Da: Orazio Niceforo
Data: Mon, 1 Dec 2003 11:50:33 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Quanto
conta il mio voto?
Ho letto l'articolo di Fishkin con vivo interesse.
Due brevi note:
1. Il linguaggio è semplice, lineare, comunicativo:
speriamo che anche in Italia si cominci a scrivere
così, abbandonando le complicate, anche se
molto "accademiche", elucubrazioni di molti
nostri politologi.
2. La proposta mi sembra interessante sia in sè,
come modalità di implementazione del modello
partecipativo liberaldemocratico, sia in rapporto
allo scenario politico italiano, nel quale potrebbe
favorire forme di aggregazione del consenso, su tempi
specifici, che vadano al di là delle contrapposizioni
tra gli schieramenti politici, spesso schematiche
e ancora più spesso ipocrite (esempi: il voto
che ha impedito la riduzione dei tempi del divorzio,
la legge sulla fecondazione assistita ecc.). Un cordiale
saluto, e auguri.
Orazio Niceforo
Da: Diego Retis
Data: Wed, 3 Dec 2003 11:49:55 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: In
rotta verso la Babele elettronica
Salve,
ho letto con interesse l'articolo sulla evoluzione
dei media provocato dalla pubblicazione del libro
La Nuova Babele elettronica che mi fa porre
una domanda alla luce della approvazione della legge
Gasparri sulla telecomunicazione avvenuta il 2 dicembre.
Il professor Somalvico parla di tecnologie digitali
utilizzando la figura del rombo descritto come "una
figura che ci disegna due processi di concentrazione,
uno in alto, l’altro all’estremo inferiore
del processo di produzione, distribuzione e fruizione
della programmazione televisiva".
Secondo Voi la nuova legge che concentra su pochi
editori potenti e dinamici tutte le risorse mediatiche
che vanno dall'editoria alla trasmissione di qualsivoglia
segnale non porta anche alla concentrazione dei contenuti
destinati a passare al pubblico in minima parte, e
quello che filtra è solo quello che più
interessa a chi gestisce gli apparati mentre rimangono
invisibili altri?
Vi ringrazio dell'attenzione, cordiali saluti
Diego Retis
Da: Raffaele Facciolà
Data: Wed, 26 Nov 2003 19:13:24 -0800
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: L'Europa.
Mi pare che nella costruzione dell'Europa, la mancanza
di una direttiva politica e cioe' di una strada che
i popoli europei devono percorrere assieme, c'è
il "fastidio" molto presente e molto reale
della percezione di una sovrapposizione di regolamenti
europei che in fin dei conti sono inutili ai, e nei,
vari paesi. Credo che se si eliminasse questa sensazione
del "rompiscatole" dietro la porta, ora
per un motivo ora per l'altro, l'Europa viaggerebbe
alla velocità giusta, senza perdersi dietro
le virgole, come scherzosamente alcuni oppositori
dicono.
Cordiali saluti,
Raffaele Facciolà
Da: Giuseppe Di Mauro
Data: Fri, 5 Dec 2003 14:14:39 +0100
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Oggetto: Considerazioni inattuali
Troppi gli eventi che si stanno succedendo sullo
scenario della storia da
non meritare un’attenzione particolare. Solo
se si voglia un po’ affondare
lo sguardo dietro l’affannarsi delle notizie
è possibile scorgere un filo
sottile la cui conoscenza potrebbe aiutare non poco
alla comprensione del
destino del genere umano. Per far questo, prenderemo
le mosse da una visione
della storia che purtroppo esula dalla cultura ufficiale
così in voga nelle
accademie di tutto il mondo, dove si preferisce pensare
alla stessa come
un susseguirsi di avvenimenti più o meno indipendenti
tra loro come fossero
casuali o, secondo certe scuole, dettati da oscure
volontà di potenza quando
non da meri interessi pragmatico-economici; mentre,
per altri ancora, essa
rappresenta il dipanarsi progressivo di un cammino
ascendente verso forme
di vite sempre più sviluppate e perfette.
Non vogliamo in questa sede dimostrare l’inconsistenza
di tali posizioni, basterebbe uno sguardo appena disinteressato
alla realtà , quanto invece dedicarci al senso
nascosto, e palese a un tempo, dei fatti, essi stessi
espressione formale di un progetto
provvidenziale la cui origine e il cui fine trascendono
ogni esperienza/esistenza umana.
