L'adolescente di fine secolo si affaccia al 2000 oberato non solo dalle irrinunciabili tempeste ormonali, da traumi sentimentali, da miti scaduti come uno yogurt, ma anche da una ancora più ondeggiante incertezza sul senso della propria immagine, su cosa voglia dire apparire adolescente (esserlo lo si sa sempre più confusamente), portatore e detentore di novità, e quindi di tutte le virtù del mondo junior, comprese se possibile, quelle giovanili, che oggi pare siano molto deprezzate ed è perciò inutile se non dannoso lasciarle a diciottenni ormai incartapecoriti.

Fino a una generazione fa, infatti, il liceale precipitoso, il rockettaro scocomerato, la signorina stanca di sopravvivere, la coatta tatuata, il giovinotto surgelato nel cachemire, erano ancora padroni del paesaggio giovanile e del passeggio mercantile. E come sempre i piccini alle soglie (e doglie) della pubertà cedevano il passo, "invisibili" ai media, fragili e un po' fresconi, subalterni ai soliti professionisti di jeans, disco-rave, pizza, Mtv, motorino, piercing, Italia Uno, Generazione X, cranio rasato, lobi forati, Nirvana, Jack Frusciante, pub, ecstasy, "'du palle".

Ma le cose cambiano. I giovani oggi si sono ritirati dalle play-station di comando perché anche qui la gerarchia delle generazioni è saltata: nessuno cede più il passo a nessuno, i giovani non posseggono più il controllo dello spasso under-18, la loro identità è un po' sparpagliata, il loro sapere deprime la fantasia, spinge alla violenza, mortifica il linguaggio, ormai più pulp del pulp.

Insomma anche qui da noi, come negli Usa, Germania, Gran Bretagna, Giappone, è successo qualcosa di molto simile a ciò che accadde ai dinosauri: all'improvviso, un cataclisma ha alterato irrimediabilmente la biosfera.

Così, Leo di qua Kate di là, eccolo qui il nuovo tipo di giovane che surriscalda il pianeta: il Baby-Titanic.