Questo
articolo è tratto dal dossier “Democrazia
bisognosa di religione?” con il dialogo tra Jürgen Habermas e Joseph Ratzinger, apparso nel numero 83 di Reset
(maggio-giugno ‘04).
La spiegazione 1
Libertà e religione
La domanda che Habermas attribuisce con la sua tipica
precisione a un autore tedesco poco conosciuto, Böckenförde,
e a una data, il 1967, è di quelle che sono state
rivolte spesso e istintivamente ad autori liberali,
e potrebbe essere resa più facilmente così:
i moderni stati democratici sarebbero stati possibili
se le loro società non fossero state «preparate»
dal lavorìo di una religione?
Che cosa rispondono di solito i liberali classici? «Certamente
sì, anzi, sapete una cosa? al contrario di quel
che è implicito nella domanda, le società
e gli stati liberali sono nati contro l’oppressione
della religione». Il cammino della libertà
è un processo di secolarizzazione e la secolarizzazione
è proprio lo svincolarsi della società
civile, dei ceti, e soprattutto degli individui da ogni
forma di tutela. Dunque… Quali autori liberali
rispondono a quel modo? Generalmente tutti gli illuministi,
Diderot, Kant e poi Constant, e poi, più vicini
a noi, Popper, Berlin, Hayek, Bobbio. Tutti tendono
a dirvi: attenzione, quando si parla di libertà
(ma anche di pace o di buon governo), nella religione
trovate di solito il problema non la soluzione. Ma qui
Habermas, che pure appartiene certamente alla tradizione
illuministica, il cui progetto vorrebbe vedere completato
e non accantonato, accenna a un movimento, misurato,
contenuto, eppure chiaro nella direzione opposta. Non
solo accetta la domanda sulle «premesse»,
e non la respinge al mittente (Ratzinger) ma lascia
intendere con questo importante, seppur difficile, articolo
che se non il passato almeno il presente del mondo sembra
aver bisogno del contributo di queste «premesse».
Tra cittadini religiosi e secolarizzati è da
accantonare la prospettiva di una resa dei conti finale,
c’è e probabilmente ci sarà sempre
da aspettarsi, «ragionevolmente, la sopravvivenza
di un dissenso». Persistenza del dissenso, dunque,
e persistenza della religione.
La spiegazione 2
Il liberalismo di Rawls
La persistenza della religione ed il suo manifestarsi
come una forza imponente in ogni parte del mondo, creano
più di un problema. Non c’è soltanto
una evidenza empirica di cui prendere atto, non c’è
solo un fatto, c’è anche un diritto, che
va collocato dentro un ordine liberale, che per essere
tale ha da essere neutrale e non sottomesso in tutto
o in parte alle credenze religiose di gruppi, per quanto
numerosi essi siano. Qui Habermas dà per acquisita
la teoria liberale di Rawls, quella di Liberalismo
politico, detta anche della «ragione pubblica».
Si tratta di una costruzione pluralistica in base alla
quale entro un ordinamento costituzionale liberale nella
discussione pubblica si possono far valere tutti i tipi
di dottrine morali o teorie politiche «onnicomprensive»,
siano esse religiose o laiche o antireligiose o antilaiche,
ma si fanno valere solo in tanto in quanto si intersecano,
si sovrappongono (overlap) in un’area
di ragionevole consenso. Quella parte di una religione
che sconfina rispetto al consenso degli altri (delle
altre dottrine in gioco) non può pretendere di
diventare legge per tutti, imponendo per esempio il
rifiuto delle trasfusioni di sangue o la lapidazione
delle adultere (vincoli e credenze sulle quali non c’è
quella ragionevole intersezione che la neutralità
liberale pretende). Il liberalismo di Rawls ammette
che le religioni in quanto tali, attraverso i cittadini
che vi aderiscono, contribuiscano alla discussione a
condizione di tradurre le loro tesi «in linguaggio
politico», e di far tacere le «eccedenze»,
cioè l’area non overlapping. Qui
Habermas sembra concedere qualche cosa di più
alla religione: i non credenti devono concedere ai credenti
il diritto di partecipare alle discussioni pubbliche
«in lingua religiosa». E un ordinamento
liberale può chiedere agli stessi non credenti
di partecipare allo sforzo per tradurre quel che è
utile tradurre dalla lingua religiosa alla lingua di
tutti.