Abbiamo tempo fa’ fatto notare, durante la
guerra in Iraq, una singolare
coincidenza: le truppe anglo-americane che dirigevano
l’attacco hanno preso
come loro obiettivo strategico la terra di Ur, senza
risparmiarsi nel conflitto
a fuoco. Sarebbe questo un fatto di cronaca come tanti
altri, se non fosse
per la valenza simbolica che assume questa terra in
ben altro contesto: la terra di Ur, infatti, secondo
l’antica tradizione biblica, è la terra
dove visse Abramo, padre della fede, da cui discendono
le tre religioni, dette perciò anche ‘abramiche’,
ebraica, cristiana e musulmana. Questo deve subito
indurre ad una precisa constatazione: perché
il conflitto si è svolto proprio su questo
territorio? Non può forse essere quella irachena
una guerra, certo più velata, contro le tre
religioni, in luogo di una guerra tra
religioni o di pretese conquiste economiche?
Perché, se si riflette un attimo, le bombe
che cadono come pioggia incandescente sui luoghi ove
è nata la fede di tre popoli possono proprio
rivelarsi immagine di serie minacce a ciò che
più fonda una nazione e, ancor più,
l’identità di interi popoli, ovvero il
proprio credo ortodosso. Minacce che non sono certo
da rintracciarsi esclusivamente tra gli eventi bellici,
ma che possono invece provenire da ambienti
culturali, politici o economici, miranti a destabilizzare
le basi dall’interno. E i
fatti stanno tutti lì a dare conferma a quanto
or ora accennato.
Basti pensare al discredito che gettano sulla religione
islamica quei furiosi kamikaze
che spacciano le loro presunte missioni come adempimento
di una guerra santa
contro il ‘Grande Satana’. Agli occhi
miopi delle menti d’occidente non può
che apparire facilmente l’impressione di una
religione rigida, aggressiva e autoritaristica. Se
poi aggiungiamo le campagne che sono iniziate dalle
nostre parti per abolire delle usanze antiche presso
le popolazioni islamiche come fossero anacronistiche
e ‘anti-democratiche’, ecco che il gioco
di oscurare il messaggio divino è fatto.
Non può che balzare innanzi l’ultimo
tragico attentato alle sinagoghe ebraiche in un quartiere
di Istanbul: senza voler qui considerare l’importanza
storica di quella che era la grande Costantinopoli,
e che conferirebbe maggior spessore alle considerazioni
esposte, ci basti sottolineare la deplorevole scelta
da parte degli attentatori del giorno
del sabato, giorno santo per gli ebrei, esattamente
come per noi cristiani è, o dovrebbe quantomeno
essere, la domenica. Che non ci sia anche qui, camuffato
dietro un simbolo, un attacco diretto contro il cuore
della liturgia?
Il consumismo profanante, per certi aspetti, sembra
proprio comprovare tale tesi: ogni festa pare sia
diventata occasione tanto di compere quanto di lauti
guadagni. Per non parlare di tutte le manomissioni
e gli stravolgimenti che in ambito cattolico stanno
riducendo la santa liturgia a qualcosa che la rende
più simile a un luogo di incontro sociale o
ad un concerto rock, piuttosto che ad un autentico
e vivo partecipare al mistero di un Dio che si fa
carne, rivelandosi all’uomo e redimendo l’universo
intero.
Ancora un’altra osservazione: riportando la
memoria ai discorsi dei
presidenti di Iraq e Stati Uniti in occasione della
guerra, si ricorderà l’invocazione
reciproca fatta da entrambe le parti a Dio come mandante
e protettore delle
truppe. Inutile domandarsi a quale Dio abbiano fatto
riferimento i due presidenti, e
i frutti amari di questa guerra sono lungi dall’esser
stati già raccolti.
Deve da ciò apparire chiara una cosa: non
esiste un nemico chiaramente
identificabile e da combattere, per quanto possa assumere
le sembianze di dittatore o di crudele tiranno. Non
è questione di andare a cercare errori in un
fantomatico ‘sistema’, o discutere se
gli Stati Uniti avessero fatto volentieri a meno
di attaccare il regime iracheno. Lasciamo a certi
giornalisti il compito
di riempire le testate dei giornali con le loro chiacchiere.
