Questo articolo è l'intervento di apertura tenuto da George Watson, presidente del gruppo parlamentare europeo dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa (Alde), al convegno internazionale Turkey and the European Union:reason
for a historic choice, organizzato a Bruxelles presso la sede del Parlamento europeo dal Partito Radicale
Transnazionale, Alde e No Peace without Justice.
La
parola “storico” è molto usata,
addirittura forse abusata, ma è necessaria
per descrivere la scelta che sta di fronte all’Unione
europea sull’apertura dei negoziati per l’ingresso
della Turchia. L’Ue si è ampliata, ha
accolto pochi mesi fa altri dieci paesi e non riesco
a trovare altra definizione, se non quella di un momento
storico per parlare della data che ha sancito quell’allargamento
dei nostri confini.
Quando nel 1989 è caduto il muro di Berlino
l’Europa era a un bivio e ha scelto subito la
direzione giusta. Ci sono poi voluti altri 15 anni
prima che i paesi dell’ blocco ex comunista
fossero fatti rientrare pienamente nell’alveo
dell’Unione. Ma dare subito il segnale giusto
ha garantito che le ferite della seconda guerra mondiale,
così come quelle portate dalla Guerra Fredda
potessero essere guarite fino a riunrci in uno spazio
condiviso di democrazia, di pace e di prosperità.
L’Europa si trova di nuovo ad un bivio simile.
La decisione di aprire o meno i negoziati per l’adesione
della Turchia avrà implicazioni profonde e
durevoli sulla forma e sullo sviluppo futuro dell’Unione.
Questa decisione toccherà non soltanto le nostre
questioni interne ma anche il ruolo dell’Europa
nel mondo, e in particolare i rapporti con il Medio
Oriente. La questione ha fatto sorgere forti dibattiti
all’interno dei nostri paesi ed è questo
un segno sano, che ci parla di una Ue democratica,
perché sono convinto che le nostre istituzioni,
le nostre democrazie siano abbastanza robuste per
reggere a queste differenze di pareri. Allo stesso
tempo però, devo dire che il dibattito mi sorprende.
Trent’anni fa, quando ero uno studente, sarebbe
stato impensabile affermare che la Turchia non fosse
un paese europeo. Da allora la Turchia si è
resa protagonista di cambiamenti che stanno segnando
sempre più velocemente l’ammodernamento
del paese, la sua transizione verso il pieno compimento
di una democrazia laica e di un’economia di
mercato. Se qualcosa è cambiato, piuttosto,
è stata l’opinione dell’Europa
occidentale.
La generosità di visione dei padri fondatori
europei si è estinta con gli ampliamenti che
abbiamo vissuto finora? La fiducia delle culture nazionali
è stata colpita così forte dalla globalizzazione
che cerchiamo rifugio in uno schermo, in una sorta
di bolla europea della post-guerrra fredda? O ancora,
c’è una nuova forma di laicismo aggressivo
che s’intrufola per sostituire l’intolleranza
religiosa del passato? Se è così l’opposizione
alla Turchia e altri dibattiti recenti mi fanno temere
che siamo al limite di una nuova età oscura.
Nel corso degli anni la Turchia ha mostrato la sua
vocazione europea: ha dato rifugio agli ebrei e ai
cristiani durante l’Inquisizione cattolica,
ha fatto parte dell’Europa dell’Illuminismo
con scoperte nella cartografia e in altri settori.
Sarebbe un errore pensare che l’Europa possa
ignorarla o pensare che si possa imporle la nostra
volontà. L’apertura dei negoziati, al
contrario, sarebbe un riconoscimento del fatto che
il dialogo, come nel trattato di Losanna, è
sempre la via d’uscita più produttiva.
La domanda fondamentale è semplicissima: la
Turchia ha rispettato o no i criteri di Copenhagen?
