268 - 25.12.04


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Lo spazio della Turchia
nella famiglia europea
George Watson

Questo articolo è l'intervento di apertura tenuto da George Watson, presidente del gruppo parlamentare europeo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa (Alde), al convegno internazionale Turkey and the European Union:reason for a historic choice, organizzato a Bruxelles presso la sede del Parlamento europeo dal Partito Radicale Transnazionale, Alde e No Peace without Justice.

La parola “storico” è molto usata, addirittura forse abusata, ma è necessaria per descrivere la scelta che sta di fronte all’Unione europea sull’apertura dei negoziati per l’ingresso della Turchia. L’Ue si è ampliata, ha accolto pochi mesi fa altri dieci paesi e non riesco a trovare altra definizione, se non quella di un momento storico per parlare della data che ha sancito quell’allargamento dei nostri confini.
Quando nel 1989 è caduto il muro di Berlino l’Europa era a un bivio e ha scelto subito la direzione giusta. Ci sono poi voluti altri 15 anni prima che i paesi dell’ blocco ex comunista fossero fatti rientrare pienamente nell’alveo dell’Unione. Ma dare subito il segnale giusto ha garantito che le ferite della seconda guerra mondiale, così come quelle portate dalla Guerra Fredda potessero essere guarite fino a riunrci in uno spazio condiviso di democrazia, di pace e di prosperità.

L’Europa si trova di nuovo ad un bivio simile. La decisione di aprire o meno i negoziati per l’adesione della Turchia avrà implicazioni profonde e durevoli sulla forma e sullo sviluppo futuro dell’Unione. Questa decisione toccherà non soltanto le nostre questioni interne ma anche il ruolo dell’Europa nel mondo, e in particolare i rapporti con il Medio Oriente. La questione ha fatto sorgere forti dibattiti all’interno dei nostri paesi ed è questo un segno sano, che ci parla di una Ue democratica, perché sono convinto che le nostre istituzioni, le nostre democrazie siano abbastanza robuste per reggere a queste differenze di pareri. Allo stesso tempo però, devo dire che il dibattito mi sorprende. Trent’anni fa, quando ero uno studente, sarebbe stato impensabile affermare che la Turchia non fosse un paese europeo. Da allora la Turchia si è resa protagonista di cambiamenti che stanno segnando sempre più velocemente l’ammodernamento del paese, la sua transizione verso il pieno compimento di una democrazia laica e di un’economia di mercato. Se qualcosa è cambiato, piuttosto, è stata l’opinione dell’Europa occidentale.

La generosità di visione dei padri fondatori europei si è estinta con gli ampliamenti che abbiamo vissuto finora? La fiducia delle culture nazionali è stata colpita così forte dalla globalizzazione che cerchiamo rifugio in uno schermo, in una sorta di bolla europea della post-guerrra fredda? O ancora, c’è una nuova forma di laicismo aggressivo che s’intrufola per sostituire l’intolleranza religiosa del passato? Se è così l’opposizione alla Turchia e altri dibattiti recenti mi fanno temere che siamo al limite di una nuova età oscura. Nel corso degli anni la Turchia ha mostrato la sua vocazione europea: ha dato rifugio agli ebrei e ai cristiani durante l’Inquisizione cattolica, ha fatto parte dell’Europa dell’Illuminismo con scoperte nella cartografia e in altri settori. Sarebbe un errore pensare che l’Europa possa ignorarla o pensare che si possa imporle la nostra volontà. L’apertura dei negoziati, al contrario, sarebbe un riconoscimento del fatto che il dialogo, come nel trattato di Losanna, è sempre la via d’uscita più produttiva.

La domanda fondamentale è semplicissima: la Turchia ha rispettato o no i criteri di Copenhagen? Se la risposta è sì, ci vorrà un processo ulteriore per rendere giustizia agli sforzi della Turchia e andare incontro alla sua vocazione definitiva verso l’Europa. La Commissione ha affermato che Ankara ha rispettato questi criteri. Non c’è possibilità di spostare indietro le lancette dell’orologio, spostare i pali della porta. Cinque anni fa a Helsinki l’Ue ha dichiarato ufficialmente che la Turchia era un paese candidato come gli altri, e come candidato avrebbe dovuto cercare di rispettare i criteri di Copenhagen. Da allora la Turchia ha fatto grandi passi avanti soprattutto grazie alle riforme che con il governo di Erdogan ha vissuto una evidente accelerazione. Le parole del Consiglio sono chiare: una volta che la Turchia sarà considerata in linea con i criteri l’Unione europea dovrà stabilire una data per l’apertura dei negoziati.

All’interno dell’Unione europea siamo orgogliosi di essere una comunità internazionale fondata sulle regole del diritto e sulla trasparenza delle decisioni. Quando un paese candidato ha avuto la richiesta di fare delle cose per poter ambire all’adesione, questo paese, una volta raggiunti questi obiettivi, può aspettarsi di vedere realizzata la sua ambizione. Qualsiasi altra cosa minerebbe la credibilità dell’Unione Europea e di quello che noi affermiamo di rappresentare.

L’apertura dei negoziati non garantisce e non deve garantire di per sé l’adesione e nemmeno indica quanto tempo questi negoziati richiederanno. La Turchia dovrà affrontare almeno altri dieci anni di riforme e se il ritmo della riforma dovesse rallentare anche il processo di adesione rallenterebbe. Lo scopo dell’inizio dei negoziati dovrebbe invece essere quello di intensificare la pressione per un’ulteriore riforma e non diminuirla.

Se la Turchia arrivasse agli standard richiesti dall’Ue e non avesse la possibilità di aderire, l’Europa si troverebbe di fronte all’accusa di non decidere sul merito ma sulla base di latenti pregiudizi sull’Islam e sulla cultura islamica. Quest’accusa avrebbe ripercussioni anche nel più vasto mondo musulmano, che non solo sta ai confini del nostro continente ma che è anche parte di noi con i dodici milioni di musulmani che vivono nell’Unione, di cui quattro sono turchi turchi. Trattando in modo obiettivo la candidatura della Turchia, l’Europa contrasterebbe la premessa del fondamentalsimo islamico, della presunta incompatibilità dell’Islam con la democrazia liberale occidentale. Quindi con un solo atto di forza politica l’Europa potrebbe dare un sostegno a un Islam laico e democratico.

La partecipazione della Turchia alla Convenzione europea che ha portato al progetto di Costituzione è stata importante. Per la prima volta abbiamo un documento che cerca di chiarire chi siamo, che cosa difendiamo e cosa vogliamo difendere. Qualsiasi paese candidato che s’impegni per i princìpi e per le regole contenuti in questo Trattato costituzionale deve avere il diritto a partecipare a questo grandissimo progetto, perché se l’Ue è davvero una comunità fondata su un gruppo di valori comuni e non semplicemente un club cristiano, allora i progressi recenti della Turchia dimostrano sicuramente la volontà di partecipare a questa comunità sulla base di questi stessi valori. E’ questo un aspetto della recente storia turca che deve essere accolto con favore, come un grande successo per l’Europa e per i nostri sforzi di promuovere e esportare valori universali. La decisione di fronte alla quale si trova il Consiglio europeo è grandissima ma è anche semplice: l’unica base di questa decisione dovrebbe essere la raccomandazione della Commissione europea. Io sono e resto pieno d’ottimismo rispetto al fatto che la Turchia troverà il proprio spazio a tempo debito nella famiglia delle nazioni europee.

 

 

 

 

 

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