La spiegazione 3
Le novità dell’agenda
Rawls poneva al religioso una clausola condizionale:
partecipi ma ti devi adattare alla lingua della politica.
Habermas chiede ai laici uno sforzo maggiore: dovete
aiutare attivamente questo passaggio. E fa questa richiesta,
possiamo dirlo a ragion veduta, non in base a una pura
distinzione teoretica rispetto a Rawls, ma per ragioni
empiriche, le ragioni empiriche che richiama anche nel
suo articolo e che vengono dagli ultimi due decenni,
quelli passati dopo i lavori più importanti dello
scomparso collega americano, e in base alla concreta
esperienza europea: i grandi flussi migratori che hanno
portato l’Islam ed altre religioni in Europa,
l’affacciarsi di un ordine del giorno inedito
nei parlamenti con le nuove frontiere della scienza,
le biotecnologie, la fecondazione artificiale, e soprattutto
con l’attacco che la globalizzazione economica
compie alle fonti della solidarietà tra i cittadini
dello Stato.
La spiegazione 4
Laici e religiosi complementari
Si fa strada in Habermas l’idea che una secolarizzazione
aberrante sgretoli il cemento che teneva insieme i popoli
nei loro Stati e che questo vuoto offra un terreno nuovo
alle religioni, ma non intende concedere qui una «plusvalenza
argomentativa» ai fautori della religione (Ratzinger).
Al contrario chiede ai «secolarizzati» di
sobbarcarsi a uno sforzo maggiore, quello di aiutare
la traduzione in politica del possibile apporto che
viene dal potenziale di verità che deve essere
riconosciuto alla religione. Potrebbe derivare da questo
«aiutare» una sgradevole (per il religioso)
asimmetria tra le parti, ma Habermas vuole che, tra
secolarizzati e non, il gioco sia leale, paritario:
«un processo di apprendimento biunivoco».
Essenziale prendersi sul serio. L’errore da non
fare è quello compiuto sempre dai fondamentalisti
(che sono tali appunto perché non riescono a
sospettare la potenziale verità che c’è
nelle tesi dei loro antagonisti) ma anche per esempio
dalle due parti nell’ultima discussione parlamentare
italiana sulla fecondazione artificiale (come ben messo
a fuoco su Reset, marzo-aprile 2004, dal dialogo
tra Rosy Bindi e Salvatore Veca). Le parti non si dovrebbero
trattare da «oscurantisti» contro «malfattori»
ma dovrebbero «prendere sul serio i reciproci
contributi». Dovrebbero trattarsi – è
la posizione di Habermas – da «complementari»
gli uni con gli altri se vogliono prendere sul serio
la secolarizzazione.
La spiegazione 5
Come cambia l’idea di secolarizzazione
La secolarizzazione, il pensiero di Habermas è
qui manifesto, non è dunque da intendersi come
liberazione della società dall’ideologia
religiosa, dalle dottrine morali onnicomprensive che
ne scaturiscono, ma come regolazione dei rapporti di
comunicazione, nel costruirsi di una opinione che nasce
fisiologicamente dall’apporto di linguaggi diversi
– religiosi e secolari – nel comune spazio
della politica. Possiamo chiamarla, se vogliamo, con
Eder, altro autore chiamato in causa da Habermas, «post-secolarizzazione».
