256 - 26.06.04


Cerca nel sito
Cerca WWW

Universitö italiana, dibattito aperto.



Il dibattito ² iniziato con un articolo di Pietro Citati che dalle pagine di "Repubblica" criticava duramente la riforma del sistema universitario promossa e realizzata da Berlinguer.
Da Caff³ Europa ² arrivata la risposta di Guido Martinotti, che ha partecipato alla realizzazione di quella riforma ed ² iniziato un dibattito cui hanno partecipato:

Roberto Moscati
Gianni Guastella
Joseph LaPalombara
Giulio Savelli
Giuseppe Sergi
Pietro Costantino



DA: Roberto Moscati
DATA: martedÒ 18 giugno 2004 14.44
Credo si possa largamente condividere lÍintervento di La Palombara a commento dellÍarticolo di Citati e della risposta di Martinotti. Sintetizzo qui di seguito alcune riflessioni che la lettura mi ha suscitato.
(1) Il modello cui si ² ispirata la riforma degli ordinamenti didattici del 1999 non ² quello statunitense. Prima dellÍaccordo della Sorbona (1998) circolava un progetto francese del ministro dellÍeducazione Allegre che proponeva una articolazione in tre livelli della durata di 3,5,8 anni. EÍ possibile che a sua volta quel progetto ¿ poi chiamato in Francia LMD - si fosse ispirato al modello Bachelor,Master, Ph.D. americano ma non era poi lÍunico in Europa ad orientarsi verso i tre livelli. EÍ comunque sempre pericoloso rifarsi ai (o prendersela con) i modelli dÍistruzione superiore stranieri e soprattutto statunitensi senza assumerli in blocco e senza tener conto del contesto che li ha prodotti. Esattamente per le ragioni che La Palombara riporta a proposito dellÍorigine delle universitö statunitensi.
(2) Occorre infatti sempre aver in mente le funzioni che si vogliono attribuire allÍuniversitö (o allÍistruzione superiore come sarebbe meglio dire). LÍuniversitö che chiamiamo di massa ma che si potrebbe forse definire pið opportunamente ñdi serviziî ha sostituito di fatto lÍuniversitö di ³lite (che potremmo definire anche ñuniversitö di ricercaî). Il punto ² che non si ² voluto prendere atto delle implicazioni qualitative del mutamento quantitativo. E questo n² nel 1969 con la liberalizzazione degli accessi, n³ nel 1999 con lÍintroduzione della riforma degli ordinamenti didattici. Nel primo caso tutto ² rimasto come prima con il semplice aumento dellÍutenza (e con i risultati che conosciamo e che ricorda La Palombara); nel secondo le forze che si opponevano (oppongono) al cambiamento hanno operato per riprodurre lÍesistente con etichette e strutturazioni diverse, accettando gli aspetti formali (ingegneristici) della riforma e mantenendo quelli sostanziali del modello precedente (contenutistici).
(3) In realtö occorrerebbe operare in termini complessivi per far sÒ che un sistema (quello dellÍistruzione superiore) funzioni. Si veda a m÷ di esempio il caso segnalato da La Palombara: partiamo dal reclutamento dei docenti che sarö corretto se promuoverö il merito, ma lo farö se le universitö potranno operare in un sistema di competizione che renda pagante tale logica di reclutamento, competizione possibile solo in un sistema di autonomia nel quale le universitö siano ñmesse nelle condizioni di offrire emolumenti, includendo condizioni di lavoro e di studioƒî. Dunque, tutto si tiene. E tutto dipende dalla volontö politica - esterna ed interna allÍuniversitö - di rendere il sistema di formazione superiore allÍaltezza dei tempi (delle sfide a livello europeo e mondiale). Il punto centrale ² che manca nel nostro paese una tradizione di riflessione sistematica sui compiti e le finalitö dellÍistruzione superiore e da qui derivano le sporadiche uscite a difesa del mitico passato da parte di chi teme di dover ripensare al proprio consolidato (e conveniente) presente.
Roberto Moscati



