Se da Parigi passa la sopravvivenza
dell’Europa, è a Londra che deve guardare
chi spera in un autentico rilancio globale del continente.
Perché se la Gran Bretagna dirà sì
al referendum sulla Costituzione europea, dopo 50
anni di diffidenza dimostrerà di aver definitivamente
scelto, tra Europa e Stati Uniti, di essere protagonista
della prima. L’Unione ne guadagnerà in
compattezza e in dinamismo, potendo godere appieno
dell’eccezionale apporto culturale, politico
ed economico del Regno Unito: è Londra la capitale
preferita dai giovani del continente, è soprattutto
da lì che si sprigionano, in tutti i campi,
le maggiori innovazioni del continente.
Le recenti elezioni hanno indicato, tra le altre
cose, quale Gran Bretagna sarà quella che,
il prossimo anno, voterà al referendum sulla
Costituzione. Da un punto di vista europeista non
ci si può che rallegrare del buon risultato
dei liberaldemocratici di Charles Kennedy. Nel loro
programma
scrivono che “l’Ue ha un ruolo fondamentale
nel garantire la pace e la libertà in Europa”,
e che “porta enormi benefici alla Gran Bretagna”.
“Noi crediamo che l’Ue – aggiungono
– debba avere i poteri e le risorse per agire
efficacemente in aree in cui i problemi non possono
essere risolti a un livello nazionale e regionale”.
L’approccio dei lib-dem sembra particolarmente
adatto a incontrare il consenso dei cittadini britannici,
perché il loro europeismo discreto e pragmatico
va di pari passo con l’accettazione di alcune
preoccupazioni assai diffuse nel campo antieuropeista,
come la lotta agli sprechi e alla burocrazia di Bruxelles,
l’opposizione al federalismo e il mantenimento
del potere di veto nelle aree “di interesse
vitale per il Regno Unito”.
Ma l’azione dei lib-dem non è solo di
opposizione al progetto comunitario, tanto che nel
loro programma chiedono una maggiore attenzione all’ambiente,
istituzione più democratiche e soprattutto
si battono apertamente perché la Gran Bretagna
adotti la moneta unica: “Noi crediamo che l’euro
offra la possibilità per evitare l’instabilità
del tasso di cambio, e che riduca i costi del commercio
con il resto dell’Ue. Pertanto ci impegneremo
per ottenere un ingresso sostenibile nell’euro,
incluso un livello competitivo per la sterlina, seguito
da un referendum con cui il popolo britannico, e non
i politici, deciderà se entrare o meno nell’euro”.
Nel parlamento europeo, d’altronde, il loro
gruppo (Alde) brilla per attivismo e per assenza di
ideologia. Sono liberali progressisti e europeisti,
come il loro capogruppo Graham Watson (di cui Caffeeuropa
ha pubblicato recentemente un intervento
a favore dell’ingresso della Turchia). Se si
escludono i radicali Marco Pannella e Emma Bonino,
i politici italiani appartenenti all’Alde sono
tutti membri del centrosinistra, come Antonio Di Pietro,
Giulietto Chiesa e esponenti della Margherita del
peso di Paolo Costa, Lapo Pistelli, Vittorio Prodi
e Enrico Letta.
In Italia è stato lo stesso Letta, che si
è detto legato sia a Blair sia a Charles Kennedy,
a dipingere uno degli scenari futuribili: “Mi
auguro che a Londra si arrivi a un’intesa tra
il labour e i liberaldemocratici”. Con una maggioranza
ridimensionata, il premier potrebbe essere costretto
a rivolgersi ai partiti dell’opposizione. E
quindi ai liberaldemocratici, che su questioni come
la guerra e il Welfare sono persino più a sinistra
di Blair (erano contro l’intervento in Iraq
e in economia hanno posizioni meno liberiste). Nella
storia recente, la loro matrice di sinistra è
d’altronde ben presente, visto che i “lib-dem”
nascono, nel 1988, dalla fusione del partito liberale
e di quello socialdemocratico.
Il 5 maggio, grazie al loro 23% (5 punti in più
rispetto al 2001) i liberaldemocratici sono riusciti
a trasformare, come ha spiegato soddisfatto Kennedy,
il tradizionale bipartitismo britannico in un sistema
ormai saldamente a tre partiti. Tuttavia un crudele
sistema elettorale attribuisce loro solo 62 seggi,
che sono la miglior prestazione in un secolo di storia
e che potrebbero risultare decisivi quando la sinistra
del Labour voterà contro le proposte di Blair.
Lo storico britannico Timothy
Garton Ash, columnist del Guardian che guarda
all’Europa, il giorno prima del voto si era
espresso chiaramente a favore di un’alleanza
lib-lab, e aveva fatto più o meno questo discorso
agli elettori progressisti: se volete riunire la sinistra
britannica, divisa tra labour e liberaldemocratici,
non sprecate il vostro voto, controllate chi dei due
è in vantaggio nel vostro collegio e votatelo,
perché così i conservatori verranno
sconfitti, e saranno costretti in futuro a muoversi
verso il centro e a diventare più liberali.
Anche se in campagna elettorale il tema europeo non
si è mai affacciato, è noto che, se
i conservatori sono ostili all’Ue, tra i laburisti
e i liberaldemocratici l’idea d’Europa
vanta più sostenitori. Questo significa che
il 59% degli elettori ha votato per i due partiti
che si batteranno per il sì al referendum sulla
Costituzione europea (sempre che l’eventuale
“no” francese non lo cancelli). E’
un buon segnale, che però dovrà fare
i conti con lo scarso entusiasmo europeista che serpeggia
in quei due stessi partiti. Molto dipenderà
ancora da lui, da Tony Blair. Prossimo alla staffetta
con Gordon Brown, non ha più nulla da perdere.
Con questa maggioranza ridotta, sarà costretto
ad una politica estera meno aggressiva, e presumibilmente
meno accondiscendente nei confronti di George Bush.
L’ultimo mandato di un grande leader serve
di solito per entrare nella Storia, e Blair, che è
ambizioso e sognatore, potrebbe scegliere di impegnarsi
in un miracolo: portare la Gran Bretagna al centro
dell’Europa. In Italia lo ha ricordato Gianni
Riotta, che in un editoriale sul Corriere
della Sera si è chiesto: “Basteranno
66 seggi di maggioranza come tribuna per convincere
gli inglesi che il futuro è l’Unione?”.
In Germania la Sueddeutsche ha lanciato la
sfida: “Dopo la terza vittoria elettorale, Blair
può diventare la figura centrale dell’Europa
politica. La sinistra e la destra del continente possono
ritrovarsi in lui, gli atlantisti esteuropei e perfino
i gollisti tedeschi. Se Blair saprà convincere
il proprio paese della forza e del significato dell’Europa,
allora quella sarà sicuramente materia per
gli storici”.
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