Dalla riflessione sulla «persistenza» della
religione e sulla sua funzione e visibilità,
indubbiamente crescenti nel nostro orizzonte dopo l’89
e con il declino delle ideologie non religiose, Habermas
trae come prima lezione quella di fortificare nel suo
pensiero la necessità delle procedure democratiche
come uniche garanzie della produzione di diritto. Sono
le procedure democratiche a garantire che dal magma
dei mondi vitali, dalla sfera pubblica nella quale configgono
gli interessi e le preferenze, scaturisca una articolata
opinione pubblica e che questa sappia diventare il contenuto
della sovranità popolare che, attraverso le istituzioni
parlamentari secerne poi diritto. Questo era lo schema
di Fatti e valori (Faktizitaet und Geltung),
ma qui viene in luce non solo l’aspetto razionale
del cittadino, quello che lo mette in grado di far parte
a certe condizioni di una comunità di esseri
razionali capaci di comunicare e capirsi, qui Habermas
fa appello a un supplemento di virtù politiche
che sono alimentate da una società civile, dove
devono avere le loro radici. E queste virtù sembrano
richiedere qualche cosa di più rispetto alla
pura razionalità degli esseri umani: una dotazione
di solidarietà e coesione rispetto alla quale
si affaccia la candidatura della religione a dichiararsene
produttrice.
La spiegazione 6
Chi si occupa di vite andate male?
In questa area «prepolitica» Habermas concede
almeno quanto concedeva Rawls (sarebbe stata possibile
la battaglia dei neri americani per i diritti civili
senza l’apporto delle chiese protestanti e senza
la guida del reverendo Martin Luther King? E non fu
quella una battaglia liberale?) e forse qualche cosa
di più. Qualche cosa di più, perché
Habermas riconosce che una secolarizzazione resa aberrante,
disintegrante dalla globalizzazione non lascia più
vedere come la ordinaria sovranità popolare garantita
dalle procedure democratiche riesca a far fronte al
tremendo carico che la realtà empirica scarica
sulle nostre società: vite andate male, progetti
di vita falliti «contesti di vita sfigurati».
Habermas sembra chiedersi, e chiederci: ma quale soggetto
politico può contendere ai religiosi, ma sì,
proprio ai «cittadini non secolarizzati»,
questo spazio di intervento che ci appare moralmente
così necessario?
La spiegazione 7
Ancora patriottismo costituzionale
Ma certo Habermas non rovescia il suo «patriottismo
costituzionale». Guai ad accantonare la saldezza
delle procedure democratiche, la criticità dello
spazio pubblico, le garanzie di un discorso pubblico
libero con tutto quel che segue. Che sono tutti fattori
coesivi della modernità. Il carattere astratto
e razionale della cittadinanza non toglie nulla alla
sua funzionalità, anzi lo scioglimento dagli
«ancoraggi prepolitici» dà al processo
normativo una forza e una estensione anche maggiori.
Le norme universali del diritto, anche su scala internazionale,
con le istituzioni che ne scaturiscono (compresa l’Unione
europea, con Nizza e oltre Nizza verso una Costituzione)
sono nate, in altre parole, da un terreno sociale ricco
di umori morali di tipo religioso, ma il loro divenir
norme, istituzioni, diritto, il loro muovere verso la
astrazione rimane per Habermas decisamente un progresso.
Il che lo spinge a guardare – e sia detto nel
modo più semplice – con simpatia a quel
che la religione ha di universale, ai principi di equità
che essa contiene (è l’area che Rawls qualificherebbe
overlapping), una simpatia che si estende a
quel che la religione ha in comune con il razionalismo
e con l’Illuminismo (!). Tant’è vero
che sembra affacciarsi una captatio benevolentiae,
o ancor di più una proposta di alleanza contro
il nichilismo nietzscheano o straussiano, che nella
loro furia distruttiva della ragione, sia pure per dichiararne
o constatarne il fallimento più che per averlo
provocato, dilapidano ogni riserva di equità,
universalità, solidarietà e così
via sperperando risorse coesive. Nota Habermas: «Uno
scetticismo radicale nei confronti della ragione è
invero originariamente estraneo alla tradizione cattolica.»
Ecco l’invito ai cattolici a farsi avanti in una
battaglia di idee contro il postmodernismo, insieme
ai continuatori del progetto illuministico. La discussione
partita dalla domanda storica circa la funzione delle
premesse religiose della società liberale sembra
andare a concludersi verso la necessità attuale
di un sostegno politico da parte della religione al
processo liberaldemocratico, indebolito e minacciato.
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