276 - 29.04.05


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Una bussola per orientarsi
tra stato e religione

Giancarlo Bosetti



Questo articolo è tratto dal dossier “Democrazia bisognosa di religione?” con il dialogo tra Jürgen Habermas e Joseph Ratzinger, apparso nel numero 83 di Reset (maggio-giugno ‘04).

La spiegazione 1
Libertà e religione

La domanda che Habermas attribuisce con la sua tipica precisione a un autore tedesco poco conosciuto, Böckenförde, e a una data, il 1967, è di quelle che sono state rivolte spesso e istintivamente ad autori liberali, e potrebbe essere resa più facilmente così: i moderni stati democratici sarebbero stati possibili se le loro società non fossero state «preparate» dal lavorìo di una religione?
Che cosa rispondono di solito i liberali classici? «Certamente sì, anzi, sapete una cosa? al contrario di quel che è implicito nella domanda, le società e gli stati liberali sono nati contro l’oppressione della religione». Il cammino della libertà è un processo di secolarizzazione e la secolarizzazione è proprio lo svincolarsi della società civile, dei ceti, e soprattutto degli individui da ogni forma di tutela. Dunque… Quali autori liberali rispondono a quel modo? Generalmente tutti gli illuministi, Diderot, Kant e poi Constant, e poi, più vicini a noi, Popper, Berlin, Hayek, Bobbio. Tutti tendono a dirvi: attenzione, quando si parla di libertà (ma anche di pace o di buon governo), nella religione trovate di solito il problema non la soluzione. Ma qui Habermas, che pure appartiene certamente alla tradizione illuministica, il cui progetto vorrebbe vedere completato e non accantonato, accenna a un movimento, misurato, contenuto, eppure chiaro nella direzione opposta. Non solo accetta la domanda sulle «premesse», e non la respinge al mittente (Ratzinger) ma lascia intendere con questo importante, seppur difficile, articolo che se non il passato almeno il presente del mondo sembra aver bisogno del contributo di queste «premesse». Tra cittadini religiosi e secolarizzati è da accantonare la prospettiva di una resa dei conti finale, c’è e probabilmente ci sarà sempre da aspettarsi, «ragionevolmente, la sopravvivenza di un dissenso». Persistenza del dissenso, dunque, e persistenza della religione.


La spiegazione 2
Il liberalismo di Rawls

La persistenza della religione ed il suo manifestarsi come una forza imponente in ogni parte del mondo, creano più di un problema. Non c’è soltanto una evidenza empirica di cui prendere atto, non c’è solo un fatto, c’è anche un diritto, che va collocato dentro un ordine liberale, che per essere tale ha da essere neutrale e non sottomesso in tutto o in parte alle credenze religiose di gruppi, per quanto numerosi essi siano. Qui Habermas dà per acquisita la teoria liberale di Rawls, quella di Liberalismo politico, detta anche della «ragione pubblica». Si tratta di una costruzione pluralistica in base alla quale entro un ordinamento costituzionale liberale nella discussione pubblica si possono far valere tutti i tipi di dottrine morali o teorie politiche «onnicomprensive», siano esse religiose o laiche o antireligiose o antilaiche, ma si fanno valere solo in tanto in quanto si intersecano, si sovrappongono (overlap) in un’area di ragionevole consenso. Quella parte di una religione che sconfina rispetto al consenso degli altri (delle altre dottrine in gioco) non può pretendere di diventare legge per tutti, imponendo per esempio il rifiuto delle trasfusioni di sangue o la lapidazione delle adultere (vincoli e credenze sulle quali non c’è quella ragionevole intersezione che la neutralità liberale pretende). Il liberalismo di Rawls ammette che le religioni in quanto tali, attraverso i cittadini che vi aderiscono, contribuiscano alla discussione a condizione di tradurre le loro tesi «in linguaggio politico», e di far tacere le «eccedenze», cioè l’area non overlapping. Qui Habermas sembra concedere qualche cosa di più alla religione: i non credenti devono concedere ai credenti il diritto di partecipare alle discussioni pubbliche «in lingua religiosa». E un ordinamento liberale può chiedere agli stessi non credenti di partecipare allo sforzo per tradurre quel che è utile tradurre dalla lingua religiosa alla lingua di tutti.

