Partendo
dal presupposto che è "insensato pensare che l'Europa
possa competere con il potere economico, militare e
tecnologico" degli Stati Uniti e delle economie emergenti
(in particolare quelle asiatiche), George Steiner asserisce
che il compito dell'Europa "è di ordine spirituale e
intellettuale". "Il genio dell'Europa è ciò che William
Blake avrebbe chiamato 'la santità dei minimi particolari'.
Il genio di una varietà linguistica, culturale, sociale,
di un ricchissimo mosaico che spesso trasforma una distanza
irrilevante, una ventina di chilometri, in una frontiera
tra due mondi (…). L'Europa morirà se non combatterà
per difendere le proprie lingue, le proprie tradizioni
locali e le proprie autonomie sociali. Perirà se dimentica
che 'Dio si trova nei dettagli'" (Una
certa idea di Europa).
Concetti analoghi si ritrovano nell'eredità letteraria
di Hans-Georg Gadamer (in particolare L'eredità
dell'Europa). In cima alla lista dei pregi unici
dell'Europa, Gadamer pone proprio la sua varietà e la
sua ricchezza, che rasenta la dissipazione; ai suoi
occhi, la profusione di differenze è il principale tesoro
che l'Europa ha conservato e che può donare al mondo.
"Vivere con l'Altro, vivere come l'Altro dell'Altro
è il principale compito dell'uomo, al livello più basso
così come a quello più elevato… Di qui forse il vantaggio
peculiare dell'Europa, che poteva e doveva imparare
l'arte di vivere insieme agli altri". In Europa, più
che in qualsiasi altro luogo, "l'Altro" è ed è sempre
stato vicino, a vista e a portata di mano; l'Altro è,
metaforicamente e persino letteralmente, il vicino di
casa, e gli europei, nonostante l'alterità e le differenze
che li contraddistinguono, non possono far altro che
negoziare i termini di questo buon vicinato. La cornice
europea, caratterizzata dal "multilinguismo, dalla prossimità
dell'Altro e dall'eguale valore accordato all'Altro
in uno spazio estremamente ridotto", potrebbe essere
vista come una scuola in cui il resto del mondo può
apprendere quelle conoscenze e quelle competenze fondamentali
che fanno la differenza tra la sopravvivenza e il declino.
Acquisire e condividere l'arte di imparare gli uni dagli
altri è, secondo Gadamer, "il compito dell'Europa",
e io aggiungerei la missione dell'Europa, o meglio il
fato dell'Europa in attesa che venga riconfigurato
come destino.
Non si tratta di sopravvalutare l'importanza di questa
missione - e l'importanza della determinazione con cui
l'Europa la intraprende - dal momento che "condizione
essenziale per risolvere i problemi vitali del mondo
attuale", un'autentica conditio sine qua non,
sono l'amicizia e la "ferma solidarietà" che, sole,
possono assicurare alla convivenza tra gli uomini una
"struttura ordinata". Per far fronte a tale compito
possiamo, ed è necessario, trarre ispirazione dalla
comune eredità europea: per gli antichi greci, ci ricorda
Gadamer, il concetto di "amico" "esprimeva la totalità
della vita sociale". "Amici" sono coloro che riescono,
ancorché diversi, ad essere solidali gli uni con gli
altri e ad aiutarsi a vicenda proprio in virtù delle
loro differenze, e che soprattutto riescono a far ciò
senza rinunciare alla propria unicità e senza, d'altra
parte, far sì che la propria unicità li allontani o
li metta gli uni contro gli altri.
Di recente, Lionel Jospin ha riversato le sue speranze
per un nuovo ruolo mondiale dell'Europa nel suo "approccio
sfumato alle realtà attuali". L'Europa, sostiene Jospin,
ha imparato a proprie spese, e pagando un prezzo altissimo
in termini di sofferenza, a "superare le rivalità storiche
e risolvere pacificamente i conflitti", a conciliare
"un'enorme varietà di culture" e a convivere con la
prospettiva di una permanente diversità culturale non
più considerata un fastidio temporaneo. Sono queste,
è bene sottolinearlo, le lezioni di cui il resto del
mondo ha così tanto bisogno.
