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I lettori ci scrivono

DA: Stefano Borgarelli
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: sabato 10 luglio 2004 16.33
Oggetto: Ci vuole un Ministero della Paura?


Non è tanto vero che si viva ormai "nel costante timore che il ponte sul
quale stiamo passando possa crollare, che una fuga di gas riduca a
detriti i nostri palazzi, che il treno della metropolitana possa
esplodere a causa di una bomba o che l'aereo delle nostre vacanze sia
dirottato verso altri posti." E' vero piuttosto che viviamo nella
"rimozione" - nel senso indicato da Freud - del rischio che tutto questo
possa davvero accadere. Proprio a noi. In qualsiasi momento (ma è
altrettanto banalmente vero come la vita stessa si ponga sotto il segno
della morte, che nondimeno "neghiamo", agendo ordinariamente come se non
ci fosse).
La fascinazione ipermediale dell'incidente. La skyline della
città-panico - di cui parla Virilio - frantumata dall'aereo di linea
dirottato, che diventa "opera" per sottrazione. L'accesso d'eventi come
questo a una dimensione (perversamente) estetica - ma più che all'
"arte per l'arte", ci si potrebbe rifare a Burke, alla sua estetica del
sublime - trova radice nella "coazione a ripetere". Ancora nel senso di
Freud. Nell'epoca della riproducibilità tecnica, il documento di storia
événementielle - la ripresa dell'impatto sulle Twin Towers - è
infinitamente riproducibile. Il suo fascino (la sua perversa bellezza)
sta, fin dal primo momento, nel suo poter essere ripetuta infinite
volte. Non come icona del terrore, né della morte. Al contrario, come
esorcismo e rimozione di essa. Evocata e distanziata al tempo stesso
nella dimensione "spettacolare" (non c'è, in questo vocabolo tanto
frequente, estetizzazione nel senso del "sublime"?) dell'immagine.
Ripetizione/ri-presa filmica - ipermediale, postmoderna (Virilio) -
come "coazione a ripetere" un evento penoso, dunque. Per padroneggiarlo
magicamente. Per nutrire l'illusione che la morte possa restare (come la
nuova guerra del terrore) a-simmetrica alla vita.

DA: Sandra Dugo
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: sabato 10 luglio 2004 16.33
Oggetto: Ci vuole un Ministero della Paura?

Gentilissimi,
io sono Sandra Dugo e vi leggo ogni giorno, perché la vostra email quotidiana è meglio di un caffè assaporato al risveglio! Vorrei ora riflettere a proposito della vostra di ieri 9 luglio.
Che dire sulle metropoli contemporanee in cui specialmente d'estate il caldo agisce sulle menti, scatenando spesso paure incontrollate? Veri e propri attacchi di panico e si sa sono gli individui più deboli a pagare le conseguenze di allarmismi a volte persino stupidi e incontrollati; basta chiedere il parere di uno psichiatra serio che osserva quotidianamente il fenomeno alla lente di ingrandimento. Ma accanto alle paure di eventi catastrofici ci sono una enorme serie di timori di vario genere, che spingono le persone a gestire il lavoro, l'amicizia, l'amore, il matrimonio, insomma ogni tipo di relazione sociale, in modo tale da difendere il proprio feudo da chissà quale evento paurosamente modificante; ovviamente tutto avviene in maniera incontrollata, in una sorta di automatismo incontrollato, in cui tutti siamo coinvolti senza accorgercene.
In effetti, se ci riflettiamo bene, questa nostra società civile e democratica è piuttosto anomala nelle sue mentalità! I rapporti umani tra le persone sono deteriorati dal timore di stringere amicizia con persone non appartenenti al proprio gruppo, perciò il matrimonio tra classi miste non potrà essere possibile, tant'è che si annulla e vanifica una persona perché appartenente a una famiglia non uguale alla propria. E' più importante la famiglia che la persona in sé? Inoltre appare sorprendente che il figlio di non laureati si laurei, oppure sembra deplorevole che la figlia di un laureato non si laurei. Ma ogni individuo non dovrebbe realizzare la propria personalità liberamente oppure no? Sembra quasi che la logica esistenziale debba procedere secondo schemi necessariamente segnati, penalizzando così il buon senso, e chiudendo gli occhi mentali fino a farli diventare paurosamente ipocriti. Pertanto i figli devono svolgere la stessa professione del papà, e tra i ricercatori universitari si preferisce il figlio dell'amico al laureato brillante che verrà ricacciato subito da dove è venuto. Ma tutto questo non è frutto di una visione pessimistica ed esagerata, deve invece stimolare la nostra attenzione, se si vuole guardare in faccia la realtà. Il mio elenco di casi sociali simili potrebbe continuare all'infinito! Intanto la mentalità sociale rimane la medesima, nessuno è disposto a cambiare né a rinunciare ai propri privilegi per sè e per i figli, e così questa nostra italietta resta sempre più povera, mediocre e spaventata. Certo non sempre ciò avviene sistematicamente, però ogni tanto accade!
E allora faccio appello a un buon senso obiettivo e razionale, presente in noi tutti, che lo sia in ogni istante della nostra vita. Servirà a non uccidere i nostri sogni e a sconfiggere la negatività dell'esistenza, paure comprese soprattutto quelle apocalittiche per un eventuale attacco terroristico. Io credo che il bene che c'è in noi prevarrà sicuramente sul male.
La vostra lettrice affezionata
Cordialmente,
Sandra Dugo

DA: Marco Bosco
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: giovedì 8 luglio 2004 7.15
Oggetto: Perché non ripartiamo dal basso?

