257 - 10.07.04


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Ci vuole un Ministero della paura?
Paul Virilio


Il disastro delle Twin Towers, la guerra irachena, la violenza in Israele. Nel libro Città panico, recentemente pubblicato da Raffaello Cortina (2004, pp. 129, euro 9,80), Paul Virilio li propone come esempi di un mondo mediatizzato in cui gli eventi sono tali solo in quanto incidenti, rotture della continuità, fratture dell'opinione standardizzata.

Vi offriamo un estratto del libro dal capitolo La democrazia di emozione


–Gli eventi passano sugli eventi, i fiumi passano sui fiumi, il fatto galleggia sempre tutto intero, senza discontinuitš, senza rottura”, scriveva Victor Hugo nel 1842, a proposito dellêincidente che era costato la vita al duca dêOrlþans. Centosessantêanni pi¶ tardi, nellêera del conformismo mediatico, la standardizzazione dellêopinione ú al culmine, e lêesemplaritš succede alla celebritš, al punto che lêespressione –creare lêevento” non corrisponde pi¶ alla realtš, una realtš falsificata da una moltitudine di supporti, audiovisivi e di altro tipo.

Essere esemplare significa ormai creare senza creazione, spesso addirittura per semplice sottrazione dellêopera. Di qui il successo strepitoso, nel corso del ventesimo secolo, dello scandalo artistico come dellêattentato politico. Di qui, anche, il discreto discredito della celebritš del produttore (lêartigiano, lêoperaio...), a partire dal diciannovesimo secolo, come del creatore (lêartista, il poeta...) nel successivo. E ciÖ, a beneficio di questo –angelo del banale” che ha raddoppiato quello del bizzarro, celebrato da Edgar Allan Poe, con il noto successo (mediatico), da loft story alla star academy.Oggi, momento in cui tutti gli esempi vengono seguiti in tempo reale attraverso lêiperpotenza dei mass media, lêevento ú unicamente la rottura della continuitš, lêincidente intempestivo, che viene a rompere la monotonia di una societš in cui la sincronizzazione dellêopinione completa abilmente la standardizzazione della produzione.

–Essere noti ú disumano”, dichiarava recentemente lêattore John Malkovich. Una tale negazione della celebritš contemporanea allêera della mondializzazione va di pari passo con la minaccia che pesa ormai sui diritti dêautore, sulla pura e semplice autenticitš di una firma.Ormai si puÖ essere spossessati, per contratto, del proprio nome, divenuto –immagine di marca”, come Ines de La Fressange o, ancora, Yves Saint Laurent. Ora contano soltanto il logotipo e la logomachia promozionale.Questa logica della modellizzazione contemporanea, si noti, della mondializzazione À che, alla fine, si rivela suicida per ogni vera e propria creazione À, comporta persino il rilancio dellêincidente per lêincidente, questa forma postmoderna dellê–arte per lêarte” che porta dallêincidente locale À del genere di quello della navetta Challenger o del supersonico Concorde À fino allêincidente globale ed ecologico À del genere Cernobyl À, in attesa della fatale confusione tra –attentato” e –incidente” À come nellêesplosione della fabbrica di Tolosa À, divenendo lêincertezza, questa volta, una figura dellêincidente della conoscenza, e non pi¶ solo della sostanza incriminata.

Creare lêincidente e non pi¶ tanto lêevento... rompere la concatenazione di causalitš che caratterizza cosñ bene la normalitš quotidiana À questo tipo di espressionismo ú oggi universalmente ricercato, tanto dai –terroristi” quanto dagli –artisti” e da tutti gli attivisti contemporanei dellêepoca della globalizzazione planetaria. A contrario, notiamo anche il numero considerevole di personalitš letterarie o scientifiche che giocano con la dissimulazione, addirittura con lêanonimato pi¶ completo, come Henri Michaux ieri o Thomas Pynchon oggi, che non concedono alcuna intervista alla stampa e che rifiutano sistematicamente di essere fotografati... Oppure, ancora, questi –terroristi”, silenziosamente infiltratisi nella banalitš della vita quotidiana, che non rivendicano nemmeno pi¶ la paternitš dei loro atti, in compenso provocando emuli, un gran numero di epigoni, di cui riparleremo pi¶ tardi.In fin dei conti, cêú della piromania in questa sete di esemplaritš senza vera e propria celebritš.

