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Cinema/"Radio Freccia" e "I colori della vittoria" (pagina 2)

Paola Casella

 

 

I COLORI DELLA VITTORIA, diretto da Mike Nichols, interpretato da John Travolta, Emma Thompson, Kathy Bates, Billy Bob Thornton

 

 

E' incredibile quanto I colori della vittoria abbia saputo prevedere i guai di Clinton, soprattutto le <<rogne di donne, che sono le piu' micidiali>>, come dice uno dei componenti dello staff di Jack Stanton (John Travolta), il candidato presidenziale protagonista del film.

D'altra parte la sceneggiatura (firmata da Elaine May, da sempre amica e partner creativa del regista Mike Nichols) e' basata sull'omonimo romanzo scritto (anonimamente) da Joe Klein, giornalista politico che ha partecipato in prima persona alla campagna elettorale del presidente americano, quello vero.

E John Travolta, con i capelli sale e pepe e la ruota di scorta da hamburger e Budweiser, fa di tutto per ricordarci di chi stiamo parlando.

Ma Travolta riesce ugualmente a creare un personaggio con una sua autonomia drammatica (e una vulnerabilita' umana tutta dell'attore), ed Emma Thompson, nei panni di Susan Stanton, la moglie del candidato, non e' esattamente Hillary Clinton, se non altro perche' riesce subito piu' simpatica. Gli altri interpreti sono tutti strepitosi, anche quelli che hanno ruoli minori, come Diane Ladd, Tony Shaloub e Rob Reiner.

Apparentemente, la domanda centrale del film e' la stessa che si e' posto tutto il mondo all'indomani dell'affaire Lewinsky (e Jones e Flowers, eccetera), cioe' se le intemperanze della vita privata di un uomo debbano avere un peso sulla sua figura politica. I colori della vittoria si schiera senza mezzi termini: <<Io sto con il bugiardo>>, dice Henry Burton (Adrian Lester), il giovane campaign manager che e' una delle due coscienze morali del film, e che nonostante questo accetta ogni cedimento del candidato perche' stanco di scommettere sul cavallo perdente (alla MacGovern, per intenderci).

Ma la verita' piu' scomoda la rivela l'altra coscienza morale di I colori della vittoria, la consulente Libby Holden (Kathy Bates), <<ex radicale hippy>> come gli Stanton, con i quali ha condiviso il desiderio di cambiare il mondo: in politica va <<fatto quello che deve essere fatto>>, e agli ideali di gioventu' non si sopravvive. Per questo il finale ottimista (peraltro imposto a Nichols dalla macchina promozionale hollywoodiana) non riesce a cancellare una spiacevole sensazione di Grande Freddo.

 

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