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Futuro, opera aperta (pagina 2) Giancarlo Bosetti
Tutta la letteratura mondiale, buona e cattiva, sarebbe finita dentro Xanadu, e
la sterminata libreria digitale avrebbe sostituito i testi di carta. Ecco fin
dove Nelson aveva proiettato la sua idea originaria che era quella di modificare
il word processing in modo da confrontare le diverse versioni di uno
scritto legandole tra loro nella memoria. L'ipertesto - termine da lui
inventato nel 1965 - nasceva come possibilità per il lettore di scegliere
tra le diverse versioni di uno scritto: il romanzo ipertestuale si presentava
nella sua invenzione come una lunga serie di bivii dove il lettore poteva
cambiare percorso, trama, inizio e fine. Xanadu è diventata una
società, venduta pochi anni fa e poi chiusa. Pedemonte ci ricorda che
quella di Nelson è considerata la "vaporware", vale a dire una
invenzione software evanescente e inconclusa, più lunga della storia delle
tecnologie digitali. Doveva diventare una biblioteca sistema
editoriale imbattibile, un mezzo per gestire i diritti d'autore, un grande
spazio democratico, un mezzo per "salvare il mondo dalla cultura lineare". E
inveceè defunta.
Eppure non si può non vedere come nello stesso periodo sia
nato effettivamente con Internet qualcosa di simile a ciò che stava
nella mente di Nelson: grazie alle più concrete invenzioni come i
"browsers" che consentono in pratica di"navigare" sulla Rete. Quanto agli
ipertesti, che stanno prendendo piede, ancora non sappiamo se davvero
rivoluzioneranno il nostro modo di scrivere e di leggere. Quelli di Nelson
rimangono esperimenti mentali, proiezioni estreme di una tecnologia che ci
aiutano a capire se non proprio dove sta andando il mondo, dove
potrebbe andare. Due cose diverse, come ci insegna la storia
della tecnologia, la quale poi subisce svolte imprevedibili sulla base
delle reazioni sociali.
E' vero per esempio che l'invenzione dell'elicottero conteneva la
possibilità di uno sviluppo dei trasporti urbani e dellecittà in
tre dimensioni (come nella metropoli di Bruce Willis inQuinto elemento)
e invece non è andata così: anche a New York la gente continua a
spostarsi in piano, sui bus e con la metropolitana, salvo prendere l'ascensore
una volta arrivata a destinazione. Il che non vuol dire che l'elicottero sia
inutile, ma semplicemente che l'espansione delle sue potenzialità si
è fermata molto prima delle sue estreme possibilità. E così
pure a sorpresa nessuno poteva prevedere che i satelliti artificiali avrebbero
reso possibile, con i telefoni cellulari, un congegno formidabile per
le chiacchiere più che per gli affari di stato. Nessuno puoi mai sapere
con precisione dovete visioni applicate alle possibilità di una
tecnologia di fatto si fermeranno.
Certo che un bel tratto di cammino l'aveva intuito un altro grand evisionario di
questo secolo, Vannevar Bush, uomo che non viveva di puri sogni e che non
simpatizzava come Nelson per le culture underground, se è vero che nel
1943 la casa Bianca lo prelevò dal Mit di Boston, dove stava, e lo mise a
coordinare il progetto Manhattan, ovvero la confezione della bomba atomica che
sarebbe stata sganciata a Hiroshima. Fin dagli anni trenta aveva capito che
decisivi sarebbero stati i progressi nella gestione delle informazioni.
Come districarsi tra le cataste di documenti cartacei: schedari, carta
carbone, archivi? Era come se, ancora negli anni trenta, Bush sentisse che c'era
bisogno di quella cosa che non era stata ancora inventata e che
sarebbe diventata il computer. La sua idea era quella di meccanizzare
la conoscenza.
I microfilm furono già un grande passo avanti, ma subito dopo la
guerra il visionario del progetto atomico scrisse un importante articolo
su "Atlantic Monthly", As We May Think, in cui la macchina di cui c'era
bisogno veniva battezzata "Memex": era un dispositivo individuale, una personale
estensione della memoria. Ed era indicativo della forza dell'ingegno di Vannevar
Bush che avesse pensato a un tavolo da lavoro, con schermo, tastiera,
complicate leve e bottoni, permetterlo non nella biblioteca pubblica, ma nello
studio privato degli studiosi. Egli aveva chiara l'idea - spiega Pedemonte -che
sarebbe diventata l'"ipertestualità" di Nelson, ovvero il fatto che il
tesoro più prezioso nel Memex non era la conservazione delle
informazioni ma la loro connessione, e che queste connessioni, una volta messe
nella macchina non sarebbero evaporate come i ricordi umani. Questa utopia
tecnocratica si sarebbe poi trasformata con l'arrivo prima del Pc e poi di
Internet in quel magico strumento che sono i motori di ricerca con cui si
selezionano i contenuti in Rete, e su qualunque base digitale.
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