E ora Hamas
è al governo. Gli elettori gli hanno dato piena
fiducia, la maggioranza assoluta, e anche un mandato
che mette addosso all’Anp gli occhi di tutti,
della politica internazionale che aspetta cambi di rotta
nell’atteggiamento verso Israele, ma anche dei
palestinesi che con il loro voto hanno lanciato un messaggio
preciso: “Fatah ha fallito, malgrado tutti i loro
rapporti internazionali gli uomini di Abu Mazen non
sono stati capaci di combinare nulla di buono. Ora fateci
vedere cosa sapete fare voi”.
Samir Al Quaryouti, giornalista palestinese che vive
in Italia, era stato buon profeta tra le righe di Caffè
Europa, prima
del voto aveva detto chiaramente che Fatah viveva
una grave crisi politica e di fiducia, e che avrebbe
perso le elezioni, mentre al contrario Hamas era in
grande ascesa.
Ora che le elezioni sono concluse, proviamo
a fare una nuova previsione. Come sarà il nuovo
governo palestinese?
Al momento sono iniziati dei contatti tra Hamas e Fatah
per provare a cercare un accordo. Può darsi che
l’alleanza andrà in porto, ma al momento
mi sembra più probabile che Hamas faccia un governo
da solo, hanno le capacità e le persone per farlo;
hanno dalla loro parte le esperienze di governo locale
che li hanno portati ad essere più vicini alla
gente di quanto non siano stati i politici di Fatah,
chiusi invece nella loro torre d’avorio.
Da dove inizierà la politica di governo
di Hamas?
Inizierà dai problemi interni, primo fra tutti
quello dell’occupazione dei Territori. Questo
è un tema che in Palestina viene vissuto come
un argomento primario della politica quotidiana; non
riguarda l’agenda internazionale, ma la vita di
tutti i giorni, di ogni momento, di ogni palestinese.
Che politica promuoverà Hamas a Gaza
e in Cisgiordania?
Le ultime elezioni comunali hanno già dato dei
segnali in questa direzione, Hamas ha fatto alleanze
mirate con il Fronte Popolare e con la sinistra, a Betlemme
e Ramallah hanno appoggiato l’elezione di sindaci
cristiani. Hamas conosce la realtà dei Territori
meglio di chiunque altro, e quindi adesso sa che la
prima urgenza sarà quella di ricostruire le istituzioni
palestinesi; le scuole, le università, i ministeri
vanno ripuliti dalla corruzione e dal sistema clientelare
che c’è adesso; poi inizieranno ad attivare
la giustizia; già a poche ore dalle elezioni,
alcuni esponenti di Hamas dicono di voler citare in
giudizio molti esponenti di Fatah con la precisa accusa
di saccheggio del denaro palestinese.
I rapporti con Israele sono un tema caldissimo
dell’agenda politica internazionale. Cosa possiamo
aspettarci da Hamas? Che posizione avrà verso
Israele?
Quando parliamo di Israele parliamo dei negoziati.
Il fatto che Hamas diventi una forza di governo obbliga
il movimento a cambiare il suo statuto e ad affrontare
scelte difficilissime: adesso deve trattare sulla base
degli accordi di Oslo.
Eppure le parole di Hamas non dicono proprio
questo, anzi le prime dichiarazioni dopo il voto sostengono
che nessun negoziato è possibile a partire dagli
accordi di Oslo.
È ovvio che all’inizio parlino così,
come è ovvio che da Israele vengano parole di
rifiuto di ogni trattativa con Hamas. Questo è
nella natura delle cose e di un conflitto irrisolto
che tanta fatica costa ai due popoli e alle diplomazie
internazionali; ma tanto Hamas quanto Israele staranno
con gli occhi puntati l’uno sull’altro per
vedere quali sono le rispettive intenzioni, e poi si
parleranno. Trovo ad esempio che le dichiarazioni di
Bush sono già incoraggianti, il presidente americano
ha lasciato la porta aperta a un dialogo, a condizione
che Hamas cambi il suo statuto.
Allo stesso tempo però è chiaro che non
si può costringere Hamas con la forza a cambiare
i suoi principi, ora più che mai sono le diplomazie
che devono lavorare. Ho sentito esponenti politici europei,
ad esempio, avanzare la minaccia di un boicottaggio
economico verso la Palestina se il nuovo governo non
prenderà le distanze dalle posizioni anti-israeliane.
Ma questa è una presa di posizione inaccettabile
e una minaccia che non avrà alcun effetto positivo.
Ricordiamo che per anni i Territori sono vissuti di
solo autofinanziamento, mentre gran parte degli aiuti
promessi dai paesi arabi e dalle istituzioni internazionali
non sono mai arrivati e quei pochi soldi giunti in Palestina
sono finiti nelle tasche di politici corrotti. I palestinesi
hanno imparato a vivere anche nella povertà,
ma con grande dignità. Non sono le minacce che
aiuteranno a trovare una soluzione, ma le diplomazie.
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