Caffe' Europa
 
Libri

"Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtu'"

Alessandro Pizzorno

 

Alessandro Pizzorno
"Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù"
Laterza, 1998 (http://www.laterza.it)
pp. 124, lire 9000



Per gentile concessione di autore ed editore pubblichiamo il capitolo finale del saggio di Alessandro Pizzorno.

Poscritto: La contesa continua

Alcune vicende posteriori all'invio di questo mio saggio in tipografia non vanno lasciate senza commento. Le tesi che ho esposto nelle pagine precedenti vi trovano risalto. Mi riferisco al voto sull'autorizzazione a procedere contro il deputato di Forza Italia Cesare Previti e all'intervista al "Corriere della Sera" del pm Gherardo Colombo.

Il voto contrario all'autorizzazione a procedere contro l'on. Cesare Previti, indipendentemente dal merito (che non può interessare la nostra indagine), è rilevante per il dibattito che l'ha accompagnato. Gli argomenti presentati all'opinione pubblica per giustificare il voto contrario all'autorizzazione a procedere hanno fatto riferimento alla probabilità o meno che l'imputato si sottraesse alla cattura, e alla possibilità o meno che lo stesso inquinasse le prove. Giudicando che queste due circostanze erano da ritenersi improbabili, chi ha votato contro ha dedotto che la Procura di Milano aveva mostrato volontà persecutoria nei confronti dell'imputato (questa era la condizione per rifiutare l'autorizzazione richiesta). Ch'io sappia (può darsi che nei resoconti parlamentari la circostanza sia rinvenibile, ma la stampa non l'ha pubblicata), non è stato specificato che la richiesta a procedere proveniva dal giudice per le indagini preliminari, e non dalla Procura, e che quindi bisognava dimostrare che quel giudice, e non il pool dei pm, era animato da intento persecutorio; o altrimenti che quel giudice era da considerarsi assoggettato alle volontà della Procura. Quel voto del Parlamento ha espresso quindi un giudizio di parzialità non su una particolare Procura, ma sulla magistratura nel suo insieme, requirente e giudicante, e in particolare un giudizio di sottomissione della seconda alla prima. Giudizio che è perfettamente lecito avanzare, ma esplicitamente, e dopo indagine, non per tacito assunto. C'è voluta l'usuale rozzezza dell'intervento del rappresentante della Lega per mettere allo scoperto il significato di quel voto come voto contro la magistratura italiana in generale. (Del resto, prima del voto, da rappresentanti di Forza Italia, era stata cinicamente ventilata la proposta di usare quel voto come merce di scambio: se l'autorizzazione veniva concessa, si sarebbero frapposti ostacoli ai lavori della Bicamerale.)

L'intervista del pm Gherardo Colombo al "Corriere della Sera", in cui si giudicavano le proposte della Bicamerale e altre decisioni politiche riguardanti la magistratura come frutto di ricatti fra le forze politiche, hanno sollevato un'ondata di proteste tra esterrefatte e indignate. L'indignazione riguardava il contenuto dell'intervista, o meglio, l'uso, in essa, della parola "ricatto", che riassumeva la natura dei rapporti politici in Italia, a partire dallo sbarco americano in Sicilia con l'aiuto della mafia, fino alla P2 e ai compromessi per la Bicamerale. Ma riguardava soprattutto la circostanza che quelle cose le dicesse un magistrato. (Infatti gli stessi giudizi, per la parte che riguardava la Bicamerale, e anzi più pungenti, e forse, data la sua particolare esperienza, anche con maggior cognizione di causa, li esprimeva il giorno dopo, in un'intervista a "la Repubblica", un ben noto avvocato di destra, Carlo Taormina, ma nessuno questa volta reagiva.) Un disperato tentativo di riportare la vicenda a una valutazione razionale, era quello di Elena Paciotti, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, la quale metteva il dito sulla piaga, ma dimenticava di aggiungere che la piaga, oramai, era difficilmente guaribile. Il suo giudizio, infatti, era che quell'intervista fosse stata eccessivamente enfatizzata: da una parte, non si doveva mettere in prima pagina, a titoli di scatola, l'intervista di un comune cittadino, non professionalmente qualificato a esprimere giudizi sulla natura della storia d'Italia; dall'altra, le reazioni erano state ingiustificatamente esagerate, se erano arrivate al punto da indurre i presidenti delle Camere a stilare un comunicato congiunto, e un senatore aveva dichiarato che avrebbe denunciato il dottor Colombo (credo che non l'abbia poi fatto).

