A
chi credere, agli euroentusiasti o agli euroscettici?
Due schieramenti dividono i giudizi intorno al Trattato
che adotta la Costituzione europea.
Da una parte, chi vede nel 29 ottobre 2004, il giorno
che ha visto il testo approvato dai capi di Stato e
di governo dei paesi membri dell’Unione, un momento
cruciale nella storia dell’Europa, la data di
nascita politica di una Ue che si fa soggetto sovranazionale:
una realtà mai esistita, una straordinaria invenzione.
Dall’altra, coloro che non fanno che mettere in
luce i difetti del Trattato, la sua natura incompleta
e imperfetta, e lo considerano il frutto acerbo di compromessi
diplomatici che ruotano intorno al mercato.
Ma, prima di decidere da che parte stare, con gli scettici
o con gli entusiasti, vogliamo provare ad affondare
lo sguardo in questo Trattato, nella storia della sua
nascita, nelle domande cui è stato chiamato a
dare risposta. Potremmo iniziare dalla lettura integrale
del testo, poi documentarci sui libri scritti sull’argomento,
navigare su mille e mille siti internet che ci riempiranno
di informazioni, notizie, numeri e valutazioni. Oppure
potremmo semplicemente chiedere di raccontarci il Trattato
a chi l’ha vissuto in prima persona, pensandolo
e scrivendolo. Potremmo così ripercorrerne le
fasi della genesi, ascoltare il racconto della sua evoluzione,
capire i motivi delle scelte. Avremmo così la
storia viva di un documento vivo come una costituzione.
Ed Elena Paciotti, presidente della Fondazione Basso
e parlamentare europeo dal 1999 al 2004, il Trattato
lo ha visto nascere e crescere anche tra le sue mani,
lei che, unica italiana, ha fatto parte delle due Convenzioni
che hanno redatto prima la Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione europea, e poi questo testo che vuole
essere la Costituzione della futura Ue. E il racconto
inizia dai giorni più recenti, proprio dalla
firma del 29 ottobre:
“Questo
testo è certamente incompleto, ha ampi margini
di miglioramento e certamente in futuro verrà
migliorato, ma fra le tante qualità che ha c’è
quella di essere un passo cruciale nella storia dell’Unione
europea. Non dobbiamo fare l’errore di considerare
questo Trattato un risultato definitivo, è invece
una tappa preziosa e importantissima di un processo
che è in continua evoluzione, un percorso iniziato
nell’immediato dopoguerra quando nacque l’idea
di fondare la Comunità europea e che in questi
decenni si è evoluto per passi progressivi, per
acquisizioni parziali che hanno sempre aggiunto qualcosa
alla situazione precedente, portandola avanti, migliorandola
nella direzione della piena formazione di un soggetto
politico sovranazionale”.
Tanti trattati in un solo Trattato.
Alla ricerca del metodo più efficace per
governare l’Unione e l’esempio della Comunità
europea: un sistema di decisioni democratico pensando
all’Europa prima che agli interessi particolari.
Non pochi giuristi giudicano principale pregio di questo
testo il fatto che riunisca in sé tutti i trattati
precedenti e attribuisca un’unica personalità
giuridica al nuovo ente sopranazionale, che diventa
un soggetto del diritto internazionale capace di esprimere
con una sola voce la posizione dell’Europa unita
nel mondo (nei limiti, ovviamente, in cui una posizione
comune sia adottata). Le acquisizioni cui si era giunti
con passi successivi attraverso i trattati di Roma (1957),
Maastricht (1992), Amsterdam (1999) e Nizza (2001) sono
decisamente arricchite e prendono corpo in un testo
unico, in un unico documento che fonde la Comunità
europea e l’Unione europea.
La prima è nata con lo scopo di unificare il
mercato europeo e lo gestisce secondo quello che chiamiamo
metodo comunitario, una procedura efficace, democratica
e trasparente, che qui riassumo in modo semplificato.
Quando c’è da prendere un provvedimento
che vada a modificare lo stato esistente delle cose,
la Commissione consulta tutti i soggetti che possono
essere interessati all’ambito in cui si è
deciso di intervenire (non solo i governi dei singoli
stati, ma anche le organizzazioni sociali e le associazioni
private che si occupano di quel campo specifico) e presenta
poi al Consiglio dei ministri e al Parlamento europeo
una proposta che non è semplice espressione di
interessi particolari o di un solo stato membro, ma
è orientata dall’interesse e dall’ottica
di un’entità sovranazionale qual è
la Commissione.
