prima. Di là dal giudizio che se ne voglia dare, la commozione senza pari di cui tutti sono stati testimoni nella prima settimana di settembre del 1997 è un fatto che può essere spiegato.

Ma non è una spiegazione - è una falsa spiegazione - quella che, in sostanza, consiste nel dire che la gente si è commossa perché, invece di farsi guidare dalla ragione, si è lasciata trasportare dai sentimenti. Infatti, la questione diventa: perché in quella occasione si è lasciata trasportare dai sentimenti? Se si risponde "perché la ragione ha abdicato; perché hanno cessato di comportarsi razionalmente", ecco che siamo di nuovo al punto di partenza. Come tutti i fatti, la commozione per la principessa Diana ha, insomma, cause specifiche. Che ora andiamo a ricercare.


Non avrei mai immaginato di soffrire così!

Come pochi altri il fenomeno Lady Di è stato sotto il segno dell'emozione, tanto da lasciar sconcertati nel vedere "la nazione in un tale stato emotivo senza precedenti" ("Times", 8 settembre). Un'emozione così intensa e imprevedibile da lasciare molti sorpresi della propria reazione alla notizia della morte di Diana, come rileva tra gli altri Nick Partridge, direttore generale del Torrence Higgins Trust, l'organizzazione leader in Gran Bretagna per l'Hiv/Aids: "Una frase che si sente ripetere continuamente è: Non avrei mai pensato che mi avrebbe sconvolto in questo modo" ("Newsweek", 15 settembre). In effetti, la vicenda ha coinvolto molte più persone di quante seguissero le personali disavventure e peripezie della principessa.

Inoltre, dalle numerosissime dichiarazioni riportate sui giornali, alla radio, alla televisione, risulta accertato che a commuoversi non siano state soltanto persone che da tempo guardavano con interesse e simpatia a Lady Diana e alla sua storia, ma anche molte altre precedentemente indifferenti o addirittura ostili. In particolare, quelle poco o punto interessate alle notizie sulla casa reale o avverse alla monarchia: "Molte di loro sono sorprese dei propri sentimenti ‘Io non sono molto monarchico, ma'... ‘Non mi hanno mai interessato i reali, ma' ... . Persino nelle sale stampa, vecchi cinici induriti hanno perso la testa." (Polly Toynbee su "The Independent"). E' quanto ammette, ad esempio, una giovane madre: "Io sono una repubblicana e non mi sono mai interessata molto a Diana quando era in vita. Ma la morte mi ha scosso in un modo che non avrei mai creduto possibile" ("The Independent", 7 settembre).

Vi sono poi persone sorprese dal proprio sconvolgimento, perché convinte da tempo di essere diventate ormai fredde e insensibili. La psicologa Janet Sayers: "Una donna mi disse di essersi meravigliata per il dolore provato per la morte di Diana, essendosi a lungo come bloccata contro i suoi sentimenti intorpiditi da tempo." ("The Psychologist", novembre 1997). La sorpresa è stata grande anche per quanti avvertono un dolore paragonabile a quello provato per la perdita di familiari: "Non so spiegare perché mi sento così sconvolto, persino più colpito di quando sono morti i miei genitori (...) naturalmente fui terribilmente rattristato dalla loro morte, ma in qualche modo quella della principessa mi ha colpito più duramente." (Sylvia Linton, un'assistente del personale in pensione, in "Daily Telegraph", 6 settembre).

Dichiarazioni come queste sconcertano quanti assistono increduli a quel che accade: "Solo gli amici intimi e la famiglia hanno saputo e pianto per la morte di mia moglie, ed è così che dev'essere. Abbiamo perso il senso della misura?" (Ron Press, in "Granta"). Reazioni di questo tipo contribuiscono a dare la misura dell'eccezionalità dell'evento. Al punto che sul piano collettivo: "Chi avrebbe potuto immaginare l'estensione e la profondità dell'ammirazione e dell'affetto? Qualcosa di questa donna e della sua vita ci ha toccato più profondamente di quanto credessimo" (Reverendo Nathan Baxter, decano della Washington National Cathedral, in "The Times", 8 settembre).