L'articolo propone una serie di riflessioni che meritano attenzione. A partire dalla seria possibilità sia per la "Margherita" che per la "Lista unitaria" di tornare a fare politica partendo da analisi e queste, se ci sono, sono dettate da vertici che vivono uno scollamento con la società.
Il voto non è la sommatoria di gruppi e nemmeno un qualcosa di garantito.
Lo spazio e il tempo in politica sono due elementi da non sottovalutare per poi andare a disegno politico più che progetto.
C'è differenza tra progetto politico e disegno politico.
Lo dico con certezza. Eventualmente se mi verrà richiesto posso anche precisarlo.
La mia esperienza di articolista politico per la rivista Arel/Mantova parla chiaro. Fine anni ottanta e primi novanta.
Grazie per l'ospitalità
Marco Bosco.

DA: Valentino Necco
A: redazione@caffeeuropa.it
Data: mercoledì 7 luglio 2004 16.29
Oggetto: Perché non ripartiamo dal basso?

L'intervista a Pasquino mi sembra abbastanza interessante; del resto l'intervistato è garanzia di intelligenza e competenza. A voler essere franchi, tuttavia, mi pare che l'analisi di Pasquino (fatto salvo il rigore scientifico di chi è del mestiere) non differisca di molto da tante altre sentite recentemente. Non solo sui giornali, ma anche nei bar e nelle piazze.
Per questo motivo mi lascia perplesso soprattutto il titolo dell'articolo, che traccia un'analisi convincente della "confusione" nel centrosinistra - la quale, ripeto, è evidente un po' a tutti - ma che non accenna ad alcuna soluzione per mettere fine a questa confusione.
Capisco che lo scienziato della politica non sia un astrologo, ma dovrebbe in un certo senso ambire ad essere quantomeno un astronomo. Non si pretende che predica il futuro, ma almeno che valuti da una prospettiva pratica le varie alternative possibili. Mi sembra vagamente contraddittorio prospettare un ritorno alla società civile e poi limitarsi a discutere sulla leadership (Veltroni? Prodi? Fassino?)
Ma forse sono io che non colgo il punto. Forse Pasquino intende dire che le regole per la scelta della leadership dovrebbero venire dal basso (il che implica, suppongo, che la scelta stessa del leader dovrebbe venire dal basso). Bene, se è così, quello che la cosiddetta "società civile" si aspetta è proprio qualche suggerimento autorevole in merito.
La mia analisi è estremamente grossolana, ma io vedo:
1) da un lato dei partiti in mano a politici disorientati (nel migliore dei casi) e totalmente incapaci di spirito di sacrificio politico (tradotto: io prima del partito, il partito prima della coalizione, ecc.);
2) dall'altro una società civile che, fisiologicamente, fa molta fatica ad esprimere le proprie istanze e che quando lo fa (vedi i girotondi) viene percepita in modo ostile dalla classe politica.
Da un certo punto di vista, credo che le divisioni all'interno del centrosinistra (ds, correntone, cattolici) sovrarappresentino di molto le divisioni reali della società civile, che (esclusa gran parte dell'elettorato di Rifondazione, ma inclusa almeno una parte degli astenuti) ha come minimo un obiettivo: togliere di mezzo Berlusconi. L'osservazione è meno ingenua di quel che sembra: chi ha fiuto per gli umori della base si accorgerà che Veltroni o Rutelli, D'Alema o Prodi sono un problema secondario rispetto alla sentitissima esigenza di unità del centrosinistra.
Comunque, a quanto pare, nonostante la buona volontà dei Fassino e dei Moretti, il dialogo non ha ancora dato molti frutti. Dagli scienziati della politica come Pasquino la società civile forse si aspetta qualche indicazione pratica: forse le famose primarie, ormai diventate un'oggetto quasi mitologico? Chissà.
C'è chi, come me, le invoca senza sapere bene di cosa parla e di come funzionerebbero all'atto pratico.
Insomma sul fatto che bisogni ripartire dal basso siamo tutti d'accordo (almeno noi che in basso ci stiamo). Pasquino (che sta in mezzo?) ci spieghi come fare!
Cordiali saluti,
Valentino Necco