La piaga su cui la presidente dell'Associazione nazionale magistrati metteva il dito era quella dello sfruttamento da parte di organi della sfera pubblica (continuo a usare la terminologia proposta in questo saggio) di alcuni giudizi pronunciati in un'intervista da un comune cittadino, non specificamente qualificato, gonfiandoli fuori di ogni proporzione, solo perché quel comune cittadino, per sue particolari vicende, era diventato un personaggio pubblico. Tentativo onesto, dicevo, questo, di riportare a ragionevolezza la vicenda, ma vano, perché la logica cui obbedisce tale tipo di dibattiti e scontri, e cui ha obbedito la stessa esplosione di Mani pulite, è proprio dettata dalle regole di funzionamento dell'istituzione che abbiamo chiamata "sfera pubblica"; e dagli incentivi che vi operano, i quali attengono ai modi di distribuzione della risorsa ambìta che entro la sfera pubblica viene prodotta, quella del "riconoscimento pubblico". Auspicare che a un certo punto tale logica cessi di operare non può quindi che restare auspicio senza effetti1.

Del resto, mai come in questa vicenda ci troviamo di fronte a un caso di scontro non politico fra soggetti operanti nella sfera pubblica. Dico "non politico" nel senso che non sono in gioco, di tutta evidenza, poste politiche, quali guadagni elettorali, distribuzione di benefici, occupazione di posti pubblici. Né la destra né la sinistra, come effetto dell'intervista Colombo, rischiano guadagni o perdite di voti. Se qualche migliaio di voti potesse mai spostarsi grazie a chi si fa convincere degli argomenti del pm milanese, si sposterebbe tutt'al più dal voto al non voto, o al voto bianco. Un'increspatura, nulla di più, sul risultato delle elezioni. Perché mai, allora, tutti questi politici si scaldano tanto? Occorrerà pensare che abbiano in vista obiettivi diversi da quelli di vincere le elezioni, che le istituzioni gli assegnano. Come chiamare questi altri obiettivi? prestigio, rispetto, dignità, buona considerazione... della funzione politica, valutata nel suo insieme, indipendentemente dalle idee che le diverse parti possano esprimere e dagli interessi che possano rappresentare. Il termine generico di "riconoscimento pubblico", che ho usato nel saggio, resta il più comprensivo. Abbiamo allora assistito a un esempio tipico di scontro, anche abbastanza acceso, che ha per posta il riconoscimento pubblico, privo di conseguenze per il potere politico (a meno di non dire che anche il riconoscimento pubblico è una forma di potere politico - ma sarebbe usare male le parole).

Certo, non sarà difficile osservare che i politici temono il magistrato che fa dichiarazioni, non tanto per il contenuto di quello che esso può dire, quanto per il consenso pubblico che, grazie a quello che dice, oltre che a quello che fa, può riscuotere; e dal quale può trarre incoraggiamento a perseguire l'opera di indagine sulle illegalità dei politici, l'opera di controllo della loro virtù. Parallelamente non si sarà lontani dal vero notando che le ragioni per le quali il pm Gherardo Colombo ha voluto dare un'intervista che facilmente si poteva prevedere clamorosa, erano guidate dal desiderio di ottenere e affrettare precisi provvedimenti, quali quelli riguardanti le rogatorie internazionali e la scadenza dei termini delle indagini preliminari. Circostanze, queste, dalle quali si potrebbe inferire che nella filigrana del dibattito sono rintracciabili obiettivi determinati, orientati ad approdare a specifici atti giurisdizionali (indagini, rinvii a giudizio e sentenze), o rispettivamente, per chi li teme, a evitarli; e non mere manifestazioni simboliche miranti al riconoscimento pubblico. Ma pur gli strumenti usati da entrambe le parti per conseguirli non sono stati né politici (pressioni sui votanti), né istituzionali (ricorsi, denunce), bensì modi di ricerca dell'approvazione pubblica. O meglio, dell'approvazione di quei soggetti che hanno accesso alla sfera pubblica (che sono, non sarà inutile ripeterlo, una minima parte dell'insieme dei soggetti che hanno accesso al voto, e poco li possono influenzare). Insomma, quello che ha luogo fra certa magistratura e classe politica appare come uno scontro che si combatte, e si vince o si perde, anzitutto usando le armi proprie all'istituzione della sfera pubblica, quelle che vertono intorno alla risorsa del riconoscimento pubblico come risorsa da contendersi. Strana impalpabile risorsa, e strano contendere per essa, verrebbe da osservare; e strana passione, poi, quella che schiera, con fax, discussioni, lettere e scritti vari, in favore delle ragioni degli uni o degli altri, gruppi abbastanza numerosi di cittadini interni alla sfera pubblica; o aspiranti tali, i quali, schierandosi, ed esprimendo approvazione o indignazione, o altri simili sentimenti e giudizi, conducono la contesa ("contesa pubblica", dobbiamo denominarla, e non "contesa politica") alle sue conclusioni, senza che null'altro poi necessariamente avvenga; cioè, senza che alcun beneficio venga acquisito da una parte o dall'altra, o alcuna posizione di potere venga alterata fra le parti politiche. "Strana contesa", dicevo, ma che apparirà strana e incomprensibile solo a chi continui a pensare che conflittualità pubblica si dia unicamente quando si vogliono ottenere benefici economici o posizioni di potere politico, e non, piuttosto, quando sono in gioco dignità e riconoscimenti per persone, gruppi, categorie, funzioni; e continui a ritenere che i conflitti mirino al voto degli elettori, e vengano decisi dalla pronuncia della maggioranza, e non invece mirino ai quei verdetti che disordinatamente vengono espressi in quell'indeterminabile e insistemabile insieme di manifestazioni che abbiamo chiamato "sfera pubblica".

