Ultima parte del viaggio lungo
la storia del Trattato costituzionale dell’Unione
europea. Con le parole di Elena Paciotti che è
stata membro tanto della Convenzione che ha redatto
la Carta dei Diritti fondamentali quanto della Convenzione
incaricata di scrivere la futura costituzione dell’Unione,
ripercorriamo le fasi salienti e i concetto chiave che
hanno portato alla realizzazione di quella che, pur
tra alcuni difetti da migliorare, è una novità
assoluta nel diritto internazionale e un passo in avanti
verso la realizzazione di una democrazia sovranazionale.
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Unanimità: un limite, però…
Maschio o femmina, trattato o costituzione? Né
l’uno né l’altro, un ibrido per
rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo.
E quanto al referendum: meglio tenere i piedi per
terra.
Se l’ambito giudiziario rappresenta certamente
uno degli esempi più evidenti di come i sistemi
nazionali evolvano positivamente in una dimensione
sovranazionale, uno dei maggiori limiti del Trattato
sta nelle future possibilità di apportare modifiche
per le quali è prevista l’approvazione
ad unanimità.
Quando parliamo della possibilità di modificare
il testo prodotto dalla Convenzione e approvato dagli
stati membri, affrontiamo un argomento importante
e delicato in cui entra in gioco una domanda molto
rilevante: abbiamo di fronte ai nostri occhi un trattato
o una costituzione? Oppure, per usare le parole di
Giuliano Amato: abbiamo dato vita a un maschio o a
una femmina? E’ un argomento complesso che merita
qualche riflessione.
Il testo di cui parliamo ha molti degli elementi caratteristici
di una costituzione: contiene una Carta dei Diritti
fondamentali, regola i poteri e ne stabilisce la divisione
tra le diverse istituzioni, istituisce un sistema
di giustizia autonomo e indipendente che trasforma
la Corte di Giustizia in una sorta di corte costituzionale
europea. Insomma abbiamo tutti ingredienti propri
di una costituzione, ma manca l’approvazione
da parte della volontà popolare. E qui un’altra
domanda si alza dal dibattito pubblico: è giusto
o no che sia un referendum popolare a sancire definitivamente
l’accettazione della Costituzione per l’Europa?
In realtà, noi stiamo parlando di un testo
che si proponeva come scopo quello di unire, incorporare
e far decadere una serie di trattati che lo hanno
preceduto. Per fare questo, quindi, non si può
usare altro mezzo che quello del trattato, ossia di
un accordo tra stati, discusso e approvato dai governi
degli stati che hanno sottoscritto i precedenti trattati
e poi ratificato secondo le rispettive norme costituzionali.
Inoltre in alcuni stati non ci sono le condizioni
per fare un referendum. La Costituzione italiana,
ad esempio, vieta la consultazione popolare sui trattati
internazionali, quindi per fare un referendum bisognerebbe
approvare una modifica costituzionale, cosa assai
complessa e lunga, e poi, solo in un secondo momento,
chiamare gli italiani a esprimere il proprio voto.
D’altronde in Italia, proprio attraverso un’apposita
legge costituzionale, si è già svolto
nel 1989 un referendum consultivo al termine del quale
i cittadini italiani si dissero, con una maggioranza
dell’88%, favorevoli alla trasformazione dell’allora
Comunità europea in una “effettiva Unione
dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento”,
così recitava il quesito referendario.
Certamente sarebbe bellissimo, come alcuni hanno proposto,
poter istituire una giornata referendaria che veda
tutti i cittadini europei decidere nello stesso giorno
della propria costituzione, ma quanto tempo ci vorrebbe
per cambiare le diverse costituzioni nazionali perché
ciò sia reso possibile? E’ una proposta
realisticamente realizzabile? Credo sia meglio restare
con i piedi per terra e cercare di dare rapidamente
e concretamente corso al testo di cui stiamo parlando.
Rimane il problema che anche qualsiasi futura modifica
del testo è affidata al totale accordo tra
gli stati membri. Questo è certamente un limite
perché consente al governo di ogni singolo
paese di porre il veto su ogni decisione e quindi
di impedire l’evoluzione dell’Unione.
Sarebbe opportuno che si raggiunga in futuro un accordo
per ammettere che le modifiche possano essere approvate
da una consistente maggioranza. E, a dire il vero,
il Trattato contiene una sorta di suggerimento in
questo senso. Vi si legge infatti che mutamenti al
testo possono essere approvati da una nuova convenzione,
nel caso siano ritenuti particolarmente importanti,
oppure, se si tratta di modifiche minori, possono
essere concordate direttamente dai governi e poi ratificate
da tutti gli stati membri, ma è anche previsto
che: “qualora, al termine di un periodo di due
anni a decorrere dalla firma del trattato che modifica
il presente trattato, i quattro quinti degli Stati
membri abbiano ratificato detto trattato e uno o più
Stati membri abbiano incontrato difficoltà
nelle procedure di ratifica, la questione è
deferita al Consiglio europeo” (Art.4/443, 4).