Vista sullo sfondo di un mondo dilaniato dai conflitti,
l'Europa appare come una fucina in cui vengono continuamente
forgiati gli strumenti necessari al raggiungimento di
quell'unità universale del genere umano di cui parlava
Kant, come un laboratorio in cui tali strumenti vengono
"testati in corso d'opera", sebbene per ora in progetti
meno ambiziosi e su scala ridotta. Gli strumenti che
all'interno dell'Europa si vanno forgiando e collaudando
servono soprattutto alla delicata operazione - per gli
osservatori meno ottimisti troppo delicata
perché possa avere una benché minima probabilità di
successo - di separare i fondamenti della legittimità
politica, del processo democratico e della disponibilità
a condividere le risorse come avviene in una comunità,
dal principio di sovranità nazionale e territoriale
cui sono stati indissolubilmente legati per gran parte
della storia moderna.
La nascente Federazione europea si trova dinnanzi al
compito di replicare l'impresa compiuta agli albori
della modernità dallo Stato nazione: riconciliare potere
e politica, che attualmente sono divisi e seguono rotte
opposte. Oggi come allora la strada che conduce alla
realizzazione di questa impresa è impervia, irta di
insidie e disseminata di rischi incalcolabili, con l'aggravante
che il percorso non è tracciato, cosicché ogni passo
è un salto nell'ignoto.
Se occorre ricentrare ed elevare a un livello superiore
a quello di Stato nazione i capisaldi della solidarietà
umana (il sentimento di mutua appartenenza e di responsabilità
condivisa per il futuro comune o la disponibilità a
prendersi cura del benessere reciproco e a trovare soluzioni
durature e pacifiche ai conflitti che di volta in volta
insorgono), allora tali valori necessitano di una cornice
istituzionale per la formazione della volontà
e dell'opinione pubblica. L'Unione europea aspira, seppur
con passo lento ed esitante, a creare una forma embrionale
o rudimentale di tale cornice istituzionale (solo il
tempo dirà quali dei due aggettivi è il più adatto),
ma gli ostacoli più insormontabili che sta incontrando
sul proprio cammino sono appunto gli Stati-nazione e
la loro riluttanza a disfarsi di ciò che rimane della
loro sovranità un tempo piena. È dunque difficile tracciare
in modo preciso il cammino e ancor più arduo (oltre
che irresponsabile e azzardato) è prevederne le svolte
future. Se adottata e anteposta alla logica dell'arroccamento
locale, la logica della responsabilità e delle aspirazioni
globali può contribuire a preparare l'Europa alla sua
prossima avventura, più grandiosa forse di quelle che
l'hanno preceduta. Nonostante le probabilità contrarie
siano innumerevoli, quella logica potrebbe far sì che
sia ancora una volta l'Europa a definire i modelli globali,
consentendole di mettere in pratica tanto i valori che
ha saputo custodire e utilizzare per preservarsi nelle
avversità, quanto l'esperienza etico-politica di autogoverno
democratico acquisita, per far fronte all'immane compito
di sostituire l'insieme di entità arroccate nei rispettivi
territori e impegnate in un gioco a somma zero per la
sopravvivenza con una comunità umana universale e pienamente
inclusiva. Solo se e quando si riuscirà a realizzare
tale comunità, l'Europa potrà considerare compiuta la
sua missione. Solo in seno a una tale comunità i valori
che guidano le ambizioni e la quête dell'Europa
- quei valori che sono l'Europa - potranno
essere veramente al sicuro.
Ciò che ci aspetta è stato profeticamente descritto
da Franz Kafka nel racconto I difensori: "Se
dunque non trovi nulla in questi corridoi, apri le porte;
e se non trovi nulla dietro a queste porte, esistono
altri piani; se non trovi nulla lassù, non importa;
sali per nuove scale! Finché non smetterai di salire
non cesseranno i gradini, anzi, si moltiplicheranno
all'infinito sotto i tuoi piedi che salgono".
Certo, riconosco che non si può considerare un programma,
né un aspettativa o un auspicio, da realizzare nel 2007,
ma deve esserci un momento in cui cominceremo a incamminarci
lungo quei corridoi… Che quel momento sia il 2007.
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