242 - 13.12.03


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Islam sorridente più vicino all’Unione?

Daniele Castellani Perelli


I 27 morti e i 450 feriti dei recenti attentati di Istanbul, a voler essere cinici, potrebbero avvicinare la Turchia all’Unione più di quanto abbiano fatto finora le riforme intraprese nell’ultimo anno dalla coalizione guidata da Recep Tayyip Erdogan. E’ la sensazione che si ricava dalla lettura dei principali quotidiani del continente e dalle dichiarazioni con cui eminenti politici europei hanno commentato la strage di giovedì 20 novembre.

In Italia il più esplicito è stato Il Riformista, con un editoriale dal titolo “Da ieri la Turchia è entrata in Europa”. Il quotidiano di Antonio Polito, pur non nascondendo l’imperfezione della democrazia turca, ha lodato Ankara per aver “dimostrato la possibilità di coesistenza tra fede islamica e laicità dello stato, tra religione e democrazia, tra credo e diritti civili”, e ha sottolineato che “per l’Europa, accoglierla nel suo seno è un’occasione storica per dimostrare che non è una fortezza cristiana lanciata in una crociata contro l’Islam”. “Un nuovo nì – ha ammonito Il Riformista riferendosi a quando, nel 2004, Bruxelles dovrà decidere se accettare la richiesta di adesione di Ankara – sarebbe incomprensibile per i turchi, e li spingerebbe inevitabilmente nelle braccia dei nemici dell’Europa”. Polito, coerentemente “blairiano”, non ha risparmiato frecciate alla cautela di Bruxelles e Parigi, assumendo una posizione che risulta originale all’interno dell’Ulivo. Il suo appello è un segnale importante, perché in questo modo uno dei principali quotidiani della sinistra italiana, particolarmente vicino al Presidente dei Ds Massimo D’Alema, ha deciso di far propria una battaglia che finora non ha convinto molto l’Europa, e che invece ha proprio nel leader del centrodestra italiano il principale sponsor a livello continentale.

Silvio Berlusconi, che in agosto ha fatto da testimone alle nozze del figlio di Erdogan, ha lasciato questa volta da parte il politically uncorrect del settembre 2001 (quando, in contrapposizione all’Islam, definì l’Occidente “una civiltà superiore”), e ha più opportunamente sottolineato come gli attentati vogliano “punire l’Islam moderato”. Il premier italiano è stato esplicito nel collegare la strage alla questione dell’adesione di Ankara all’Unione: “La strategia dell’odio non riuscirà a distogliere la Turchia dal suo obiettivo di far parte della Ue”. Domenica 23 anche il Corriere della Sera ha indirettamente alimentato la campagna filoturca, citando un’intervista della Frankfurter Allgemeine a Gianfranco Fini (in cui il rappresentante del governo italiano alla Convenzione ha dichiarato che “l’Italia è come prima per l’adesione”, e che “tuttavia, il processo non dev’essere ora accelerato”) e soprattutto con un’intervista al Ministro degli Esteri Franco Frattini (significativamente intitolata “Frattini: Turchia nell’Unione europea. Un segnale forte contro il terrorismo”), in cui però c’è un passaggio discutibile e sicuramente poco diplomatico, in cui il titolare della Farnesina ha detto che la Turchia non fa parte della storia europea (“Le radici cristiane parlano del passato, della nostra storia in cui la Turchia non c’era”).

In Germania la discussione sull’adesione della Turchia all’Ue è viva da mesi, come Caffeeuropa stessa ha segnalato in settembre (Schroeder apre le porte alla Turchia), ma la strage di Istanbul ha registrato un’accelerazione. Sui principali quotidiani tedeschi si è dato grande risalto al dibattito aperto dal ministro degli Interni, il socialdemocratico Otto Schily, il quale ha dichiarato: “La risposta a ciò che è successo ad Istanbul può essere solo una cooperazione più stretta con la Turchia”. “Noi discutiamo seriamente della prospettiva dell’ingresso della Turchia in Europa” ha aggiunto Schily, mentre dalla Cdu si sono levate a riguardo voci prudenti, come già era successo in settembre. Wolfgang Bosbach, vicepresidente del partito cristiano-democratico, ha dichiarato che “gli eventi dei giorni scorsi parlano più contro che a favore” di una integrazione più veloce della Turchia, che se aderisse all’Ue “importerebbe nella Comunità l’islamismo”. Per il suo collega di partito Ingo Friedrich, vicepresidente del Parlamento europeo, “un’integrazione più veloce rafforzerebbe ancora il terrore in Turchia”. Al contrario, secondo l’ex deputato verde tedesco Cem Özdemir, è “tanto più ora” che la Turchia dovrà intensificare il processo riformista che la condurrà in Europa. “Tanto più ora” è anche il titolo dell’articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che come la Sueddeutsche Zeitung ha dato grande spazio alle dichiarazioni di Schily ed è sembrato dunque, al pari del quotidiano bavarese, a favore dell’ingresso della Turchia nella Ue.