Dopo il voto del Parlamento europeo, che è eletto
direttamente dai cittadini europei, la proposta passa
al vaglio del Consiglio, in cui siedono i rappresentanti
dei governi degli stati membri, che decide a maggioranza
qualificata, espressione cioè della maggioranza
non solo dei paesi ma anche della popolazione europea.
Si tratta quindi di un sistema che parte da un interesse
sovranazionale rappresentato dalla Commissione, passa
attraverso un’approvazione parlamentare che garantisce
alla decisione pubblicità e democrazia, per poi
concludersi con l’approvazione a maggioranza dei
governi, in modo tale che nessuno stato da solo possa
impedire con un veto la decisione.
L’Unione europea invece è nata nel momento
in cui ci si è resi conto che l’ambito
di interesse della Comunità, in origine limitata
al mercato, inevitabilmente coinvolgeva gli stati membri
in dimensioni più complesse, che chiamavano in
causa questioni di ordine politico. Unificare il mercato
voleva dire abolire le frontiere interne, come è
stato fatto dal trattato di Schengen, consentire la
libera circolazione delle persone, delle merci, dei
beni, dei servizi; da qui si ponevano una serie di problemi
e di urgenze quali l’unificazione delle politiche
sull’immigrazione dei diversi stati membri, la
necessità di un approccio comune e di strumenti
comuni per la lotta alla criminalità, fino alla
politica estera, che era rimasta prerogativa dei singoli
stati. Mentre la Comunità europea continuava
a gestire la dimensione economica e commerciale, l’Unione
nasceva per occuparsi di questioni più prettamente
politiche quali la sicurezza interna, la cooperazione
giudiziaria in materia penale e la politica estera.
A differenza però della Comunità europea,
che agiva seguendo un’ottica sovranazionale, l’Ue
si fondava su un sistema ancora regolato dal diritto
internazionale secondo il quale ogni stato è
pienamente sovrano e prevede per ogni decisione l’accordo
di tutti i governi nazionali.
Il primo obiettivo del Trattato costituzionale è
stato quello di fondere queste due realtà, la
Comunità e l’Unione, ed estendere il metodo
comunitario, che si era rivelato funzionale alla gestione
del mercato, a quelle politiche che ormai non potevano
più rimanere competenza esclusiva dei singoli
stati membri.
Dal successo della prima convenzione al fallimento
di Nizza.
Un passo alla volta, verso la Costituzione;innovativa
nel rispetto della tradizione: la Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione europea.
Alla Conferenza intergovernativa una domanda senza risposta:
chi rappresenta l’Europa?
L’evoluzione dell’Unione era affidata ai
trattati. Maastricht, Amsterdam, Nizza, sono stati piccoli
passi, aggiustamenti progressivi che di volta in volta
aggiungevano qualcosa al consolidamento delle istituzioni
e al valore politico dell’Ue. Ma è arrivato
un momento in cui il metodo dei piccoli passi non bastava
più e si poneva l’esigenza di costruire
un vero e proprio organismo politico sopranazionale
che rispettasse i principi (di democrazia e stato di
diritto) che il costituzionalismo moderno richiede per
il legittimo esercizio del potere pubblico, in questo
caso: di quella quota di sovranità che gli Stati
membri avevano deciso di condividere ed esercitare attraverso
istituzioni comuni.
Nell’arco della legislatura del Parlamento europeo
1999 - 2004, ha avuto così inizio un vero e proprio
processo di costituzionalizzazione dell’Unione
europea. Il primo passo è stato fatto dal Consiglio
di Colonia del ’99, che ha deciso che fosse redatta
una Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
europea, un documento che, rendendo espliciti i diritti
fondamentali riconosciuti nelle tradizioni costituzionali
comuni degli stati europei, rendesse legittima la supremazia
del diritto comunitario sul diritto nazionale. Si trattava,
in sostanza, di rendere evidente e garantire che i principi
costituzionali e i diritti fondamentali vigenti in Europa
sarebbero stati rispettati nell’esercizio delle
competenze sia della Comunità europea che dell’Unione
europea.
Per realizzare questo ambizioso obiettivo, è
stato inventato un nuovo organismo, la Convenzione,
un’assemblea dotata di un elevato grado di rappresentatività
democratica perché formata non solo da rappresentanti
dei governi, ma anche da membri della Commissione, del
Parlamento europeo e dei singoli parlamenti nazionali.
