I
27 morti e i 450 feriti dei recenti attentati di Istanbul,
a voler essere cinici, potrebbero avvicinare la Turchia
all’Unione più di quanto abbiano fatto
finora le riforme intraprese nell’ultimo anno
dalla coalizione guidata da Recep Tayyip Erdogan.
E’ la sensazione che si ricava dalla lettura
dei principali quotidiani del continente e dalle dichiarazioni
con cui eminenti politici europei hanno commentato
la strage di giovedì 20 novembre.
In Italia il più esplicito è stato Il
Riformista, con un editoriale dal titolo
“Da ieri la Turchia è entrata in Europa”.
Il quotidiano di Antonio Polito, pur non nascondendo
l’imperfezione della democrazia turca, ha lodato
Ankara per aver “dimostrato la possibilità
di coesistenza tra fede islamica e laicità
dello stato, tra religione e democrazia, tra credo
e diritti civili”, e ha sottolineato che “per
l’Europa, accoglierla nel suo seno è
un’occasione storica per dimostrare che non
è una fortezza cristiana lanciata in una crociata
contro l’Islam”. “Un nuovo nì
– ha ammonito Il Riformista riferendosi
a quando, nel 2004, Bruxelles dovrà decidere
se accettare la richiesta di adesione di Ankara –
sarebbe incomprensibile per i turchi, e li spingerebbe
inevitabilmente nelle braccia dei nemici dell’Europa”.
Polito, coerentemente “blairiano”, non
ha risparmiato frecciate alla cautela di Bruxelles
e Parigi, assumendo una posizione che risulta originale
all’interno dell’Ulivo. Il suo appello
è un segnale importante, perché in questo
modo uno dei principali quotidiani della sinistra
italiana, particolarmente vicino al Presidente dei
Ds Massimo D’Alema, ha deciso di far propria
una battaglia che finora non ha convinto molto l’Europa,
e che invece ha proprio nel leader del centrodestra
italiano il principale sponsor a livello continentale.
Silvio
Berlusconi, che in agosto ha fatto da testimone alle
nozze del figlio di Erdogan, ha lasciato questa volta
da parte il politically uncorrect del settembre
2001 (quando, in contrapposizione all’Islam,
definì l’Occidente “una civiltà
superiore”), e ha più opportunamente
sottolineato come gli attentati vogliano “punire
l’Islam moderato”. Il premier italiano
è stato esplicito nel collegare la strage alla
questione dell’adesione di Ankara all’Unione:
“La strategia dell’odio non riuscirà
a distogliere la Turchia dal suo obiettivo di far
parte della Ue”. Domenica 23 anche il Corriere
della Sera ha indirettamente alimentato la campagna
filoturca, citando un’intervista della Frankfurter
Allgemeine a Gianfranco Fini (in cui il rappresentante
del governo italiano alla Convenzione ha dichiarato
che “l’Italia è come prima per
l’adesione”, e che “tuttavia, il
processo non dev’essere ora accelerato”)
e soprattutto con un’intervista al Ministro
degli Esteri Franco Frattini (significativamente intitolata
“Frattini: Turchia nell’Unione europea.
Un segnale forte contro il terrorismo”), in
cui però c’è un passaggio discutibile
e sicuramente poco diplomatico, in cui il titolare
della Farnesina ha detto che la Turchia non fa parte
della storia europea (“Le radici cristiane parlano
del passato, della nostra storia in cui la Turchia
non c’era”).
In Germania la discussione sull’adesione della
Turchia all’Ue è viva da mesi, come Caffeeuropa
stessa ha segnalato in settembre (Schroeder
apre le porte alla Turchia), ma la strage di Istanbul
ha registrato un’accelerazione. Sui principali
quotidiani tedeschi si è dato grande risalto
al dibattito aperto dal ministro degli Interni, il
socialdemocratico Otto Schily, il quale ha dichiarato:
“La risposta a ciò che è successo
ad Istanbul può essere solo una cooperazione
più stretta con la Turchia”. “Noi
discutiamo seriamente della prospettiva dell’ingresso
della Turchia in Europa” ha aggiunto Schily,
mentre dalla Cdu si sono levate a riguardo voci prudenti,
come già era successo in settembre. Wolfgang
Bosbach, vicepresidente del partito cristiano-democratico,
ha dichiarato che “gli eventi dei giorni scorsi
parlano più contro che a favore” di una
integrazione più veloce della Turchia, che
se aderisse all’Ue “importerebbe nella
Comunità l’islamismo”. Per il suo
collega di partito Ingo Friedrich, vicepresidente
del Parlamento europeo, “un’integrazione
più veloce rafforzerebbe ancora il terrore
in Turchia”. Al contrario, secondo l’ex
deputato verde tedesco Cem Özdemir, è
“tanto più ora” che la Turchia
dovrà intensificare il processo riformista
che la condurrà in Europa. “Tanto più
ora” è anche il titolo dell’articolo
della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che
come la Sueddeutsche Zeitung ha dato grande
spazio alle dichiarazioni di Schily ed è sembrato
dunque, al pari del quotidiano bavarese, a favore
dell’ingresso della Turchia nella Ue.
