304 - 24.08.06


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L’Europa secondo Steiner

Mauro Buonocore



Possono bastare poche pagine per accendere grandi idee. I libri, è vero, non si misurano a peso, non si giudicano dalla quantità di carta e di inchiostro che impiegano, e può capitare che un saggetto sottile sottile sia tanto denso di stimoli e intuizioni da poter smuovere la mente pigra di chi lo legge.
È il caso di Una certa idea di Europa, trentatré sole pagine (se si tolgono la prefazione di Mario Vargas Llosa e il Prologo di Rob Riemen) in cui George Steiner ritrae la sua Europa, il suo continente fatto di suggestioni e di personaggi, di scritture e di libri, di storie individuali e di Storia con la esse maiuscola, fatto, in una sola parola, di cultura.

L’Europa è un insieme, è un nome collettivo, è un soggetto che sta cercando la via per far convivere unità e particolarismi, facendo della pluralità la sua stessa forza, il suo carattere costitutivo e peculiare. Attenti però che questa miriade di differenze e di individui non remi contro il progetto, dice Steiner. Attenti che la qualità migliore dell’Europa non ne sia il più maligno punto debole. Attenti a dar risalto ai valori comuni, senza i quali le differenze non sarebbero altro che minacce per futuri odi reciproci, ricordando così da vicino il recente passato, quello stesso passato di guerre intestine che l’idea di Europa è chiamata a scongiurare. E attenti, infine, a trovare quei valori comuni laddove il tempo non possa distruggerli, laddove le radici delle identità affondano per dar vita allo stesso albero che chiamiamo Europa. Dunque non artificiose costruzioni politiche o economiche, non Trattati o Consigli: sono tutte fasi necessarie al cammino non c’è che dire, ma non competono alla penna di Steiner, alla cui abilità spetta invece di metterci di fronte agli occhi il senso di appartenenza a una cultura che ci ha fatto europei, uno specchio in cui riconoscerci.

Come gli specchi dei caffè, dove l’Illuminismo è nato e cresciuto, dove, in locali affollati e conversazioni da tavolino, nascevano le opere di Baudelaire e Carnap, Kraus e Musil, Sartre e Benjamin. Diversi, così diversi dai bar e dai locali americani, fumosi e bui, che hanno legato il loro nome al jazz e a un immaginario letterario e cinematografico. I caffè europei hanno ospitato artisti e pensatori, sono stati i luoghi dove scrittori e filosofi andavano per conversare e guardare quella realtà che avrebbero poi raccontato nelle loro opere. Posti abituali, per leggere il giornale, per una consumazione pomeridiana, per uno scambio di idee, per incontri storici, come quelli tra Robespierre e Danton al Cafè Procope o al caffè di Ginevra dove Lenin e Trockij hanno giocato a scacchi.
“Basta disegnare una mappa dei caffè, ed ecco gli indicatori essenziali dell’idea di Europa”, dice Steiner; dalla Lisbona di Pessoa all’Odessa di Isaac Babel, da Palermo a Copenhagen, la vita culturale del continente è passata per secoli in questi locali che ne conservano la tradizione, l’aria, l’atmosfera. Ne conservano l’idea.

Ai caffè si aggiungono poi altre caratteristiche che racchiudono l’Europa come idea, che la rendono diversa dal resto del mondo, unica.
Come ad esempio il modo di percorrerla piedi: l’Europa è una terra che si cammina, è, da sempre, “un paesaggio su scala umana” che non ammette distanze enormi, che non propone sconfinate aperture.
L’Europa geografica, pur nella sua grande varietà naturale, si lascia attraversare dai passi dell’uomo che, in strade vicoli e piazze, ritrova la memoria della propria storia, della propria cultura. Solo in Europa, infatti, la toponomastica è dedicata a poeti filosofi e scienziati, ai nomi che hanno segnato le tappe della cultura europea: un omaggio a tali personaggi, ma anche un modo per mantenere viva la memoria della propria identità segnandola sul territorio.

Guardiamoci in giro, sembra suggerire George Steiner, e vediamo a un passo da noi le tracce evidenti di ciò che ci rende europei. Lo vediamo nel paesaggio, lo ricordiamo nella storia, lo leggiamo nei libri. L’Europa esiste, esiste un’idea che ce la racconta, unita non solo nella politica e nell’economia, ma anche in secoli di abitudini e culture comuni. Secoli dopo i quali le differenze possono trovare un terreno su cui confrontarsi, e le mille diversità dell’Europa possono vedere che ciascuna di loro è frutto di uno stesso albero.
Questo basta a farci scongiurare il pericolo che le differenze non si trasformino ancora in guerre fratricide? Sicuramente no.
E allora come essere sicuri che un patrimonio di diversità si mantenga unito contro il rischio di veder ripetere la tragica cronaca di odi reciproci?
“Non ho la risposta – ammette Steiner – Ma qualcuno più saggio di me la deve trovare, perché l’ora si è fatta tarda”.

George Steiner
Una certa idea di Europa
Garzanti, pagg. 62, euro 10,00

 

 

 

 

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