A conferma di questa natura pubblica, pre-istituzionale, dei verdetti che contano, si può ancora citare un'assai realistica osservazione nell'intervista di Gherardo Colombo, in cui si dice che i corrotti temono assai più di venir scoperti che di venir puniti. Ovvero, è la denuncia pubblica che consegue all'indagine della magistratura, la vera punizione, non la sentenza, la quale chi sa quando seguirà e, quando giungerà, ben poco cambierà la situazione. In altre parole, i giudici che contano sono coloro che giudicano dalle posizioni che occupano nella sfera pubblica (quasi giuria illimitata e incalcolabile, atta a emettere condanne di reputazione, con quel che può conseguirne), non quelli che siedono nelle Corti. E si noti la perversità del meccanismo, perché esso colpisce anche gli innocenti, i quali, quando falsamente "scoperti", ne restano puniti, anche se poi il gip o il Tribunale li assolveranno, o magari le stesse Procure rinunceranno a chiedere di rinviarli a giudizio. Ma c'è un'altra, e in qualche modo opposta perversità in questo meccanismo del giudizio pubblico: ed è che, se i suoi esiti si inflazionano, perdono di valore. Come di quelle medicine di cui si dice "più te ne servi, meno ti servono", così di queste indagini e avvisi di garanzia e rinvii a giudizio: più si susseguono, e meno vi si bada, e meno danno luogo a giudizi del pubblico che contino e durino. A questo punto qualcuno ritornerà a sperare che arrivino a contare i veri giudizi delle istituzioni, le sentenze delle Corti, ma, per le più varie ragioni, assai spesso quelle si inceppano e insabbiano.

Del contenuto dell'intervista di Gherardo Colombo poco occorrerà dire, dopo l'analisi che ho condotta nel testo del saggio che precede (e in altri testi precedenti), e che, a prima vista, sembra in più punti, anche nell'uso dei termini, dire cose similissime. Ma soltanto a prima vista; e sarà utile ribadirlo, per continuare a chiarire la logica che regola gli eventi della sfera pubblica. Un certo significato andrà attribuito a giudizi che giungono a conclusione dopo che si sono ricostruite sequenze di cause ed effetti, e quindi sono in grado di mettere in evidenza la razionalità, o inevitabilità, di certi processi (come quelli di "scambio tacito" fra parti politicamente avverse, a cui, per imprimerli meglio nella memoria, si può anche dare il nome di "ricatto"). Diverso significato andrà invece attribuito ad affermazioni senza analisi, semplicemente enunciate nel rispondere alle domande di un giornalista. Ma alle aspettative della sfera pubblica (o di certi modi di essa) si risponde inevitabilmente con queste seconde, non con le prime.

A conclusione di questi commenti dedicati a vicende recenti si possono tirare alcune fila, che si riallacciano alle linee interpretative già proposte nel saggio. Le ricorderò in tre punti:

1. Lo scontro pubblico si presenta sempre più come quello fra classe politica, nel suo insieme (poiché, nella loro maggioranza, i partiti di destra e di sinistra si sono sentiti attaccati nello stesso modo, e più o meno nello stesso modo hanno contrattaccato), e magistratura. Per quest'ultima si dovrà ricordare che i rappresentanti ufficiali si sono dissociati da Gherardo Colombo, e che probabilmente i singoli magistrati nella loro maggioranza sentirebbero anch'essi di dissociarsi. Ma forse non si sbaglia dicendo che si tratta di differenze di misura, e che i principali obiettivi, seppur in modi più moderati, sono in buona parte condivisi.