Nonostante la Gran Bretagna fosse uno dei principali
obiettivi delle stragi (era britannica la banca colpita,
e la bomba al consolato di Istanbul ha ucciso il console
inglese Roger Short), anche i giornali d’oltremanica
hanno sottolineato le possibili conseguenze degli
attentati sull’ingresso della Turchia in Europa.
Anche in questo caso, come in quello di Schily, il
pretesto è stato la presa di posizione di un
importante rappresentante del governo, il ministro
degli esteri laburista Jack Straw, che come il collega
tedesco ha auspicato un’integrazione “il
più veloce possibile” da parte di Ankara.
Straw, durante una conferenza stampa tenuta ad Istanbul
a fianco del suo omologo turco Abdullah Gul, ha detto
che “la Gran Bretagna è con la Turchia”,
e che gli attacchi incrementeranno “la determinazione
di tutti noi a vedere la Turchia come un membro a
tutti gli effetti dell’Ue”. I giornali
inglesi sono stati meno espliciti di quelli tedeschi
nell’auspicare l’integrazione turca, ma
hanno portato argomentazioni altrettanto, per così
dire, “filoturche”. The Guardian,
nell’editoriale di sabato 22 novembre, ha scritto
che “la Turchia merita forte supporto”,
e che “troppi governi europei hanno fallito
nel comprendere l’importanza del condurre la
Turchia nel gruppo dell’Ue”. Ma il quotidiano
laburista inglese, al contrario de Il Riformista,
non ha riservato le sue critiche solo alla Francia,
ma anche a quanti “a Washington sono stati troppo
pronti nei recenti mesi a intimidire la Turchia per
l’aiuto in Iraq, senza sufficiente considerazione,
o rispetto, per la natura altamente delicata dei suoi
dilemmi strategici e culturali”.
La Francia è invece da sempre il paese europeo
più ostile all’ingresso turco, come testimoniato
dalle dichiarazioni del novembre 2002 di Valery Giscard
d’Estaing, ex Presidente francese ed attuale
Presidente della Convenzione, che avvertì allora
che l’adesione di Ankara avrebbe significato
“la fine dell’Unione”. I quotidiani
francesi, non a caso, hanno mantenuto in questi giorni
un atteggiamento più prudente rispetto agli
esempi italiani, tedeschi ed inglesi che abbiamo citato.
Il tema euro-turco è stato annullato sulle
pagine di Le Monde dalla costante critica alla guerra
americana in Iraq, mentre ha trovato spazio su Liberation
e Le Figaro. Il primo ha titolato esplicitamente
“A Istanbul Al-Qaeda colpisce l’Europa”,
ed ha aperto in modo simile l’editoriale del
21 novembre (“Gli attentati di Istanbul mirano
all’Europa”). Il conservatore Le Figaro
ha riassunto il dibattito politico continentale, con
i governi di Berlino e Londra curiosamente uniti nell’appoggio
ad Ankara, e ha citato la sociologa parigina Nilufer
Göle, secondo la quale “bisogna accelerare
l’integrazione perché l’Unione,
se vuole pesare nel dibattito mondiale, deve provare
che l’Islam e l’Occidente non sono incompatibili”.
“La Turchia – ha concluso la Göle
– è stata colpita perché offre
un’alternativa tra la rivoluzione e il terrorismo.
E’ quello che io chiamo l’Islam sorridente.
E’ la sola opzione che permette di scappare
al conflitto tra le civiltà”.
Che due autobombe siano esplose nel cuore di Istanbul
non significa che “ora” la Turchia può
entrare in Europa: sarebbe un affronto alla coraggiosa
e puntuale politica riformista di Erdogan. Ma a favore
dell’integrazione vale forse quanto una lucida
analisi, quel sentimento diffuso che le due autobombe
hanno provocato nel mondo della politica e dei media
del continente. Un sentimento che dice quanto europea,
nonostante la geografia, la storia e la religione,
appaia oggi la Turchia agli occhi degli europei.
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