Per dar conto di un'emozione tanto diffusa e sorprendente - "un ectoplasma di emozione avvolse la terra", qualcuno ha commentato inorridito (Elizabeth Wilson) - sono state proposte molte spiegazioni. Le più correnti fanno riferimento all'operare di un meccanismo di identificazione, potenziato o meno dall'influenza dei media: "La gente reagisce alla morte di personaggi pubblici come Elvis Presley e John Lennon. Il fatto di conoscere dettagli sulla vita di qualcuno, seguendolo nel tempo, crea un tale senso di intimità, tale che l'osservatore può provare empatia per la sua situazione" (Fiona Cathcart, in "The Psychologist", novembre 1997).

In molti casi sarebbe scattata nel subcosciente un'associazione tra esperienze personali passate e momenti della vita di Diana - un'associazione che a volte si rivela alla persona all'improvviso, apprendendo della morte della principessa. Così: "Molti si sentono sopraffatti sia dalla sua perdita che dal sentimento che riemerge dalle loro vita passata e presente"- perdita del figlio, altre morti, ecc. (Sayers, ibidem ). E' il caso di quella donna, i cui "sentimenti che risuscitarono in lei per essere stata esclusa dalla sua famiglia, come Diana fu esclusa dalla famiglia acquisita con il matrimonio".

Naturalmente i contenuti specifici dell'identificazione sono i più vari, al limite tanti quanti sono i gruppi e le persone che in qualche misura si identificano. Vi è chi li ha assunti a spiegazione: "La principessa è un simbolo per ogni donna trattata ingiustamente da un uomo. Significa qualcosa per ogni donna che si sia preoccupata per il suo peso, per ogni donna che si sia sentita in lotta in una società soffocante, dominata dall'uomo. Mettetele insieme, e avrete un gran numero di donne. Poi ci sono le oppresse, le insicure, le fallite.

Come Evita, alla quale con la morte viene ad assomigliare, ricorda ai britannici l'equivalente dei descamisados , i senza camicia. Come Evita fu in parte ordinaria, con gusti democratici per il pattinaggio e le coppe di baseball. Come Evita (...) è diventata un'icona omosessuale, per il fatto di essere una donna forte con una grande componente emotiva. Poi ci sono minoranze etniche, forse ispirate dal modo in cui questa importante donna inglese abbracciava i poveri e i feriti in giro per il mondo. Non s'è forse presa un egiziano per amante? Poi ci sono le persone che semplicemente vogliono credere nella fiaba di una principessa che è come loro: senza successo negli studi, non sempre fortunata in amore, con gli stessi problemi coniugali, anche se il suo anello di fidanzamento costa 28 mila sterline. Si tratta di un vasto campione di umanità che essa giunge a toccare." (Boris Johnson, "Daily Telegraph", 3 settembre).

Interpretazioni come questa, tanto diffuse quanto ingenue, non possono spiegare niente. In primo luogo perché sono spiegazioni-self service: ognuno selezionerebbe la caratteristica che gli è affine e su quella base si identificherebbe nell'altro. E' come se un convinto uomo di destra piangesse la scomparsa di un politico della sinistra perché dai giornali sapeva quanto come lui fosse un appassionato velista. In secondo luogo, una classificazione di gruppi - un repertorio (elitario) di falliti e stravaganti - non è una spiegazione: non basta dire chi si identifica, si deve dire anche perché: e il perché non segue tout court dal chi.

Il problema è quindi quello di individuare gli elementi che, nell'identificazione, accomunano gruppi e individui tanto eterogenei. E' quanto abbiamo fatto nel capitolo precedente. La questione che si pone ora è di stabilire se l'identificazione realizzata sulla loro base spiega la commozione, individuale e collettiva. La risposta è che la spiega in parte: in larga parte, ma non a sufficienza. Non può spiegarla completamente perché ci si può commuovere anche senza identificarsi. E infatti, come spiegare che a sentirsi sconvolto e a commuoversi non sia, come si è visto, soltanto chi provava già prima ammirazione o simpatia per Lady Diana, ma anche chi era (o almeno credeva di essere) indifferente o la disapprovava? Il riferimento all'identificazione (precedente) si rivela inadeguato. Dire che si sono commossi perché si identificavano in lei è dunque una spiegazione parziale. E infatti, sono state avanzate altre spiegazioni.

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