L'aver introdotto la riforma della Giustizia fra i temi della Bicamerale, sottraendola alla legislazione ordinaria, ha certo inasprito lo scontro; ed è stato un atto interpretato da molti magistrati, e anche da normali commentatori giornalistici, come un modo per coinvolgere Berlusconi nel processo di riforma costituzionale. A questa interpretazione si riferiva ovviamente Gherardo Colombo. Ma ha ragione Luciano Violante a osservare che le riforme si giudicano per quello che propongono, non per chi le ha proposte; e se si eccettua l'incongruo, e praticamente irrilevante aumento dei componenti laici nel Consiglio superiore della magistratura (modifica del tutto simbolica, anch'essa espressione del meschino, e di fatto impotente, spirito di rivincita di qualche politico), le riforme proposte lasciano l'indipendenza della magistratura italiana a un livello più alto di quello in cui si trova la magistratura degli altri paesi europei e americani.

2. Si riafferma il peso che la natura dei rapporti tra maggioranza e opposizione politica hanno quanto alle posizioni che tende a prendere la magistratura. La vicenda della Bicamerale ha visto l'elisione quasi totale del ruolo di controllo esercitato dall'opposizione. Era inevitabile, perché ogni riforma costituzionale deve venir approvata da maggioranze più ampie di quella che governa. Ma l'aver introdotto la parte riguardante la giustizia, senza evidente necessità, poiché quasi tutto quello che riguardava il buon funzionamento della giustizia poteva venir realizzato con legge ordinaria, ha colorato i lavori della Commissione con quel sospetto di "inciucio", come si usa oggi dire, o di scambi sottobanco, o di horse trading, cioè "mercato delle vacche", che ne ha non poco stravolto l'immagine. Come in altre simili occasioni, una parte della magistratura ha ritenuto di doversi assumere un ruolo di supplenza.

3. Ancora una volta le posizioni polemiche assunte dalle diverse parti ignorano la centralità della sfera pubblica e la logica che presiede al suo funzionamento. L'indignazione da più parti precipitosamente espressa verso le esternazioni del pm Gherardo Colombo si è infatti esplicitamente o implicitamente riferita a una concezione dello Stato democratico di tipo tradizionale, con i tre poteri nettamente circoscritti, fra i quali il potere giudiziario occupa un ruolo subordinato perché non è espressione del consenso popolare, inteso come consenso elettorale. Non si è distinto dagli altri il consenso pubblico, o lo si è considerato mera anticipazione, o appendice, del consenso elettorale; non invece, com'è, istituzione che propone una sua logica autonoma, in obbedienza alla quale i principali soggetti pubblici, di cui è stata qui questione, si sono mossi e scontrati; e dalla quale quindi si possono esercitare poteri a volte più forti di quelli che si vogliono esercitare sul fondamento dei numeri del consenso elettorale.

Nota

1 Non ci sarà bisogno di chiarire che non intendo affatto dire che le scelte di alcuni pm, di indagare o di parlare, sono mosse dal desiderio di far apparire il proprio nome sulle pagine dei giornali (anche se non ci sarebbe nulla di male, perché, come già Madison diceva, è bene che i detentori del potere giudiziario abbiano interesse a controllare e bilanciare l'opera degli altri due poteri. E fra gli interessi istituzionalmente virtuosi c'è certamente quello di acquisire reputazione pubblica per la lotta contro il crimine). Ma non è questo che mi premeva mettere in rilievo, bensì la circostanza che la sfera pubblica e le sue regole e costrizioni è inevitabilmente l'arena in cui si combattono queste battaglie; che senza il sollevamento pubblico anche Mani pulite non avrebbe potuto procedere; che quotidianamente i pm lavorano sotto il bombardamento di insulti di alcuni giornali e di certa televisione privata scatenatamente ostile. Agli insulti, più di un magistrato risponde con denunce per querele. Ma si può capire che a volte rispondano anche con armi che sono istituzionalmente improprie. Si noti del resto, a questo proposito, l'asimmetria della situazione. Istituzionalmente i politici parlano con le leggi, i pm con le indagini e i giudici con le sentenze. Ma delle tre figure, la prima ha anche istituzionalmente accesso alla sfera pubblica: i politici possono parlare, e spesso straparlare, delle loro idee, senza sollevare riserve (e godono anche di immunità in molti casi), perché questo è lo strumento riconosciuto per farsi identificare. Per i pm, e soprattutto per i giudici, tale facoltà è assai ambiguamente accordata. Anzi, secondo una concezione tradizionale, valida tuttora in certi ordinamenti, come quello britannico, per esempio, essa è molto delimitata; e ciò ha come contropartita certe interdizioni, per il pubblico, di parlare dell'attività dei giudici. Ma una volta abbattuta questa diga, difficilmente la si può rialzare.

Copyright Laterza Editori


Signor giudice, dove vuole arrivare?
Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtu'"


 

homeindice sezionearchivio
Copyright Caffe' Europa 1998

Home |Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo