Intendiamo
aprire su Caffeeuropa una discussione sulle prospettive del Partito
democratico. Lo vogliamo fare intorno a tre domande.
1-La prima riguarda la credibilità del progetto e del gruppo dirigente che si propone alla sua guida.
2-La seconda riguarda la ispirazione generale del disegno.
3-La
terza riguarda le relazioni tra cattolici e non cattolici e la
possibilità di definire una linea di condotta comune.
Rispondete alle domande, mandateci la vostra opinione a redazione@caffeeuropa.it e noi le pubblicheremo sulla pagine di questa rivista online.
Perché queste tre domande e non altre? E’ quel che cerco di spiegare qui sotto.
La prima domanda.
Il gruppo dirigente che ci sta lavorando è credibile?
La domanda è legittima per diverse ragioni. Il gruppo dirigente
che sta operando per la nascita del PD non è nuovo e condivide
le responsabilità della direzione politica del centrosinistra
nelle sue diverse componenti nell’ultimo quindicennio (per non
risalire più indietro mi limito al ciclo berlusconiano). Di
fronte a molti segnali di crescita della sfiducia nei confronti del
ceto politico, questo gruppo dirigente può avanzare un
plausibile progetto di rinnovamento? Dopo cicli di governo e di
opposizione in cui i progressisti italiani non sono venuti a capo del
conflitto di interesse e della invasività del potere economico e
mediatico del Cavaliere, senza riuscire né a separare nettamente
le proprie responsabilità da quelle del centrodestra per
l’abnormità del caso italiano né a configurare con
lui una forma plausibile di accordo (posto che fosse possibile) che
limitasse i danni al sistema dell’informazione e limitasse i casi
di malcostume generale. L’esempio deflagrato con il caso
Saccà-fiction-attricette-Barbarossa ha palesato in modo
spettacolare uno stile, una prassi corrente, nei confronti dei quali
non si manifesta una capacità di reazione adeguata a
“costruire credibilità”.
Si leggono per esempio nel manifesto del Partito democratico del giugno
2007 forti richiami ai principi della meritocrazia e della
competitività nelle università, nella ricerca, nella
società. Si legge per esempio: “Vogliamo reagire allo
scadimento della proposta televisiva puntando sulla qualità dei
contenuti e l’obiettività dell’informazione, a
cominciare dal servizio radiotelevisivo pubblico.” Non e’
il caso di chiedersi se queste affermazioni non suonano addirittura
comiche? E se non sono comiche non si tratta di un oltraggio al senso
comune? I leader del centrosinistra, a cominciare naturalmente dal
segretario, Walter Veltroni, si sono interrogati sulla risposta da dare
ai fenomeni di rigetto della politica e dei politici, da parte di buona
parte dell’opinione pubblica? Un documento programmatico, una
carta dei valori, un progetto quale che sia, che
credibilità ha se proviene da un gruppo dirigente che non ha
saputo disintossicare la politica dal malcostume, dalla corruzione,
dagli sprechi, dai privilegi, dai politici che sembrano al servizio
esclusivo di se stessi? Che senso ha produrre “buoni
pensieri” se non si sa dare loro credibilità?
La seconda domanda.
Quali valori e quale ispirazione generale?
La seconda domanda riguarda l’ispirazione generale del disegno
del PD. Una domanda che può risultare utile a tracciare una
carta dei valori, che può aiutare a individuarne il tratto
principale. Credo che senza una ricostruzione della credibilità
della leadership politica la ricerca affidata a questa seconda domanda
non andrebbe comunque molto lontano. Formulando questa domanda ho
dunque il fondato sospetto che sia intrecciata alla prima e che
un'efficace risposta alla diffusa sfiducia verso i politici abbia
bisogno anche di un ricambio, parlo proprio di persone. Che senso hanno
risposte incentrate sulla “priorità del lavoro” o
“dei diritti delle donne” o
sull’“innovazione” e la “società della
conoscenza” se non sono accompagnate da un ricambio di classe
dirigente e dalla messa in pratica di uno stile innovativo, diligente,
responsabile, serio, meno televisivo, meno retorico e più
operoso, più capace di produrre fatti ?
La terza domanda.
Quale rapporto tra religiosi e non, tracattolici e non?