Di contro,
preferiamo constatare come, sia che si parli di destra,
sia che si parli
di sinistra, sia che ci si schieri da parte americana
o sia che si
sostengano le ragioni irachene, una soltanto sembra
la causa profonda di tanto male:
il dilagare di una cultura della morte che non sta
risparmiando alcun
popolo, né coscienza alcuna. Cultura il cui
virus serpeggia già da sette secoli
per tutto l’occidente, ben dissimulato da maschere
di potere sempre nuove
e sempre vecchie.
Sarebbe interessante interrogarsi sul perché
proprio i secoli successivi alla rivoluzione francese
siano stati i più sanguinari e violenti di
tutta la storia, alla faccia di ogni bandiera di progresso
e fratellanza; sul perché si siano scelti nomi
come ‘Riforma’, ‘Umanesimo’,
‘Rinascimento’, ‘Illuminismo’
o ‘Risorgimento’ che si sono quasi sempre
capovolti nel loro contrario. Diciamo ‘quasi’
perché non rientra nelle nostre intenzioni
giudicare in modo unilaterale la storia; riconosciamo,
al
contrario, la necessità di certi cambiamenti
epocali per il cui ultimo significato
ci rimettiamo nelle mani di Colui che sa meglio di
qualunque uomo.
Detto ciò, resta ancora da chiedersi quanto
efficaci siano le risposte che
si tenta dare al processo descritto, quando non si
limitino a mere e sterili
proteste. Il rischio è infatti quello di ostentare
proposte che in un modo
o in un altro non fanno che riportare dentro la perversa
spirale della
cultura della morte. Ponendo i propri valori su delle
basi esclusivamente
sentimentali o, peggio, istintive, quali appaiono
i valori propagandati da certi
movimenti di liberazione, di emancipazione, di libertà,
in faccia ad ogni senso del
pudore, se ancora esiste, e ad ogni legge di diritto
naturale, si pone
la seria possibilità di scambiare il male con
il bene e di farne addirittura
una bandiera. Quanti pacifisti marciano per le strade
delle nostre città,
gli stessi pronti a favorire ogni legge di promozione
dell’aborto o
dell’eutanasia in nome di una presunta libertà
dell’essere umano?
Neppure i progressi della genetica sono riusciti
a farli desistere dai loro intenti: già nella
prima cellula fecondata dell’embrione, cova
silenziosa la catena del Dna da cui
dovranno in seguito realizzarsi tutte le potenzialità
proprie della creatura.
Una grande donna, di recente proclamata beata, ha
dato la propria vita per gli ultimi del mondo. Tra
questi ultimi vi erano i milioni di feti che ogni
anno vengono trucidati da strutture ospedaliere legalizzate.
Peccato che nell’esaltare l’umanità
di questa umile serva, i media abbiano omesso l’ammonimento
che ella volgeva all’occidente intero: “Se
una madre può uccidere il suo stesso figlio
nel suo grembo, distruggere la carne della sua carne,
vita della sua vita e frutto del suo amore, perché
ci sorprendiamo della violenza e del terrorismo che
si sparge intorno a noi?
L’aborto è il più grande nemico
della pace, perché se una madre può
uccidere il figlio, ciò significa che gli esseri
umani hanno perso totalmente il rispetto per la vita
e più facilmente possono uccidersi a vicenda”.
Ecco perché occorre molta circospezione e
vigilanza: facile è cadere nella trappola di
fare il gioco dell’avversario.
Non si pensi, alla luce di queste considerazioni che
potranno persino apparire inattuali, che si nutre
da parte di chi scrive un atteggiamento pessimistico
nei confronti del mondo. È vero semmai il contrario.
La speranza non è mai venuta meno e tanti sono
i segni, per chi voglia davvero cercare e vivere la
Verità, che ci fanno presagire l’avvento
di grandi avvenimenti, volti a portare a compimento
le nozze così attese tra la Sposa pellegrina
per il mondo e lo Sposo celeste.
Il sigillo è costituito dalla croce, croce
che significa sofferenza, croce che è al contempo
gloria luminosa. Per il momento, preferiamo contemplare
tale luce in coloro che anticipano le nozze già
su questa terra, attraverso la testimonianza delle
loro opere e della loro stessa vita: sono i santi,
i profeti, i poveri, gli ultimi, i semplici,
i piccoli e i martiri di ogni latitudine e di ogni
longitudine, che dissetano in parte la nostra sete
di amore e conoscenza, donandoci un modello al quale,
con fatica, tentiamo di conformare le nostre sante
vite.
Giuseppe Di Mauro