Nonostante la Gran Bretagna fosse uno dei principali obiettivi delle stragi (era britannica la banca colpita, e la bomba al consolato di Istanbul ha ucciso il console inglese Roger Short), anche i giornali d’oltremanica hanno sottolineato le possibili conseguenze degli attentati sull’ingresso della Turchia in Europa. Anche in questo caso, come in quello di Schily, il pretesto è stato la presa di posizione di un importante rappresentante del governo, il ministro degli esteri laburista Jack Straw, che come il collega tedesco ha auspicato un’integrazione “il più veloce possibile” da parte di Ankara. Straw, durante una conferenza stampa tenuta ad Istanbul a fianco del suo omologo turco Abdullah Gul, ha detto che “la Gran Bretagna è con la Turchia”, e che gli attacchi incrementeranno “la determinazione di tutti noi a vedere la Turchia come un membro a tutti gli effetti dell’Ue”. I giornali inglesi sono stati meno espliciti di quelli tedeschi nell’auspicare l’integrazione turca, ma hanno portato argomentazioni altrettanto, per così dire, “filoturche”. The Guardian, nell’editoriale di sabato 22 novembre, ha scritto che “la Turchia merita forte supporto”, e che “troppi governi europei hanno fallito nel comprendere l’importanza del condurre la Turchia nel gruppo dell’Ue”. Ma il quotidiano laburista inglese, al contrario de Il Riformista, non ha riservato le sue critiche solo alla Francia, ma anche a quanti “a Washington sono stati troppo pronti nei recenti mesi a intimidire la Turchia per l’aiuto in Iraq, senza sufficiente considerazione, o rispetto, per la natura altamente delicata dei suoi dilemmi strategici e culturali”.

La Francia è invece da sempre il paese europeo più ostile all’ingresso turco, come testimoniato dalle dichiarazioni del novembre 2002 di Valery Giscard d’Estaing, ex Presidente francese ed attuale Presidente della Convenzione, che avvertì allora che l’adesione di Ankara avrebbe significato “la fine dell’Unione”. I quotidiani francesi, non a caso, hanno mantenuto in questi giorni un atteggiamento più prudente rispetto agli esempi italiani, tedeschi ed inglesi che abbiamo citato. Il tema euro-turco è stato annullato sulle pagine di Le Monde dalla costante critica alla guerra americana in Iraq, mentre ha trovato spazio su Liberation e Le Figaro. Il primo ha titolato esplicitamente “A Istanbul Al-Qaeda colpisce l’Europa”, ed ha aperto in modo simile l’editoriale del 21 novembre (“Gli attentati di Istanbul mirano all’Europa”). Il conservatore Le Figaro ha riassunto il dibattito politico continentale, con i governi di Berlino e Londra curiosamente uniti nell’appoggio ad Ankara, e ha citato la sociologa parigina Nilufer Göle, secondo la quale “bisogna accelerare l’integrazione perché l’Unione, se vuole pesare nel dibattito mondiale, deve provare che l’Islam e l’Occidente non sono incompatibili”. “La Turchia – ha concluso la Göle – è stata colpita perché offre un’alternativa tra la rivoluzione e il terrorismo. E’ quello che io chiamo l’Islam sorridente. E’ la sola opzione che permette di scappare al conflitto tra le civiltà”.

Che due autobombe siano esplose nel cuore di Istanbul non significa che “ora” la Turchia può entrare in Europa: sarebbe un affronto alla coraggiosa e puntuale politica riformista di Erdogan. Ma a favore dell’integrazione vale forse quanto una lucida analisi, quel sentimento diffuso che le due autobombe hanno provocato nel mondo della politica e dei media del continente. Un sentimento che dice quanto europea, nonostante la geografia, la storia e la religione, appaia oggi la Turchia agli occhi degli europei.

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