La terza domanda riguarda la relazione tra religiosi e non religiosi,
tra cattolici e non cattolici, tra chi ritiene utile e necessario
portare nella vita pubblica principi che scaturiscono dalla sua fede e
chi ritiene utile e necessario trarre questi principi esclusivamente da
fonti non religiose. Reset ha
lavorato in questi anni al tema della relazione tra cultura religiosa e
stato liberale, traendo spunti utili per rispondere a questa domanda,
dal lavoro di importanti studiosi, politici, religiosi: dal confronto
Habermas-Ratzinger del 2004 ai dialoghi di Giuliano Amato con Vincenzo
Paglia nel 2005, dagli articoli di Enzo Bianchi e Andrea Riccardi, ai
seminari con Juergen Habermas, Alessandro Ferrara, Elisabetta Galeotti,
Ernst-Wolfgang Boeckenfoerde, Gian Enrico Rusconi, Michael Walzer,
Klaus Eder e molti altri. E’ evidente che coloro che simpatizzano
per l’idea di dar vita a un Partito democratico italiano
condividono l’idea che sia non solo lecito ma anche utile
intrecciare sulla scena pubblica un confronto tra le correnti
progressiste non cattoliche e quelle cattoliche. Coloro che ritengono
che la dimensione religiosa debba rimanere rigorosamente confinata
nella sfera privata e non interagire nella sfera pubblica sono
sostanzialmente contrari alla costruzione del Partito democratico e non
potrebbero non esserlo perché fin dal principio questo progetto
politico si è caratterizzato anche per la essenziale confluenza
di una forte componente cattolica popolare.
I criteri per definire una comune ispirazione del Pd non possono dunque
che partire da un principio di eguale rispetto tra posizioni religiose
e non religiose. Un uguale rispetto che si può ben definire con
le parole di Martha Nussbaum in un testo cha ha inviato per il numero
di Reset che uscirà in gennaio 2008:
Un
principio centrale di giustizia che tutte le democrazie moderne devono
osservare è quello dell'uguale rispetto per tutti i cittadini.
Uguale rispetto implica, in maniera centrale, uguale libertà
religiosa e pienamente uguale posizione nel regno pubblico delle
persone che abbiano vincoli di coscienza differenti. Se la politica
pubblica di una nazione annunciasse che una religione è migliore
di un'altra, ciò comprometterebbe l'uguale posizione dei
cittadini. Questo pari rispetto è compromesso anche dalla
politica nota nel diritto statunitense come "non-preferenzialismo",
ovvero dalla preferenza generalizzata per la religione rispetto alla
non-religione. Anche i cittadini non-religiosi devono essere trattati
come pienamente uguali, e una nazione che si dichiarasse sposata a
un'identità religiosa, seppur generale, non mostrerebbe loro
pienamente uguale rispetto. Lo stesso è vero al contrario: se la
politica pubblica di una nazione mostrasse una preferenza per la
non-religione rispetto alla religione, i cittadini regliosi non
entrerebbero nel regno pubblico "a pari condizioni" (per usare
un'espressione resa famosa da James Madison, principale architetto
della Costituzione degli Stati Uniti). Se gli ateisti moderni volessero
semplicemente uguale rispetto, la loro richiesta sarebbe ragionevole.
Se, invece, chiedessero che i principi politici di una nazione
subordinassero la religione alla non-religione, non mostrerebbero
uguale rispetto per i loro concittadini, e dovremmo allora respingere
le loro richieste.
Una posizione dunque onerosa sia per persone di fede cattolica quanto
per fedeli di altre fedi, per non credenti, agnostici, atei. La
formulazione contenuta nel manifesto del giugno 2007 era piuttosto
efficace, anche se molto generale. Quella contenuta nella carta dei
valori (bozza Ceruti)
sembra attribuire alle sole posizioni religiose la capacità di
fornire contributi etici. Il che viene attribuito o a incauta scrittura
o a colpevole arroganza clericale (secondo la provenienza delle
critiche). Se è difficile – perché impossibile -
individuare un principio passe-par-tout
capace di sciogliere tutti i nodi e di appianare tutti i conflitti su
questioni bioetiche, sulla famiglia, l’aborto, le unioni gay
ecc., e’ indispensabile – perché conditio sine qua non
del PD – trovare un principio per regolare bene gli inevitabili
disaccordi e ridurne la portata, che rischia spesso di assumere i
caratteri di scontro di civiltà.
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