Il risultato del lavoro della Convenzione è stato
obiettivamente un successo. In soli otto mesi (contro
i dodici inizialmente concessi dal Consiglio europeo)
si è scritto un documento innovativo che non
si accontentava di essere la semplice elencazione dei
diritti che sono alla base di qualsiasi moderno assetto
costituzionale, ma costituiva una vera e propria innovazione
rispetto a quanto di simile era stato prodotto fino
ad allora in ambito sopranazionale o internazionale.
La Carta dei Diritti,infatti, ma contiene tanto i diritti
politici e civili tradizionali, quanto i diritti sociali
ed economici, dimostrando un grado di completezza (se
pur provvisorio e perfettibile) che non ha pari.
Essa è suddivisa in capitoli che prendono il
nome dai grandi valori che la ispirano: libertà,
uguaglianza, solidarietà, giustizia e cittadinanza,
sancendo così la “indivisibilità”
e la pari rilevanza di tutti i diritti fondamentali
elencati nella Carta. Inoltre la Carta non si limita
ad affermare i diritti che ci vengono dalla tradizione
democratica del passato, ma contiene anche nuovi diritti
che cercano di far fronte a nuovi rischi come quelli
cui ci mettono di fronte gli sviluppi della biomedicina
o delle tecnologie informatiche rispetto alla dignità
e alla privacy delle persone.
Nella completezza, nell’innovazione, nell’ampio
respiro dello sguardo da cui è nata, nell’originalità
e insieme nel rispetto della tradizione stanno le caratteristiche
di questa Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
che è stata, nel dicembre 2000, sottoscritta
dal Consiglio, dal Parlamento e dalla Commissione e
che ora costituisce la parte seconda del Trattato costituzionale.
Nel frattempo la Conferenza Intergovernativa (Cig)
di Nizza avrebbe dovuto modificare le istituzioni europee,
il sistema e le procedure decisionali per compiere un
ulteriore passo verso la realizzazione di una comunità
politica sovranazionale che fosse in grado di ricevere
al suo interno i dieci nuovi stati membri che si affacciavano
alle porte dell’Unione. Il problema che si presentava
era allora quello di riformare le istituzioni europee
che -nonostante l’Unione fosse cambiata e cresciuta
negli anni a partire dai sei membri fondatori progressivamente
aumentati a dodici e poi a quindici - erano evolute
in modo insufficiente. Inoltre, come accennato, nell’ambito
dell’Unione il parlamento aveva una funzione esclusivamente
consultiva mentre la possibilità di prendere
decisioni rimaneva nelle mani dei singoli governi nazionali.
Un simile sistema di gestione di un’entità
sovranazionale non garantiva affatto che le decisioni
venissero prese nel rispetto del principio di democrazia
e in un’ottica europea.
La Cig si trovava nelle condizioni di dover soddisfare
una doppia esigenza: da una parte si dovevano costruire
gli strumenti per realizzare un efficace sistema istituzionale
che comprendesse venticinque stati, dall’altra
urgeva la necessità di rendere più democratica
la struttura dell’Unione ispirandosi al sistema
comunitario che prevedeva che ogni decisione, per essere
adottata, dovesse avere l’approvazione del parlamento.
Alla fine della conferenza gli stessi partecipanti non
hanno potuto far altro che registrare un fallimento;
d’altra parte come si sarebbe mai potuto dare
solide basi all’Europa se ciascun partecipante
alla conferenza era portatore degli interessi particolari
di uno stato? In una sede in cui ciascuno è chiamato
a rappresentare il governo di cui fa parte, è
ovvio che faccia gli interessi di quello, è anzi
un suo preciso dovere politico. Ma se ognuno rappresentava
una realtà nazionale e ne curava gli interessi,
chi faceva gli interessi dell’Europa? Nessuno
aveva il compito di rappresentare l’Unione in
maniera istituzionale sul piano decisionale, né
era previsto per il Parlamento, emanazione diretta dell’espressione
popolare europea, un ruolo politicamente attivo. Insomma,
la Conferenza di Nizza non ha prodotto effetti positivi
se non quello di stabilire il numero di deputanti destinati
ad ogni stato membro: in altre parole, a Nizza si è
resa formalmente possibile l’adesione dei nuovi
membri, stabilendo il loro posto nelle istituzioni esistenti,
ma non si sono create strutture politicamente indispensabili
per governare un organismo sovranazionale che comprendesse
venticinque stati.
(a cura di Mauro Buonocore).
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