333 - 14.01.07


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Ecco le domande
Giancarlo Bosetti

Intendiamo aprire su Caffeeuropa una discussione sulle prospettive del Partito democratico. Lo vogliamo fare intorno a tre domande.

1-La prima riguarda la credibilità del progetto e del gruppo dirigente che si propone alla sua guida.

2-La seconda riguarda la ispirazione generale del disegno.

3-La terza riguarda le relazioni tra cattolici e non cattolici e la possibilità di definire una linea di condotta comune.

Rispondete alle domande, mandateci la vostra opinione a redazione@caffeeuropa.it e noi le pubblicheremo sulla pagine di questa rivista online.

Perché queste tre domande e non altre? E’ quel che cerco di spiegare qui sotto.

La prima domanda.
Il gruppo dirigente che ci sta lavorando è credibile?
La domanda è legittima per diverse ragioni. Il gruppo dirigente che sta operando per la nascita del PD non è nuovo e condivide le responsabilità della direzione politica del centrosinistra nelle sue diverse componenti nell’ultimo quindicennio (per non risalire più indietro mi limito al ciclo berlusconiano). Di fronte a molti segnali di crescita della sfiducia nei confronti del ceto politico, questo gruppo dirigente può avanzare un plausibile progetto di rinnovamento? Dopo cicli di governo e di opposizione in cui i progressisti italiani non sono venuti a capo del conflitto di interesse e della invasività del potere economico e mediatico del Cavaliere, senza riuscire né a separare nettamente le proprie responsabilità da quelle del centrodestra per l’abnormità del caso italiano né a configurare con lui una forma plausibile di accordo (posto che fosse possibile) che limitasse i danni al sistema dell’informazione e limitasse i casi di malcostume generale. L’esempio deflagrato con il caso Saccà-fiction-attricette-Barbarossa ha palesato in modo spettacolare uno stile, una prassi corrente, nei confronti dei quali non si manifesta una capacità di reazione adeguata a “costruire credibilità”.
Si leggono per esempio nel manifesto del Partito democratico del giugno 2007 forti richiami ai principi della meritocrazia e della competitività nelle università, nella ricerca, nella società. Si legge per esempio: “Vogliamo reagire allo scadimento della proposta televisiva puntando sulla qualità dei contenuti e l’obiettività dell’informazione, a cominciare dal servizio radiotelevisivo pubblico.” Non e’ il caso di chiedersi se queste affermazioni non suonano addirittura comiche? E se non sono comiche non si tratta di un oltraggio al senso comune? I leader del centrosinistra, a cominciare naturalmente dal segretario, Walter Veltroni, si sono interrogati sulla risposta da dare ai fenomeni di rigetto della politica e dei politici, da parte di buona parte dell’opinione pubblica? Un documento programmatico, una carta dei valori, un progetto quale che sia,  che credibilità ha se proviene da un gruppo dirigente che non ha saputo disintossicare la politica dal malcostume, dalla corruzione, dagli sprechi, dai privilegi, dai politici che sembrano al servizio esclusivo di se stessi? Che senso ha produrre “buoni pensieri” se non si sa dare loro credibilità?
 
La seconda domanda.
Quali valori e quale ispirazione generale?
La seconda domanda riguarda l’ispirazione generale del disegno del PD. Una domanda che può risultare utile a tracciare una carta dei valori, che può aiutare a individuarne il tratto principale. Credo che senza una ricostruzione della credibilità della leadership politica la ricerca affidata a questa seconda domanda non andrebbe comunque molto lontano. Formulando questa domanda ho dunque il fondato sospetto che sia intrecciata alla prima e che un'efficace risposta alla diffusa sfiducia verso i politici abbia bisogno anche di un ricambio, parlo proprio di persone. Che senso hanno risposte incentrate sulla “priorità del lavoro” o “dei diritti delle donne” o sull’“innovazione” e la “società della conoscenza” se non sono accompagnate da un ricambio di classe dirigente e dalla messa in pratica di uno stile innovativo, diligente, responsabile, serio, meno televisivo, meno retorico e più operoso, più capace di produrre fatti ?
 