Se la risposta è sì, ci vorrà
un processo ulteriore per rendere giustizia agli sforzi
della Turchia e andare incontro alla sua vocazione
definitiva verso l’Europa. La Commissione ha
affermato che Ankara ha rispettato questi criteri.
Non c’è possibilità di spostare
indietro le lancette dell’orologio, spostare
i pali della porta. Cinque anni fa a Helsinki l’Ue
ha dichiarato ufficialmente che la Turchia era un
paese candidato come gli altri, e come candidato avrebbe
dovuto cercare di rispettare i criteri di Copenhagen.
Da allora la Turchia ha fatto grandi passi avanti
soprattutto grazie alle riforme che con il governo
di Erdogan ha vissuto una evidente accelerazione.
Le parole del Consiglio sono chiare: una volta che
la Turchia sarà considerata in linea con i
criteri l’Unione europea dovrà stabilire
una data per l’apertura dei negoziati.
All’interno dell’Unione europea siamo
orgogliosi di essere una comunità internazionale
fondata sulle regole del diritto e sulla trasparenza
delle decisioni. Quando un paese candidato ha avuto
la richiesta di fare delle cose per poter ambire all’adesione,
questo paese, una volta raggiunti questi obiettivi,
può aspettarsi di vedere realizzata la sua
ambizione. Qualsiasi altra cosa minerebbe la credibilità
dell’Unione Europea e di quello che noi affermiamo
di rappresentare.
L’apertura dei negoziati non garantisce e non
deve garantire di per sé l’adesione e
nemmeno indica quanto tempo questi negoziati richiederanno.
La Turchia dovrà affrontare almeno altri dieci
anni di riforme e se il ritmo della riforma dovesse
rallentare anche il processo di adesione rallenterebbe.
Lo scopo dell’inizio dei negoziati dovrebbe
invece essere quello di intensificare la pressione
per un’ulteriore riforma e non diminuirla.
Se la Turchia arrivasse agli standard richiesti dall’Ue
e non avesse la possibilità di aderire, l’Europa
si troverebbe di fronte all’accusa di non decidere
sul merito ma sulla base di latenti pregiudizi sull’Islam
e sulla cultura islamica. Quest’accusa avrebbe
ripercussioni anche nel più vasto mondo musulmano,
che non solo sta ai confini del nostro continente
ma che è anche parte di noi con i dodici milioni
di musulmani che vivono nell’Unione, di cui
quattro sono turchi turchi. Trattando in modo obiettivo
la candidatura della Turchia, l’Europa contrasterebbe
la premessa del fondamentalsimo islamico, della presunta
incompatibilità dell’Islam con la democrazia
liberale occidentale. Quindi con un solo atto di forza
politica l’Europa potrebbe dare un sostegno
a un Islam laico e democratico.
La partecipazione della Turchia alla Convenzione europea
che ha portato al progetto di Costituzione è
stata importante. Per la prima volta abbiamo un documento
che cerca di chiarire chi siamo, che cosa difendiamo
e cosa vogliamo difendere. Qualsiasi paese candidato
che s’impegni per i princìpi e per le
regole contenuti in questo Trattato costituzionale
deve avere il diritto a partecipare a questo grandissimo
progetto, perché se l’Ue è davvero
una comunità fondata su un gruppo di valori
comuni e non semplicemente un club cristiano, allora
i progressi recenti della Turchia dimostrano sicuramente
la volontà di partecipare a questa comunità
sulla base di questi stessi valori. E’ questo
un aspetto della recente storia turca che deve essere
accolto con favore, come un grande successo per l’Europa
e per i nostri sforzi di promuovere e esportare valori
universali. La decisione di fronte alla quale si trova
il Consiglio europeo è grandissima ma è
anche semplice: l’unica base di questa decisione
dovrebbe essere la raccomandazione della Commissione
europea. Io sono e resto pieno d’ottimismo rispetto
al fatto che la Turchia troverà il proprio
spazio a tempo debito nella famiglia delle nazioni
europee.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it