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Un’intesa liberal-labourista per l’Europa?
Daniele Castellani Perelli

Se da Parigi passa la sopravvivenza dell’Europa, è a Londra che deve guardare chi spera in un autentico rilancio globale del continente. Perché se la Gran Bretagna dirà sì al referendum sulla Costituzione europea, dopo 50 anni di diffidenza dimostrerà di aver definitivamente scelto, tra Europa e Stati Uniti, di essere protagonista della prima. L’Unione ne guadagnerà in compattezza e in dinamismo, potendo godere appieno dell’eccezionale apporto culturale, politico ed economico del Regno Unito: è Londra la capitale preferita dai giovani del continente, è soprattutto da lì che si sprigionano, in tutti i campi, le maggiori innovazioni del continente.

Le recenti elezioni hanno indicato, tra le altre cose, quale Gran Bretagna sarà quella che, il prossimo anno, voterà al referendum sulla Costituzione. Da un punto di vista europeista non ci si può che rallegrare del buon risultato dei liberaldemocratici di Charles Kennedy. Nel loro programma scrivono che “l’Ue ha un ruolo fondamentale nel garantire la pace e la libertà in Europa”, e che “porta enormi benefici alla Gran Bretagna”. “Noi crediamo che l’Ue – aggiungono – debba avere i poteri e le risorse per agire efficacemente in aree in cui i problemi non possono essere risolti a un livello nazionale e regionale”. L’approccio dei lib-dem sembra particolarmente adatto a incontrare il consenso dei cittadini britannici, perché il loro europeismo discreto e pragmatico va di pari passo con l’accettazione di alcune preoccupazioni assai diffuse nel campo antieuropeista, come la lotta agli sprechi e alla burocrazia di Bruxelles, l’opposizione al federalismo e il mantenimento del potere di veto nelle aree “di interesse vitale per il Regno Unito”.

Ma l’azione dei lib-dem non è solo di opposizione al progetto comunitario, tanto che nel loro programma chiedono una maggiore attenzione all’ambiente, istituzione più democratiche e soprattutto si battono apertamente perché la Gran Bretagna adotti la moneta unica: “Noi crediamo che l’euro offra la possibilità per evitare l’instabilità del tasso di cambio, e che riduca i costi del commercio con il resto dell’Ue. Pertanto ci impegneremo per ottenere un ingresso sostenibile nell’euro, incluso un livello competitivo per la sterlina, seguito da un referendum con cui il popolo britannico, e non i politici, deciderà se entrare o meno nell’euro”.

Nel parlamento europeo, d’altronde, il loro gruppo (Alde) brilla per attivismo e per assenza di ideologia. Sono liberali progressisti e europeisti, come il loro capogruppo Graham Watson (di cui Caffeeuropa ha pubblicato recentemente un intervento a favore dell’ingresso della Turchia). Se si escludono i radicali Marco Pannella e Emma Bonino, i politici italiani appartenenti all’Alde sono tutti membri del centrosinistra, come Antonio Di Pietro, Giulietto Chiesa e esponenti della Margherita del peso di Paolo Costa, Lapo Pistelli, Vittorio Prodi e Enrico Letta.

In Italia è stato lo stesso Letta, che si è detto legato sia a Blair sia a Charles Kennedy, a dipingere uno degli scenari futuribili: “Mi auguro che a Londra si arrivi a un’intesa tra il labour e i liberaldemocratici”. Con una maggioranza ridimensionata, il premier potrebbe essere costretto a rivolgersi ai partiti dell’opposizione. E quindi ai liberaldemocratici, che su questioni come la guerra e il Welfare sono persino più a sinistra di Blair (erano contro l’intervento in Iraq e in economia hanno posizioni meno liberiste). Nella storia recente, la loro matrice di sinistra è d’altronde ben presente, visto che i “lib-dem” nascono, nel 1988, dalla fusione del partito liberale e di quello socialdemocratico.

Il 5 maggio, grazie al loro 23% (5 punti in più rispetto al 2001) i liberaldemocratici sono riusciti a trasformare, come ha spiegato soddisfatto Kennedy, il tradizionale bipartitismo britannico in un sistema ormai saldamente a tre partiti. Tuttavia un crudele sistema elettorale attribuisce loro solo 62 seggi, che sono la miglior prestazione in un secolo di storia e che potrebbero risultare decisivi quando la sinistra del Labour voterà contro le proposte di Blair.

Lo storico britannico Timothy Garton Ash, columnist del Guardian che guarda all’Europa, il giorno prima del voto si era espresso chiaramente a favore di un’alleanza lib-lab, e aveva fatto più o meno questo discorso agli elettori progressisti: se volete riunire la sinistra britannica, divisa tra labour e liberaldemocratici, non sprecate il vostro voto, controllate chi dei due è in vantaggio nel vostro collegio e votatelo, perché così i conservatori verranno sconfitti, e saranno costretti in futuro a muoversi verso il centro e a diventare più liberali.

Anche se in campagna elettorale il tema europeo non si è mai affacciato, è noto che, se i conservatori sono ostili all’Ue, tra i laburisti e i liberaldemocratici l’idea d’Europa vanta più sostenitori. Questo significa che il 59% degli elettori ha votato per i due partiti che si batteranno per il sì al referendum sulla Costituzione europea (sempre che l’eventuale “no” francese non lo cancelli). E’ un buon segnale, che però dovrà fare i conti con lo scarso entusiasmo europeista che serpeggia in quei due stessi partiti. Molto dipenderà ancora da lui, da Tony Blair. Prossimo alla staffetta con Gordon Brown, non ha più nulla da perdere. Con questa maggioranza ridotta, sarà costretto ad una politica estera meno aggressiva, e presumibilmente meno accondiscendente nei confronti di George Bush.

L’ultimo mandato di un grande leader serve di solito per entrare nella Storia, e Blair, che è ambizioso e sognatore, potrebbe scegliere di impegnarsi in un miracolo: portare la Gran Bretagna al centro dell’Europa. In Italia lo ha ricordato Gianni Riotta, che in un editoriale sul Corriere della Sera si è chiesto: “Basteranno 66 seggi di maggioranza come tribuna per convincere gli inglesi che il futuro è l’Unione?”. In Germania la Sueddeutsche ha lanciato la sfida: “Dopo la terza vittoria elettorale, Blair può diventare la figura centrale dell’Europa politica. La sinistra e la destra del continente possono ritrovarsi in lui, gli atlantisti esteuropei e perfino i gollisti tedeschi. Se Blair saprà convincere il proprio paese della forza e del significato dell’Europa, allora quella sarà sicuramente materia per gli storici”.

 

 

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