DA: Marco Santambrogio
DATA: martedÒ 17 giugno 2004 15.00
Sono molto sensate le cose che dice Joseph LaPalombara sull'articolo di Citati, sulla risposta di Martinotti e sull'universitö italiana. Particolarmente convincenti due sue osservazioni:
(A) "La ragione per cui, nel complesso, il 'rendimento' nelle universitö americane ² tanto pið alto rispetto all'Italia sta nel fatto che molte delle nostre migliori universitö sono a numero chiuso";
(B) "Le universitö hanno bisogno di competere tra di loro - per i professori come anche per gli studenti e i laureati. I metodi per qualificare le persone nel mercato del lavoro dovrebbero cambiare in modo tale che una laurea conseguita in una determinata universitö non necessariamente abbia lo stesso valore di una laurea conseguita da qualche altra parte."
Numero chiuso, competizione e abolizione del valore legale dei titoli. Non sono proposte inaudite, perch³ siamo in molti a sostenerle da anni. E non costerebbero niente, in termini economici. Ma allora perch³ nessun governo, n³ di destra n³ di sinistra, ci ha mai pensato? La risposta ² semplice: perch³ sono in realtö costosissime non dal punto di vista economico, ma da quello politico. Provatevi a introdurre il numero chiuso e vedrete tutte le universitö italiane occupate dagli studenti nel giro di ventiquattro ore. Provatevi a introdurre una vera competizione (che ² una cosa molto diversa dalle battaglie pubblicitarie per strappare studenti alle altre universitö) e vedrete i docenti scendere compatti in sciopero. Come mai? Semplicemente, perch³ la gran maggioranza degli italiani, a destra come a sinistra, ² convinta che si tratti di provvedimenti iniqui, che violano principi ovvi di uguaglianza.
In realtö non ² affatto cosÒ. A certe condizioni (che andrebbero specificate attentamente) questi provvedimenti aumenterebbero non solo l'efficienza del nostro sistema accademico, ma proprio l'uguaglianza. Solo che bisognerebbe spiegarlo chiaramente - agli studenti, ai colleghi universitari e a noi stessi. Quello che mi ² francamente incomprensibile ² perch³ tante persone intelligenti si rifiutino di affrontare questa questione e preferiscano parlare delle colpe altrui - dell'Occidente, dei ministri ed ex-ministri, degli intellettuali italiani e cosÒ via. Oggi su "Repubblica" ("L'universitö che non c'²") Luciano Canfora racconta l'aneddoto di quello sconosciuto ateniese che, quando Demostene parlava e ripeteva che "le cose vanno davvero male", lo interrompeva puntualmente gridando "e allora cosa dovremmo fare?". Canfora cita con approvazione la reazione di Demostene: "Piuttosto ditemi voi cosa gradite sentirvi dire!". Ma a me sembra che la domanda dello sconosciuto fosse perfettamente sensata e invece la reazione di Demostene fosse alquanto sciocca. Marco Santambrogio



DA: Gianni Guastella
DATA: martedÒ 17 giugno 2004 16.45
Sono il preside della Facoltö di Lettere di Siena. Sono una di quelle non moltissime persone che in questi anni hanno lavorato con passione e forse con ingenuitö, nella speranza che l'occasione storica offertaci dalla riforma (con tutte le sue ben note contraddizioni e storture) potesse essere un momento di svolta nella vita dell'universitö. Siamo stati utilizzati da una massa apatica di colleghi, che ci ha delegato "in bianco" il compito di metter su i nuovi corsi di laurea, disinteressandosi di tutta la parte progettuale, che veniva solitamente liquidata come una semplice seccatura burocratica, mentre era in gioco la cosa pið importante di un'istituzione formativa come l'universitö: la ridefinizione dei contenuti e dei metodi di insegnamento, in un momento in cui l'accademia ² in crisi in molti paesi.
Abbiamo lavorato con un grande sacrificio personale, e spesso senza alcun aiuto da parte delle nostre stesse istituzioni, per i motivi economici, politici e strutturali ben noti. Oggi assistiamo a una massiccia controffensiva da parte di una generazione sostanzialmente "baronale", nonostante la sua eventuale collocazione politica, che dopo cinque anni di assoluta latitanza comincia a farci delle prediche supponenti e insopportabili (le ultime le abbiamo lette nelle scorse settimane sulle pagine de "la Repubblica", non solo da parte di Citati), nel silenzio quasi assoluto dei mezzi di stampa e anche degli studenti che adesso finalmente (in sedi come la mia) cominciano a laurearsi in tempo (nella mia facoltö sono in pari o quasi pið dei due terzi degli iscritti al nuovo ordinamento!).
L'intervento di Citati ² stato forse quello pið sprovveduto, come Martinotti ha messo impietosamente in luce nel pezzo uscito sul sito di "caffeeuropa", e pu÷ forse essere liquidato come un caso marginale: quello che alle persone come me dö pið fastidio ² il coro di accademici (purtoppo in gran parte di sinistra) che insistono a presentare la nuova universitö, appena nata e ancora bisognosa di correzioni, sperimentazione, riflessione collegiale, come se fosse il frutto della barbarie, mentre l'universitö di prima era chissö quale meraviglia.
Penso sia urgente rispondere non tanto agli argomenti di Citati, quanto a questo atteggiamento generale degli intellettuali che sono stati a guardare in questi anni, e che ora si vogliono riprendere l'universitö, per non perdere i privilegi che la riforma ha pericolosamente messo in discussione (primo fra tutti quello di disinteressarsi dei diritti degli studenti). Bisognerebbe dar voce da un lato a chi l'universitö nuova l'ha pensata e progettata con lungimiranza e con cognizione di causa (e non con le chiacchiere politiche che continuano a circolare sui giornali), dall'altro a quella generazione di quarantenni che ha lavorato fra mille difficoltö, che non ha mai ricevuto nemmeno un"grazie" da nessuno, e che ora si sente dire di aver portato l'universitö al collasso e alla bancarotta culturale. Anche perch³ finora gli organi di stampa non ci hanno mai concesso la parola: cosicch³ sembra quasi che noi non esistiamo, e che la nuova universitö stia nascendo per incanto, come il frutto di una malattia misteriosa. Per certi versi, si potrebbe dire persino che certa stampa ha esercitato vaghe forme di censura sulla nostra voce, certo non abbastanza autorevole dal punto di vista mediatico. Ogni iniziativa di raccolta di queste voci sarebbe oggi capace almeno di fornire un pið competente punto di vista su quanto ² accaduto in questi anni, depurando la discussione da certi argomenti ideologici che confondono le idee non solo di chi li legge ma, temo, forse anche pið di chi li scrive.
Gianni Guastella



DA: Alessandro Ferrara
DATA: martedÒ 17 giugno 2004 22.31
Sicuramente un ottimo commento quello di Joseph La Palombara, condivido in pieno la sua critica al vetero-accademico far di tutta l'erba un fascio che emanava dal pezzo di Citati. Certo La Palombara conosce e ama tanto l'Italia da non riuscire a separarsi dal vezzo tutto italico di porsi come mediatore fra due posizioni estreme. Mentre invece non c'era proprio niente di "eccessivamente difensivo" nella replica di Martinotti, ragionevolissima. Ma alla fine ben venga se anche La Palombara ripete le cose che tanti di noi dicono. Una voce in pið non guasta.
Quello che ancora trovo non detto, in questa faccenda dell'importare da noi una competizione "all'americana", fra atenei, docenti, studenti ² la elementare veritö che in America la progressione di carriera dei docenti non ² condizionata dalle strettoie budgetarie (quando si ² su una tenure-track, nessuna progressione pu÷ essere rifiutata "perch² non ci sono i soldi"), le quali qui da noi creano il motivo di tanta politica accademica: creare le risorse, farle assegnare, bandire sul settore "giusto" perch² non ci saranno i soldi per un altro bando, ecc. Non si riflette mai abbastanza sulla pervasivitö dell'impatto che questa differenza "strutturale" ha sulla fenomenologia accademica quotidiana, sul vissuto professionale. Si trasforma in ethos, in comportamenti quotidiani, in valori condivisi dalla comunitö accademica. Il collega americano vive in un contesto di regole tutte predisposte per premiare il merito e solo il merito. Il suo grillo parlante ogni giorno gli ripete: "hai la fortuna di vivere in un contesto dove il merito scientifico basta per fare carriera: se cerchi vie traverse sei un verme". Al suo omologo italiano il grillo parlante giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, invece ripete: "vivi in un sistema in cui quello che conta per la carriera ² avere le alleanze giuste: se pensi soltanto a studiare sei un fesso". Dopo qualche anno avrete la differenza che tutti vedono fra un'universitö popolata da gente influenzata dal primo grillo parlante e gente influenzata dal secondo.
Se non si spezza alla radice questo meccanismo, l'universitö italiana ² destinata a rimanere fuori dal mondo, annegata in un mare di mediocritö in cui l'eccellenza che potenzialmente c'² non riesce a farsi strada. Il che non vuol dire che non ci siano isole di eccellenza, ma sono come era tradizionalmente il valore militare italiano: grandi atti di eroismo individuale, ottimi per le celebrazioni, lanci eroici di stampelle contro il nemico, i quali per÷ annegano in un mare di approssimazione, incompetenza, inconcludenza strategica. Isole di eccellenza basate sul sacrificio individuale, le quali non bastano n² a vincere militarmente n², per ci÷ che attiene all'universitö, a produrre cultura cultura riconoscibile a livello globale.
Alessandro Ferrara



DA:Vittorio Coletti
DATA: martedÒ 15 giugno 2004 10.47
Gentili Di Mauro e Martinotti, nelle Vostre repliche all'articolo di Pietro Citati usate l'unico dato che potrebbe dare una giustificazione del disastro che Voi e il Ministro Berlinguer (ahim³ della sinistra per cui voto) avete combinato all''universitö: quello della dispersione degli iscritti, drammatrica specie se in paragone alle medie europee. Perch³ per÷ non calcolate la media dei dispersi nobn sugli iscritti ma sui frequentanti? Io ho 100 studenti ogni anno a lezione e 300 iscritti. I 100 fanno tutti l'esame nella sessione estiva (pratico sconti a chi frequenta e sostiene subito l'esame); degli altri 200 vedo a rate pochi quantitativi che seguono un programma comunicato al telefono. Vi pare che questa condizione di non frequentanti sia presente all'estero negli stessi valori assoluti e percentuali? Ci siete mai stati in un'universitö straniera? Comunque godetevi questa bella universitö che ci avete regalato contro la quale per fortuna si mobilitano i Citati i Pirani (² di prossima pubblicazione un libretto a pið voci sullo stesso tema e dalla stessa prospettiva).
Con i pið cari saluti
Vittorio Coletti, Universitö di Genova.



DA:Giulio Savelli
DATA: venerdÒ 11 giugno 2004 20.15
Se mi ² piaciuto l'articolo? SÒ, mi ² piaciuto per lo stile intellettuale manifestato; condivido inoltre ogni cosa. CosÒ come trovo insopportabile Citati. Ci÷ detto, mi sarebbe piaciuto che i pochissimi fatti di cui Citati fa menzione, e alcuni altri, venissero considerati.
La frammentazione dei programmi, della loro coerenza e completezza, ² un fatto, non una opinione. La struttura 3 pið 2 porta non a una conoscenza di base e a una specializzazione, ma a una ripetizione 'povera' delle stesse cose, e questo anche per la natura delle discipline umanistiche. Aumentare il numero formale dei laureati diminuendo la durata del ciclo di studi e la sua difficoltö non significa accrescimento e migliore distribuzione di conoscenza. Il sistema dei crediti tanto semplice e chiaro (davvero? per ora non risulta, a regime certo andrö meglio...) ² assai utile per regalare a tante aziende lavoro gratuito, a cui gli studenti si sottopongono volentieri invece di studiare per esami fatti sui libri, ma non ha molte altre giustificazioni. Non sono quattro gatti amici di Citati a lamentarsi, sono tanti, tantissimi: per esempio Magris, basta rileggersi l'articolo sul "Corriere" con cui ha annunciato il suo pensionamento. E il CUN, entusiasta della riforma vero? Eppure sarebbe stato l'organo designato a consigliare il ministro.
Non va tutto bene. Fingere che siano Citati e quattro amici suoi a vedere che l'universitö ha problemi significa fare una difesa inutile, perch³ tanto i problemi rimangono anche senza Citati. I problemi dell'universitö non consistono solo nella sua poca democraticitö, bensÒ anche e soprattutto nel suo graduale indebolimento scientifico e nell'aumento della burocrazia, che non giova alla didattica, anche se si presenterebbe come finalizzata a questa.
Non occorre essere esperti per vedere cose evidentissime, gli esperti semmai dovrebbero convincere chi ² disposto a farsi convincere (non Citati ovviamente, innocenti come me piuttosto) che ci÷ che appare palese ² una illusione dei sensi e che tutto sta andando per il verso giusto. Di questo sforzo nell'articolo di Martinotti non c'² traccia.
Giulio Savelli
(omonimo, solo omonimo, del noto ex editore ora deputato)



DA: Alessandro Cavalli
DATA: venerdÒ 11 giugno 2004 18.12
La risposta di Martinotti all'irritante articolo di Citati mi suggerisce alcune considerazioni "a caldo".
1. Il fenomeno dei nostalgici di una mitica universitö "di una volta" presenta alcune caratteristiche: non ² un fenomeno solo italiano (c'², ad esempio, con toni forse meno apocalittici, anche nel dibattito sulla crisi dell'universitö in Germania); ² trasversale alle linee di spartiacque politico-ideologiche (nel senso che ² altrettanto forte a destra che a sinistra); si manifesta soprattutto nelle Facoltö di Lettere e Filosofia (e con qualche diversitö, Giurisprudenza), cio² nei settori dove le comunitö scientifiche sono pið facilmente "nazional-provinciali". In sostanza, quello di cui questi signori si rammaricano ² che agli studi superiori possano accedere anche i figli e le figlie di quei ceti sociali che non hanno mai avito accesso alla "cultura colta". La grande accusata ² l'universitö di massa.
2. Il conservatorismo becero degli orfani di von Humbolt rischia per÷ di impedirci di vedere che dietro le loro invettive esiste un problema reale: se non si produce una differenziazione interna del sistema di istruzione superiore (cio² atenei orientati prevalentemente all'alta formazione e alla ricerca e atenei orientati invece prevalentemente alla formazione di medio livello), l'innalzamento del livello medio di istruzione della popolazione (che ² l'effetto altamente positivo dell'istruzione di massa) rischia di provocare un abbassamento del livello delle punte pið alte. Se questo accade, se non si generano le condizioni per formare persone di assoluta eccellenza, viene meno una delle funzioni fondamentali dell'istruzione superiore, vale a dire, la formazione di classi dirigenti. E di segnali che nelle classi dirigenti del nostro paese vi siano schiere di personaggi di assai scarsa levatura professionale, intellettuale (e anche morale) ce ne sono abbastanza.
3. La Gran Bretagna ha i suoi Oxford e Cambridge (ma non solo), la Francia ha le sue Grandes Ecoles (ma non solo), Gli Usa hanno le universitö dell'Ivy League pið un'altra dozzina di centri di altissima qualificazione. Quello che dovrebbe fare la premiata ditta Citati & Co. ² di mettersi seriamente a studiare strategie per combinare istruzione di massa ed eccellenza, piuttosto che versare lacrime su un paradiso perduto che non ² mai effettivamente esistito e lanciare improperi verso chi (magari talvolta un po' maldestramente) ha cercato di mettere in moto un processo di cambiamento.
Alessandro Cavalli



DA: Giuseppe Sergi
DATA: giovedÒ 10 giugno 2004 23.30
Non una delle osservazioni dell'articolo di Martinotti sfugge a quella noiosa elencazione (veramente, non se ne puo pið) che mi ² avvenuto di sentire, uguali, in riunioni con Berlinguer stesso e alcuni suoi sodali negli anni della gestazione della meraviglia a cui stiamo assistendo: quindi, quanto a banalitö, con Citati andiamo sul pareggio, almeno 1-1.
E ancora, dopo anni, qualcuno mi deve spiegare perch³ gli studenti che riceviamo con l'Erasmus, soprattutto dai paesi anglosassoni, sono per lo pið disastrosi, e perch³ i loro docenti di origine lo ammettono (invidiando quelli che mandiamo loro noi, ho un dossier di lettere a disposizione di coloro a cui possa interessare).
Infine, e per ora concludo: il progresso che abbiamo compiuto ² che, a paritö di non-conoscenze, lo studente degli anni '70 NON conseguiva un titolo di studio e adesso si? E' questo il rimedio alla cosiddetta 'mortalitö' prelaurea? Coraggio, ditemi qualcosa di pið convincente e di meno noioso, per favore.
Giuseppe Sergi.



DA: Antonella Del Prete
DATA: giovedÒ 10 giugno 2004 23.00
Citati dice molte cose con tono altezzoso, ma alcune delle cose che dice sono vere. Il sistema dei crediti ² complicato e farraginoso (Martinotti dovrebbe parlare con i nostri studenti leccesi alle prese con i piani di studio: forse cambierebbe idea); il limite delle 250 pagine per esame da 4 crediti esiste non solo a Roma La Sapienza, ma anche altrove in maniera formale; informale ovunque, dal momento che, con i crediti, a 30 ore di lezione corrispondono un tot di ore di studio a casa, fisso e stabilito dagli organi competenti dei singoli atenei. I nostri studenti, per esempio, si lamentano del fatto che hanno pið esami che nel vecchio corso di laurea quadriennale, anche se pið piccoli: lo stress da prova finale c'² comunque. E pochi si laureano in tempo, nonostante i nostri sforzi.
La riforma Berlinguer ha avuto il merito di capire che era necessaria una formazione universitaria di base; non credo abbia trovato il modo di assicurarla effettivamente; di certo si pone il problema di come andare oltre questa formazione di base, che rischia di protrarsi indefinititamente, nella laurea cosiddetta specialistica e poi nel dottorato, senza mai approdare ad altro.
Antonella Del Prete
Universitö degli studi di Lecce, Dipartimento di filosofia e scienze sociali.
Antonella Del Prete



DA: Pietro Costantino
DATA: giovedÒ 10 giugno 2004 20.07
Assolutamente, totalmente, dÍaccordo con lÍarticolo di Martinotti.
Mi dispiace solo di non aver letto prima lÍarticolo di Citati, perch³ avrei scritto anchÍio in prima persona (nel mio piccolo, sÍintende) un commento per stigmatizzarlo. Ho lavorato e lavoro nellÍUniversitö e per lÍUniversitö, e so con cognizione di causa che quella che descrive Martinotti ² la nuda e cruda realtö. Quelli che si sono opposti e si oppongono (per lo pið aprioristicamente e/o per interesse) ad ogni innovazione e miglioramento nellÍUniversitö italiana, magari vagheggiando ñbei tempi andatiî come sembra fare Citati, sono purtroppo ancora tanti. Essi sono sia interni allÍuniversitö, ma molto spesso esterni ad essa. In questÍultimo caso, quando si esprimono in termini draconiani e trancianti contro ogni innovazione, per lo pið lo fanno senza neppure conoscere i termini della questione.
Dispiace vedere che fior di intellettuali, non solo non portano contributi costruttivi al necessario dibattito culturale, ma concentrano i propri sforzi a demolire con tutta la vis polemica della quale sono capaci ci÷ che altri faticosamente costruiscono.
Pietro Costantino, Pisa



DA: Antonino Molino
DATA: giovedÒ 10 giugno 2004 18.01
L'Universita' dovrebbe avere un ruolo centrale nella formazione del cittadino, invece assistiamo a delle riforme che diminuiscono il livello culturale degli italiani. Non e' serio aumentare fino a 18 anni l'obbligo scolastico. Cosi' nessuno andra' piu' a bottega dagli artigiani e i mestieri si perderanno,perche' tutti illusi dal pezzo di carta, soprattuuto al sud, vorrano un impiego. Chi fara' l'idraulico, l'elettricista,il muratore? E' sbagliato inculcare che per realizzarsi bisogna stare dietro una scrivania. Ognuno va incanalato secondo le proprie inclinazioni, se sceglie un mestiere sia un bravo artigiano, altrimenti si dedichi alle professioni intellettuali, solo se veramente inclinato. La scelta non deve essere fatta secondo il metodo del reddito, chi e' portato a fare un mestiere lo faccia ,chi vuole studiare e non ha veramente i mezzi, sia aiutato dallo Stato, purche' gli aiuti non finiscano in mano ai soliti furbi. Solo assecondando le vere inclinazioni degli studenti non dovremo assistere ad una richiesta di scolarita' inflazionata da chi concepisce la scuola italiana un parcheggio per conseguire un diploma inutile per un inserimento nel mercato del lavoro.
Antonino Molino



 




 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it