La spiegazione 3
Le novità dell’agenda

Rawls poneva al religioso una clausola condizionale: partecipi ma ti devi adattare alla lingua della politica. Habermas chiede ai laici uno sforzo maggiore: dovete aiutare attivamente questo passaggio. E fa questa richiesta, possiamo dirlo a ragion veduta, non in base a una pura distinzione teoretica rispetto a Rawls, ma per ragioni empiriche, le ragioni empiriche che richiama anche nel suo articolo e che vengono dagli ultimi due decenni, quelli passati dopo i lavori più importanti dello scomparso collega americano, e in base alla concreta esperienza europea: i grandi flussi migratori che hanno portato l’Islam ed altre religioni in Europa, l’affacciarsi di un ordine del giorno inedito nei parlamenti con le nuove frontiere della scienza, le biotecnologie, la fecondazione artificiale, e soprattutto con l’attacco che la globalizzazione economica compie alle fonti della solidarietà tra i cittadini dello Stato.

La spiegazione 4
Laici e religiosi complementari

Si fa strada in Habermas l’idea che una secolarizzazione aberrante sgretoli il cemento che teneva insieme i popoli nei loro Stati e che questo vuoto offra un terreno nuovo alle religioni, ma non intende concedere qui una «plusvalenza argomentativa» ai fautori della religione (Ratzinger). Al contrario chiede ai «secolarizzati» di sobbarcarsi a uno sforzo maggiore, quello di aiutare la traduzione in politica del possibile apporto che viene dal potenziale di verità che deve essere riconosciuto alla religione. Potrebbe derivare da questo «aiutare» una sgradevole (per il religioso) asimmetria tra le parti, ma Habermas vuole che, tra secolarizzati e non, il gioco sia leale, paritario: «un processo di apprendimento biunivoco». Essenziale prendersi sul serio. L’errore da non fare è quello compiuto sempre dai fondamentalisti (che sono tali appunto perché non riescono a sospettare la potenziale verità che c’è nelle tesi dei loro antagonisti) ma anche per esempio dalle due parti nell’ultima discussione parlamentare italiana sulla fecondazione artificiale (come ben messo a fuoco su Reset, marzo-aprile 2004, dal dialogo tra Rosy Bindi e Salvatore Veca). Le parti non si dovrebbero trattare da «oscurantisti» contro «malfattori» ma dovrebbero «prendere sul serio i reciproci contributi». Dovrebbero trattarsi – è la posizione di Habermas – da «complementari» gli uni con gli altri se vogliono prendere sul serio la secolarizzazione.

La spiegazione 5
Come cambia l’idea di secolarizzazione

La secolarizzazione, il pensiero di Habermas è qui manifesto, non è dunque da intendersi come liberazione della società dall’ideologia religiosa, dalle dottrine morali onnicomprensive che ne scaturiscono, ma come regolazione dei rapporti di comunicazione, nel costruirsi di una opinione che nasce fisiologicamente dall’apporto di linguaggi diversi – religiosi e secolari – nel comune spazio della politica. Possiamo chiamarla, se vogliamo, con Eder, altro autore chiamato in causa da Habermas, «post-secolarizzazione». Dalla riflessione sulla «persistenza» della religione e sulla sua funzione e visibilità, indubbiamente crescenti nel nostro orizzonte dopo l’89 e con il declino delle ideologie non religiose, Habermas trae come prima lezione quella di fortificare nel suo pensiero la necessità delle procedure democratiche come uniche garanzie della produzione di diritto. Sono le procedure democratiche a garantire che dal magma dei mondi vitali, dalla sfera pubblica nella quale configgono gli interessi e le preferenze, scaturisca una articolata opinione pubblica e che questa sappia diventare il contenuto della sovranità popolare che, attraverso le istituzioni parlamentari secerne poi diritto. Questo era lo schema di Fatti e valori (Faktizitaet und Geltung), ma qui viene in luce non solo l’aspetto razionale del cittadino, quello che lo mette in grado di far parte a certe condizioni di una comunità di esseri razionali capaci di comunicare e capirsi, qui Habermas fa appello a un supplemento di virtù politiche che sono alimentate da una società civile, dove devono avere le loro radici. E queste virtù sembrano richiedere qualche cosa di più rispetto alla pura razionalità degli esseri umani: una dotazione di solidarietà e coesione rispetto alla quale si affaccia la candidatura della religione a dichiararsene produttrice.

