L'importante e' partecipare (agli utili) Riccardo Stagliano'
Dovesse
ripronunciarla adesso, la frase che ha tolto per sempre dal suo nobile
anonimato il marchese de Coubertin necessiterebbe di un'aggiunta inevitabile:
"L'importante è partecipare (agli utili)". Questo è lo sport - e
il calcio in particolare, per quanto riguarda la scena europea - un secolo dopo
la sentenza
naive
del gentiluomo francese.
La
metamorfosi prosaica del
soccer,
specialità inventata nel 1863 in Inghilterra e presto esportata nel
resto del Vecchio Continente, è totale: da gioco di strada a business
globale, intorno al pallone si sono accesi interessi multimiliardari che ne
hanno ridisegnato la fisionomia, spettacolarizzandone le performance.
Ed
è così che anche da noi la più intransigibile certezza del
calendario - la partita alla domenica pomeriggio - si è sbriciolata di
fronte alle rivendicazioni delle tv che esigevano un maggior numero di serate
per intrattenere il pubblico a casa. Proposta che non si poteva rifiutare, i
club hanno piegato la testa all'audience, che ha ragioni che il calcio non
conosce. Si gioca quindi durante tutto il weekend e la relativa rinegoziazione
dei diritti televisivi ha portato alle squadre 600 miliardi di lire all'anno.
D'altronde
non c'è niente come il calcio a garantire ancora alle televisioni dei
pubblici consistenti. "Novantesimo Minuto" raduna davanti al video, ogni
settimana, 7,5 milioni di telespettatori. La SKY Tv di Rupert Murdoch ha
convinto 6,6 milioni di inglesi ad abbonarsi per seguire la prima e seconda
divisione nazionali. Nella pur più tiepida Francia ogni serata di
Champions League trasmessa da TF1 fa almeno 7 milioni di spettatori. Per
accaparrarsi un tal numero di pupille le emittenti sono pronte a spendere cifre
sempre più stratosferiche. Nel frattempo i prezzi dei posti allo stadio
aumentano, lasciando intravedere il rischio, per i fedelissimi della curva non
abbienti, di un futuro con la sola eccitazione del telecomando.
Inghilterra
A
chi li interroga circa un titolo sicuro sul quale puntare, un numero sempre
maggiore di consulenti di Borsa britannici risponde, senza esitazione, "Man U".
Le azioni del Manchester United, infatti, la più valorosa squadra
inglese, si sono apprezzate del 700 % nei sette anni dal loro esordio
borsistico. Il loro esempio è stato seguito da altre 22 equipe
calcistiche che rappresentano oggi una capitalizzazione totale di 6.600
miliardi di lire, al punto che il Financial Times, oltre a dedicare ogni
venerdì due pagine specifiche all'economia dello sport, ha inaugurato il
"FT Sports Index" che contiene andamenti e previsioni delle azioni sportive.
Ma
i calorosi tifosi di Sua Maestà che pure frequentano numerosissimi gli
stadi (30 mila spettatori in media, ogni match di campionato) e acquistano
gadget di ogni tipo, facendo del merchandising una voce pari al 30% degli
introiti generali, non confondono cuore e portafogli: "I supporter non
investono necessariamente sulla propria squadra. Ed è giusto. - spiega
Cristophe Simonet, consulente di investimento - . Una cosa è il calcio,
un'altra gli affari".
Germania
I
tedeschi, pur non smentendo lo stereotipo di ragionevolezza che immancabilmente
li affligge - "Se il presidente dell'Inter vuole spendere 50 miliardi di lire
per Ronaldo è affare suo. Ma non è il nostro genere, noi non
l'avremmo mai fatto" ha dichiarato sdegnato Uli Hoeness, manager del Bayern
Monaco - vanno matti per il calcio.
Il
pubblico medio per una partita della Bundesliga è di 30 mila spettatori
(il Bayern ne richiama oltre 50 mila) e gli introiti per l'indotto sono i
più alti d'Europa. Il budget più ricco - le cui somme provengono
per il 40-60% dai diritti televisivi - è quello del VfB Stoccarda (48
miliardi di lire). E, con ordini di grandezze non troppo inferiori, il Monaco e
il Dortmund stanno considerando la quotazione in Borsa.
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