In altre parole, se i quattro quinti degli stati sono
d’accordo sulle modifiche discusse e uno o più
stati si oppongono, il Consiglio europeo cercherà
una soluzione politica. E’ una formula che tenta
di aggirare il pericolo del veto, ma in realtà,
se al posto di queste parole ci fosse stata semplicemente
una frase che assegnava le modifiche al meccanismo
della maggioranza, allora il Trattato costituzionale
sarebbe stato a tutti gli effetti un enorme passo
avanti nella storia del diritto, proiettando la natura
e le funzioni di una costituzione su una sfera diversa,
più ampia, rispetto a quella, statuale, che
le ha viste nascere.
A partire dal trattato di Westfalia del 1648, il diritto
pubblico è stato sempre pensato per gli stati
nazionali; oggi lo stato nazione è una dimensione
insufficiente, inadeguata ad affrontare le sfide del
mondo contemporaneo ed è quindi necessario
trovare soluzioni che ripartiscano l’esercizio
della sovranità in un sistema di ordinamenti
multilivello in cui il potere si eserciti sia nelle
dimensioni locale, regionale e nazionale, sia nella
dimensione sovranazionale o addirittura mondiale,
come ad esempio nel caso dell’Onu.
Ancora una volta, dunque: trattato o costituzione?
Io credo sia giustificato parlare di Trattato costituzionale,
cioè di un testo che non è soltanto
un trattato né è una vera costituzione,
ma, come sostiene Maurizio Fioravanti nel saggio contenuto
nel libro La Costituzione europea. Luci e ombre
(Meltemi, 2003) un ibrido tra entrambi che risponde
non solo alle esigenze soddisfatte da un trattato
ma anche alle domande cui risponde una costituzione.
L’ingegno giuridico europeo ha inventato in
epoca moderna lo stato nazione per superare i limiti
delle organizzazioni politiche medievali ormai insufficienti
e inadeguate per la nuova epoca; all’alba del
terzo millennio ha inventato l’Unione sopranazionale
per superare i limiti degli stati-nazione inadeguati
ad affrontare le sfide della globalizzazione.
Pregi e difetti
Si può migliorare, si deve perfezionare;
ma a chi dice che è un testo in cui si parla
solo di mercato rispondo che, invece, contiene le
solide basi democratiche per l’Unione europea.
Il Trattato che adotta la Costituzione europea è
dunque un testo che segna un’ evoluzione importantissima
per la storia europea, dei cittadini e delle loro
istituzioni; contiene sì alcuni difetti, ma
questi non sono quelli segnalati e additati da alcune
voci dell’estrema sinistra secondo le quali
si è voluta disegnare un’Europa che guarda
solamente ai mercati e al denaro. Credo che in queste
parole ci sia il grave errore di visioni politiche
che già in passato hanno contestato la Costituzione
italiana prima di farne, oggi, una bandiera; hanno
criticato il trattato di Roma che istituiva l’Unione
europea e oggi sostengono di volere una Ue con un
ancora più alto livello di integrazione. Allo
stesso modo credo che fra qualche anno queste stesse
voci non potranno non rendersi conto che l’Unione
cui dà vita questo Trattato non può
in nessun modo essere liquidata e definita banalmente
come un grande mercato. E’ un testo che è
nato proprio con il compito di fondere la dimensione
economica della Comunità europea con un’Europa
politica, è un testo in cui è scritto
a chiare lettere che obiettivi dell’Unione sono
la promozione della pace, dello sviluppo sostenibile,
dell’economia sociale di mercato, della qualità
dell’ambiente, della coesione economica e sociale
e territoriale, della solidarietà tra gli stati
membri, della tutela dei diritti umani e dei minori
e la rigorosa osservanza del diritto internazionale.
Il testo di cui ci troviamo a parlare e a discutere
è, l’ho detto e lo voglio ripetere, certamente
migliorabile e sicuramente andrà incontro a
futuri perfezionamenti, ma è il testo che oggi
venticinque stati membri si trovano materialmente
tra le mani e che contiene le basi essenziali per
l’istituzione politica dell’Unione. Non
è un trattato di pace che due o più
stati hanno sottoscritto e che possono prima o poi
tradire, ma è un vero e proprio Trattato costituzionale
che intreccia tra di loro le istituzioni politiche
per dare delle solide basi democratiche all’Unione
europea. Esso è un vero, reale, concreto passo
avanti nel cammino dell’Unione, ne potenzia
la dimensione sovranazionale, le offre la possibilità
di governare la complessità e di costruire
un nuovo protagonista della politica internazionale
capace di diffondere i principi e i valori di pace,
uguaglianza, solidarietà che ne hanno ispirato
la fondazione.
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