306 - 28.09.06


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Ramin libero,
messaggi per il mondo

Daniele Castellani Perelli


Quattro lunghi mesi è durata l’avventura kafkiana di Ramin Jahanbegloo.
Il mite pensatore liberale iraniano, membro del comitato scientifico dell’associazione Reset Dialogues on Civilizations, è stato arrestato senza motivo il 27 aprile 2006 dalla polizia della Repubblica Islamica dell’Iran, ed è stato rinchiuso senza alcuna spiegazione a Evin, carcere cui sono destinati i nemici dello Stato e che da tempo è segnalato da Amnesty International per le sue ordinarie torture (nel 2003 vi morì la fotogiornalista Zahra Kazemi, iraniana con passaporto canadese proprio come Ramin). Jahanbegloo è stato liberato su cauzione il 30 agosto. In quattro mesi ha potuto vedere solo raramente la moglie Azin, e non gli è stato neanche concesso un avvocato.
In favore del giovane filosofo, docente di studi contemporanei presso il Cultural Research Bureau dell’Università di Teheran e autore del libro “Conversazione con Isaiah Berlin”, si sono mobilitati associazioni, istituzioni e individui di tutto il mondo. Tra gli appelli per la liberazione vanno ricordati quelli dell’Ue, della rivista italiana Reset, del magazine francese Esprit, di un gruppo di intellettuali arabi e di 132 riformisti iraniani. Hanno firmato gli appelli intellettuali di fama mondiale, da Michael Walzer a Umberto Eco, da Noam Chomsky a Giuliano Amato.

Jahanbegloo è stato rilasciato dopo aver ammesso di aver minato la sicurezza nazionale aiutando involontariamente servizi segreti stranieri. Per il ministro dell’intelligence Mohseni Ejehi, fomentava una “rivoluzione di velluto” agli ordini degli americani. Accusa che è chiaramente infondata, mentre la confessione è chiaramente estorta. Ex professore all’Università di Toronto e a Harvard, un dottorato alla Sorbona di Parigi, Jahanbegloo vanta più di venti pubblicazioni in inglese, francese e farsi. Intellettuale illuminato moderato e liberale, 46 anni, una moglie e una figlia di dieci mesi, è noto in Europa, in America e in India. Esplicito sostenitore della non violenza gandhiana, in occasione della conferenza organizzata al Cairo da Reset Dialogues on Civilizations a inizio marzo aveva discusso una relazione intitolata Oltre lo scontro tra intolleranze. Nell’ultimo anno si è esposto coraggiosamente, organizzando seminari su autori ebrei come Hannah Arendt, scrivendo dell’espansione della democrazia in Iran, e criticando l’antisemitismo del presidente Mahmoud Ahmadinejad sul quotidiano spagnolo El Paìs.

Appena rilasciato, Jahanbegloo è stato condotto davanti all’agenzia di stampa studentesca Isna, per un’intervista in cui è difficile riconoscere il pensiero del filosofo iraniano. Ramin vi racconta di esser stato strumentalizzato dalle associazioni e dalle riviste straniere con cui ha avuto contatti in questi anni e a capo delle quali ha ora scoperto esservi agenti dei servizi segreti stranieri. L’occasione dell’arresto era stata fornita da un testo che Ramin aveva presentato al German Marshall Fund, in cui la situazione iraniana viene paragonata a quella dei regimi dell’Est Europa prima dell’89, una situazione in cui cioè la società civile è pronta ad abbattere la tirannia. Nell’intervista alla Isna Jahanbegloo spiega di esser stato ingannato: credeva di aver fornito un semplice contributo intellettuale, mentre quel testo venne usato per fini politici. Poi critica la democrazia di tipo americano, e racconta che il trattamento che ha ricevuto a Evin è stato buono, sicuramente migliore di quello che gli americani hanno riservato ai prigionieri di Abu Ghraib o di Guantanamo.

L’intervista, a quanto si apprende, era solo metà del prezzo da pagare per ottenere la libertà e il passaporto (con il quale Ramin pare voglia tornare a studiare e insegnare in India, dove ha vissuto nei sei mesi prima dell’arresto). L’altra metà è rappresentata dall’ipoteca su due case, la sua e quella della madre, che rappresentano appunto la somma della cauzione. Così l’Iran manda un messaggio ai suoi dissidenti, ai quali negli ultimi mesi ha già ordinato di non partecipare a convegni all’estero e di non rilasciare interviste a giornali stranieri. Così l’Iran manda un messaggio di chiusura al mondo, umilia e zittisce uno dei suoi figli migliori, invece di sostenerlo e farlo conoscere al mondo.

 



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