Dal prossimo numero di Reset (n. 98 novembre-dicembre),
tra poco in edicola e in libreria, riportiamo la presentazione
di Alessandro Ovi al Documento
per un nuovo servizio pubblico radiotelevisivo nell’era
digitale presentato in un incontro pubblico il
2 novembre scorso, alla presenza del Ministo delle
Comunicazioni Paolo Gentiloni e del Sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio Ricardo Franco Levi.
Il documento è firmato da:
Giorgio Bogi, Enzo Cheli, Alessandro Ovi, Augusto
Preta, Carlo Rognoni, Antonio Sassano, Gianluca Veronesi.
Il fatto che il sistema radiotelevisivo debba adempiere
a un ruolo di servizio pubblico è, almeno in
Europa , fuori discussione.
Ma cosa questo significhi in termini di offerta reale
lo è assai meno.
E questo non solo perché sta cambiando il ruolo
del mercato nella definizione dei contenuti che vengono
offerti ma anche perché stanno emergendo nuovi
modi di fruire dei servizi.
Le grandi opportunità offerte dalle tecnologie
digitali, che stanno diffondendosi in modo oramai
ben visibile, cambiano profondamente lo scenario:
il digitale satellitare, il digitale terrestre e la
radiotelevisione via internet, escono da posizioni
di nicchia e incidono su frazioni sempre più
ampie di popolazione.
Pensiamo che già quasi dieci milioni di famiglie
hanno un’antenna e un decoder per il satellite
o per il digitale terrestre, tutti in grado di portare
centinaia di canali radiotelevisivi e che la banda
larga in grado di portare la televisione via protocollo
internet sta davvero arrivando alla diffusione di
massa.
Sono numeri rilevanti che non permettono più
di ragionare di servizio pubblico come se lo strumento
di fruizione fosse solo la vecchia televisione analogica
caratterizzata dalla scarsità di ‘frequenze’
con cui diffondere i programmi.
Pensiamo alla scelta di un grande ‘broadcater’
di TV generalista come l’americana NBC che ha
appena deciso di tagliare gli investimenti sul ‘prime
time’, quello del massimo ascolto del grande
pubblico, per aumentare quelli della offerta di contenuti
sul ‘web’.
Ci rendiamo conto allora che discorsi che possono
sembrare antichi, come la necessità di separare
il finanziamento, la produzione e l’offerta
dei contenuti caratterizzati come servizio pubblico
da quelli commerciali, o l’opportunità
di schermarne la gestione dall’influenza diretta
della politica dei partiti, acquistano vitalità
tutta nuova.
La possibilità di offerte molteplici su diversi
mezzi di accesso apre nuovi orizzonti sia nelle definizione
di obiettivi di servizio pubblico che nel modo di
raggiungerli.
Alla base della articolazione della produzione sta
un’ipotesi di lavoro che può anche essere
rigettata politicamente , ma che per noi costituisce
un punto fondamentale, e cioè che ‘non
sempre le dinamiche spontanee del mercato televisivo
sono in grado di offrire contenuti di interesse generale’.
La conseguenza di questa ipotesi è che è
necessario fare in modo che questi contenuti di interesse
generale siano realizzati tenendo conto di una diffusione
che utilizzi tutti i canali possibili .
In un contesto di produzione di qualità per
il grande pubblico anche il racconto delle realtà
e delle culture locali trovano un nuovo respiro così
come lo trova non solo il far vedere il mondo agli
Italiani ma anche l’Italia agli abitanti del
mondo.
Siamo di fronte ad un cambiamento profondo dello scenario
radiotelevisivo che rende necessaria una riflessione
sul tema generale dell’evoluzione del servizio
pubblico in questa nuova realtà.
Una riflessione su cui ovviamente sarebbe utile discutere
e confrontarsi e alla quale offre un contributo, che
trovate qui, un gruppo di addetti ai lavori tutti
mossi da spirito riformista e da grande attenzione
al cambiamento dello scenario sociale, politico e
tecnologico, convinti che ‘definire la funzione
di servizio pubblico radiotelevisivo sia indispensabile
come obiettivo politico’.
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