La spiegazione 6
Chi si occupa di vite andate male?

In questa area «prepolitica» Habermas concede almeno quanto concedeva Rawls (sarebbe stata possibile la battaglia dei neri americani per i diritti civili senza l’apporto delle chiese protestanti e senza la guida del reverendo Martin Luther King? E non fu quella una battaglia liberale?) e forse qualche cosa di più. Qualche cosa di più, perché Habermas riconosce che una secolarizzazione resa aberrante, disintegrante dalla globalizzazione non lascia più vedere come la ordinaria sovranità popolare garantita dalle procedure democratiche riesca a far fronte al tremendo carico che la realtà empirica scarica sulle nostre società: vite andate male, progetti di vita falliti «contesti di vita sfigurati». Habermas sembra chiedersi, e chiederci: ma quale soggetto politico può contendere ai religiosi, ma sì, proprio ai «cittadini non secolarizzati», questo spazio di intervento che ci appare moralmente così necessario?

La spiegazione 7
Ancora patriottismo costituzionale

Ma certo Habermas non rovescia il suo «patriottismo costituzionale». Guai ad accantonare la saldezza delle procedure democratiche, la criticità dello spazio pubblico, le garanzie di un discorso pubblico libero con tutto quel che segue. Che sono tutti fattori coesivi della modernità. Il carattere astratto e razionale della cittadinanza non toglie nulla alla sua funzionalità, anzi lo scioglimento dagli «ancoraggi prepolitici» dà al processo normativo una forza e una estensione anche maggiori. Le norme universali del diritto, anche su scala internazionale, con le istituzioni che ne scaturiscono (compresa l’Unione europea, con Nizza e oltre Nizza verso una Costituzione) sono nate, in altre parole, da un terreno sociale ricco di umori morali di tipo religioso, ma il loro divenir norme, istituzioni, diritto, il loro muovere verso la astrazione rimane per Habermas decisamente un progresso. Il che lo spinge a guardare – e sia detto nel modo più semplice – con simpatia a quel che la religione ha di universale, ai principi di equità che essa contiene (è l’area che Rawls qualificherebbe overlapping), una simpatia che si estende a quel che la religione ha in comune con il razionalismo e con l’Illuminismo (!). Tant’è vero che sembra affacciarsi una captatio benevolentiae, o ancor di più una proposta di alleanza contro il nichilismo nietzscheano o straussiano, che nella loro furia distruttiva della ragione, sia pure per dichiararne o constatarne il fallimento più che per averlo provocato, dilapidano ogni riserva di equità, universalità, solidarietà e così via sperperando risorse coesive. Nota Habermas: «Uno scetticismo radicale nei confronti della ragione è invero originariamente estraneo alla tradizione cattolica.» Ecco l’invito ai cattolici a farsi avanti in una battaglia di idee contro il postmodernismo, insieme ai continuatori del progetto illuministico. La discussione partita dalla domanda storica circa la funzione delle premesse religiose della società liberale sembra andare a concludersi verso la necessità attuale di un sostegno politico da parte della religione al processo liberaldemocratico, indebolito e minacciato.



 

 

 

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