Possono bastare
poche pagine per accendere grandi idee. I libri, è
vero, non si misurano a peso, non si giudicano dalla
quantità di carta e di inchiostro che impiegano,
e può capitare che un saggetto sottile sottile
sia tanto denso di stimoli e intuizioni da poter smuovere
la mente pigra di chi lo legge.
È il caso di Una certa idea di Europa,
trentatré sole pagine (se si tolgono la prefazione
di Mario Vargas Llosa e il Prologo di Rob Riemen) in
cui George Steiner ritrae la sua Europa, il suo continente
fatto di suggestioni e di personaggi, di scritture e
di libri, di storie individuali e di Storia con la esse
maiuscola, fatto, in una sola parola, di cultura.
L’Europa è un insieme, è un nome
collettivo, è un soggetto che sta cercando la
via per far convivere unità e particolarismi,
facendo della pluralità la sua stessa forza,
il suo carattere costitutivo e peculiare. Attenti però
che questa miriade di differenze e di individui non
remi contro il progetto, dice Steiner. Attenti che la
qualità migliore dell’Europa non ne sia
il più maligno punto debole. Attenti a dar risalto
ai valori comuni, senza i quali le differenze non sarebbero
altro che minacce per futuri odi reciproci, ricordando
così da vicino il recente passato, quello stesso
passato di guerre intestine che l’idea di Europa
è chiamata a scongiurare. E attenti, infine,
a trovare quei valori comuni laddove il tempo non possa
distruggerli, laddove le radici delle identità
affondano per dar vita allo stesso albero che chiamiamo
Europa. Dunque non artificiose costruzioni politiche
o economiche, non Trattati o Consigli: sono tutte fasi
necessarie al cammino non c’è che dire,
ma non competono alla penna di Steiner, alla cui abilità
spetta invece di metterci di fronte agli occhi il senso
di appartenenza a una cultura che ci ha fatto europei,
uno specchio in cui riconoscerci.
Come gli specchi dei caffè, dove l’Illuminismo
è nato e cresciuto, dove, in locali affollati
e conversazioni da tavolino, nascevano le opere di Baudelaire
e Carnap, Kraus e Musil, Sartre e Benjamin. Diversi,
così diversi dai bar e dai locali americani,
fumosi e bui, che hanno legato il loro nome al jazz
e a un immaginario letterario e cinematografico. I caffè
europei hanno ospitato artisti e pensatori, sono stati
i luoghi dove scrittori e filosofi andavano per conversare
e guardare quella realtà che avrebbero poi raccontato
nelle loro opere. Posti abituali, per leggere il giornale,
per una consumazione pomeridiana, per uno scambio di
idee, per incontri storici, come quelli tra Robespierre
e Danton al Cafè Procope o al caffè di
Ginevra dove Lenin e Trockij hanno giocato a scacchi.
“Basta disegnare una mappa dei caffè, ed
ecco gli indicatori essenziali dell’idea di Europa”,
dice Steiner; dalla Lisbona di Pessoa all’Odessa
di Isaac Babel, da Palermo a Copenhagen, la vita culturale
del continente è passata per secoli in questi
locali che ne conservano la tradizione, l’aria,
l’atmosfera. Ne conservano l’idea.
Ai caffè si aggiungono poi altre caratteristiche
che racchiudono l’Europa come idea, che la rendono
diversa dal resto del mondo, unica.
Come ad esempio il modo di percorrerla piedi: l’Europa
è una terra che si cammina, è, da sempre,
“un paesaggio su scala umana” che non ammette
distanze enormi, che non propone sconfinate aperture.
L’Europa geografica, pur nella sua grande varietà
naturale, si lascia attraversare dai passi dell’uomo
che, in strade vicoli e piazze, ritrova la memoria della
propria storia, della propria cultura. Solo in Europa,
infatti, la toponomastica è dedicata a poeti
filosofi e scienziati, ai nomi che hanno segnato le
tappe della cultura europea: un omaggio a tali personaggi,
ma anche un modo per mantenere viva la memoria della
propria identità segnandola sul territorio.
Guardiamoci in giro, sembra suggerire George Steiner,
e vediamo a un passo da noi le tracce evidenti di ciò
che ci rende europei. Lo vediamo nel paesaggio, lo ricordiamo
nella storia, lo leggiamo nei libri. L’Europa
esiste, esiste un’idea che ce la racconta, unita
non solo nella politica e nell’economia, ma anche
in secoli di abitudini e culture comuni. Secoli dopo
i quali le differenze possono trovare un terreno su
cui confrontarsi, e le mille diversità dell’Europa
possono vedere che ciascuna di loro è frutto
di uno stesso albero.
Questo basta a farci scongiurare il pericolo che le
differenze non si trasformino ancora in guerre fratricide?
Sicuramente no.
E allora come essere sicuri che un patrimonio di diversità
si mantenga unito contro il rischio di veder ripetere
la tragica cronaca di odi reciproci?
“Non ho la risposta – ammette Steiner –
Ma qualcuno più saggio di me la deve trovare,
perché l’ora si è fatta tarda”.
George Steiner
Una certa idea di Europa
Garzanti, pagg. 62, euro 10,00
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