Creare lêevento, dicevamo, ma lêincidente non ú forse una forma indiretta dellêopera, una conseguenza della sostanza? Lêaereo di linea che ha inventato lo schianto al suolo o contro le Twin Towers proprio come il suo decollo dallêaeroporto... la nave, il piroscafo che inventa il suo naufragio insieme al suo varo. Perchþ, quindi, questa finta sorpresa, nel 1912, davanti allêinghiottimento del Titanic, nave insommergibile secondo i criteri promozionali della White Star? In realtš, lêincidente ú un attentato al pudore della sostanza, uno svelamento della sua nuditš, della miseria di ciÖ che ú davanti a ciÖ che accade [arrive] inopinatamente À allêuomo come alle sue creazioni.

Di qui lêattualitš della questione dellêevento importante in questo inizio del ventunesimo secolo. Nellêepoca in cui la mediatizzazione a oltranza sconvolge la creazione in tutte le sue forme, che cosa resta della nozione di opera [oeuvre], proprio quando quella di –capolavoro” [chef-dêoeuvre] da molto tempo ú scomparsa con la fine delle corporazioni [compagnonnage]? Che cosa resta, parallelamente, dellêautore, del creatore, da quando Dio ú morto, secondo la logica anchêessa promozionale di Friedrich Nietzsche?Oggi, quando Karlheinz Stockhausen dichiara, a proposito dellêattentato al World Trade Center e di Satana: –³ la pi¶ grande opera dêarte mai realizzata”, egli sostiene lêidea di un ritorno del tragico e persino di un capolavoro dimenticato, questo capolavoro in negativo, per sottrazione dicevamo prima, che, come lêincidente, non ú altro che un miracolo alla rovescia, insomma un miracolo laico. Conferma, se ancora ce ne fosse bisogno dopo Auschwitz e Hiroshima, della nascita della filofollia e di questa estetica della scomparsa che ha segnato lêultimo secolo nel suo insieme.

Cosñ, la crisi dellê–opera in chiaro” e il ritorno, lêeterno ritorno dellêopera al nero, introducono alla crisi della celebritš classica e sostanziale fondata su una produzione, una realizzazione concreta, a vantaggio di una esemplaritš puramente accidentale di cui il terrorismo del settembre 2001 ú una delle manifestazioni estreme, ma una manifestazione panica alla quale lo sciagurato attentato di Tampa fa da contrappunto.

Ricordiamo le circostanze di questo antievento: il 5 gennaio 2002 Charles Bishop, un adolescente di 15 anni che puliva aerei da turismo in cambio di qualche lezione di pilotaggio, decollava senza autorizzazione dallêaeroporto di Tampa, a bordo di un Cessna 142. Inseguito inutilmente da due caccia F15 e da un elicottero guardacoste, ha sorvolato impunemente la base militare di MacDill, che ospita il comando militare dellêus Air Force per lêAfghanistan, prima di finire la propria corsa contro il ventottesimo piano della torre della Bank of America. Si ritroverš sul suo corpo una lettera di adesione alle tesi di Bin Laden. –Non sosteneva realmente Bin Laden”, dichiarava Emerson, lêamico dellêapprendista kamikaze di Tampa, –ha scritto questo solo per farsi pubblicitš. Forse voleva semplicemente suicidarsi e che ci si ricordasse di lui.” Pietosa piromania! Il suicidio di un ragazzo rimette al giusto posto il –martirio” dei kamikaze di New York e di Washington. Come scriveva ancora Hugo: –La facezia che proviene da un misfatto ú pi¶ spaventosa di questo. Niente ú pi¶ abominevole del crimine che non rimane serio”.  

Sciagurato miracolo di Tampa, in cui lêesemplaritš ha colpito ancora al punto che la foto sui giornali della minuscola carlinga del Cessna, disperatamente appesa alla facciata intatta della Bank of America, ú il pendant (ú proprio il caso di dire) dello spettacolare crollo delle Twin Towers.Non dimentichiamo, infatti, che se il mimetismo ú ciÖ che caratterizza la potenza di condizionamento dei mass media, ú prima ancora il segno stesso dellêinfanzia, di questa –infanzia dellêarte per lêarte” che attualmente conduce, con lêinfantilismo promozionale, alla standardizzazione dei comportamenti e, peggio ancora, alla sincronizzazione delle emozioni.

Oggi, –creare un evento” ú anzitutto rompere il mimetismo, la modellizzazione pubblicitaria, questa propaganda ormai quasi cibernetica che ú, senza dubbio, il pi¶ grave inquinamento; un inquinamento non pi¶ ecologico ma etologico e mentale che accompagna la mondializzazione dei comportamenti sociali. Che lo si voglia o no, creare un evento significa ormai provocare un incidente. In un periodo della Storia in cui il presente (il live) prevale, contemporaneamente, sul passato e sul futuro, lêevento non ú pi¶ –innocente”: ú colpevole, colpevole di deviazionismo, di revisionismo nei confronti del pensiero monocefalo dellêera della modellizzazione globale.

Creare lêevento significa, quindi, rifiutare ciÖ che non ú pi¶ che unê–involuzione economica delle societš umane”, il passaggio dalla esocolonizzazione degli imperi di un tempo alla endocolonizzazione dellêimpero finale. Creare lêevento significa rilanciare oggi un pensiero refrattario alla cibermentalitš di un riflesso condizionato a questa sincronizzazione delle emozioni dellêera dellêinformazione, che viene a completare la standardizzazione dei comportamenti dellêera industriale.

–Gli elementi in gioco nella seconda guerra del Golfo non erano tanto le forze aeree quanto lo shock delle immagini e delle idee. Mentre bambini e soldati si facevano ammazzare, la televisione trasformava la guerra in un terribile dramma passionale, con ripetizioni e nuovi episodi ogni ora”, scriveva Jþr»me Charyn, illustrando cosñ la metamorfosi di un conflitto in cui le armi di ostruzione (i bunker di Saddam) e le armi di distruzione (i missili) cedono il primato strategico a queste armi di comunicazione di massa destinate a colpire gli spiriti... o ancora pi¶ precisamente, lêarma di distruzione di massa ú sottomessa a quella di una comunicazione di massa che la domina del tutto À dal momento che lêimpatto audiovisivo (in tempo reale) prevale di gran lunga, per la sua velocitš di propagazione su scala mondiale, sullêimpatto materiale e precisamente mirato dei proiettili esplosivi.

Di qui, domani, questo probabile ministero della paura che dominerš, dallêalto dei suoi satelliti e delle sue antenne paraboliche, lêormai superato ministero della guerra, con i suoi eserciti in via di decomposizione avanzata, da quando si ú sviluppato un iperterrorismo che non ha nemmeno pi¶ bisogno della massa di divisioni blindate e il cui sistema di armi ú principalmente costituito dallêinsieme dei mezzi di comunicazione di massa rivolti contro lêavversario. Una delle prove di questa decomposizione della guerra classica ci ú fornita dallêinversione del numero delle vittime, giacchþ nei conflitti recenti le perdite sono allê80 per cento dalla parte dei civili, mentre nella guerra tradizionale era esattamente lêinverso. Se un tempo si poteva distinguere in modo netto tra guerra internazionale e guerra civile À la guerra di tutti contro tutti À, ormai ogni guerra che si rispetti minimamente ú in primo luogo una guerra ai civili!

Di qui lêeventualitš che la prossima –guerra totale” non sia altro che una guerra civile mondiale e non pi¶ locale: infatti, la metastasi non concerne pi¶ le nazioni e le loro istituzioni, ma le loro popolazioni offerte in olocausto al caos. Come la materia, si osservi, la guerra possiede tre dimensioni: la massa, lêenergia e lêinformazione. Ogni epoca della Storia ha privilegiato una di queste dimensioni. Dapprima ci fu la massa, quella dei bastioni e delle corazzature, e quella delle legioni e delle divisioni degli eserciti in campagna.In seguito ci fu lêenergia, quella nevrobalistica delle catapulte, degli archi e di altre macchine da assedio, in attesa della polvere da sparo e dellêartiglieria; o, ancora, quella dei motori dei mezzi blindati, degli aerei e, infine, della bomba e dei missili intercontinentali, vettori di trasporto dellêarma atomica.

Oggi, ú la terza À e soprattutto la quarta À dimensione che prevale, con lêinformazione e la sua velocitš di comunicazione istantanea. Di qui lêimprovvisa permutazione in cui lêinfowar appare non solo come –guerra dei materiali”, ma soprattutto come guerra al reale; una derealizzazione in tutti i sensi, in cui lêarma di comunicazione di massa ú strategicamente superiore allêarma di distruzione di massa (atomica, chimica, batteriologica...).Cosñ, dopo gli –stratagemmi di guerra”, le mimetizzazioni e le altre illusioni capaci di ingannare lêavversario, di colpo ú lêaccelerazione della realtš il movimento panico che distrugge il nostro senso dellêorientamento À in altre parole, la nostra visione del mondo.



 

 

 

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