La terza domanda.
Quale rapporto tra religiosi e non, tracattolici e non?
La terza domanda riguarda la relazione tra religiosi e non religiosi, tra cattolici e non cattolici, tra chi ritiene utile e necessario portare nella vita pubblica principi che scaturiscono dalla sua fede e chi ritiene utile e necessario trarre questi principi esclusivamente da fonti non religiose. Reset ha lavorato in questi anni al tema della relazione tra cultura religiosa e stato liberale, traendo spunti utili per rispondere a questa domanda, dal lavoro di importanti studiosi, politici, religiosi: dal confronto Habermas-Ratzinger del 2004 ai dialoghi di Giuliano Amato con Vincenzo Paglia nel 2005, dagli articoli di Enzo Bianchi e Andrea Riccardi, ai seminari con Juergen Habermas, Alessandro Ferrara, Elisabetta Galeotti, Ernst-Wolfgang Boeckenfoerde, Gian Enrico Rusconi, Michael Walzer, Klaus Eder e molti altri. E’ evidente che coloro che simpatizzano per l’idea di dar vita a un Partito democratico italiano condividono l’idea che sia non solo lecito ma anche utile intrecciare sulla scena pubblica un confronto tra le correnti progressiste non cattoliche e quelle cattoliche. Coloro che ritengono che la dimensione religiosa debba rimanere rigorosamente confinata nella sfera privata e non interagire nella sfera pubblica sono sostanzialmente contrari alla costruzione del Partito democratico e non potrebbero non esserlo perché fin dal principio questo progetto politico si è caratterizzato anche per la essenziale confluenza di una forte componente cattolica popolare.

I criteri per definire una comune ispirazione del Pd non possono dunque che partire da un principio di eguale rispetto tra posizioni religiose e non religiose. Un uguale rispetto che si può ben definire con le parole di Martha Nussbaum in un testo cha ha inviato per il numero di Reset che uscirà in gennaio 2008:

Un principio centrale di giustizia che tutte le democrazie moderne devono osservare è quello dell'uguale rispetto per tutti i cittadini. Uguale rispetto implica, in maniera centrale, uguale libertà religiosa e pienamente uguale posizione nel regno pubblico delle persone che abbiano vincoli di coscienza differenti. Se la politica pubblica di una nazione annunciasse che una religione è migliore di un'altra, ciò comprometterebbe l'uguale posizione dei cittadini. Questo pari rispetto è compromesso anche dalla politica nota nel diritto statunitense come "non-preferenzialismo", ovvero dalla preferenza generalizzata per la religione rispetto alla non-religione. Anche i cittadini non-religiosi devono essere trattati come pienamente uguali, e una nazione che si dichiarasse sposata a un'identità religiosa, seppur generale, non mostrerebbe loro pienamente uguale rispetto. Lo stesso è vero al contrario: se la politica pubblica di una nazione mostrasse una preferenza per la non-religione rispetto alla religione, i cittadini regliosi non entrerebbero nel regno pubblico "a pari condizioni" (per usare un'espressione resa famosa da James Madison, principale architetto della Costituzione degli Stati Uniti). Se gli ateisti moderni volessero semplicemente uguale rispetto, la loro richiesta sarebbe ragionevole. Se, invece, chiedessero che i principi politici di una nazione subordinassero la religione alla non-religione, non mostrerebbero uguale rispetto per i loro concittadini, e dovremmo allora respingere le loro richieste. 


Una posizione dunque onerosa sia per persone di fede cattolica quanto per fedeli di altre fedi, per non credenti, agnostici, atei. La formulazione contenuta nel manifesto del giugno 2007 era piuttosto efficace, anche se molto generale. Quella contenuta nella carta dei valori (bozza Ceruti) sembra attribuire alle sole posizioni religiose la capacità di fornire contributi etici. Il che viene attribuito o a incauta scrittura o a colpevole arroganza clericale (secondo la provenienza delle critiche). Se è difficile – perché impossibile - individuare un principio passe-par-tout capace di sciogliere tutti i nodi e di appianare tutti i conflitti su questioni bioetiche, sulla famiglia, l’aborto, le unioni gay ecc., e’ indispensabile – perché conditio sine qua non del PD – trovare un principio per regolare bene gli inevitabili disaccordi e ridurne la portata, che rischia spesso di assumere i caratteri di scontro di civiltà. 

 

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