David
Held
Governare la globalizzazione.
Un’alternativa democratica
al mondo unipolare,
il Mulino, pp. 240, euro 14.
In un ambiente culturale e accademico soggetto, soprattutto
nel mondo anglosassone, a regole in qualche modo da
show business, possiamo dire che David Held è
una sorta di star della politologia e delle International
relations, un tipico prodotto della rinomata e
celeberrima London School of Economics, culla di molti
degli esponenti di grido della Terza via e delle sue
rivisitazioni (più o meno critiche) successive.
In poche parole, il gotha e la vetrina (anche glamourous)
del progressismo britannico, soprattutto all’epoca
(secondo alcuni ormai definitivamente archiviata con
la terza “stentata” vittoria di Tony Blair)
della Cool Britannia.
“Terza via” tra le opzioni – semplicistiche
– dell’apologia a tutti i costi e della
critica radicale “senza se e senza ma” della
mondializzazione è, difatti, quella che Held
(professore di Scienza della politica presso la LSE)
propone nel suo nuovo libro Governare la globalizzazione.
Un’alternativa democratica al mondo unipolare,
ennesimo stimolante intervento sull’attualità
della collana “Contemporanea” della casa
editrice il Mulino (pp. 240, euro 14), che già
aveva pubblicato i suoi volumi precedenti, Globalismo
e antiglobalismo (con Anthony McGrew) e Modelli
di democrazia. Ma una “Terza via” molto
progressive e “di sinistra” che nel volume
non risparmia le critiche a Blair per il suo essersi
accodato alla “dottrina americana della guerra
preventiva e unilaterale”, ovvero quella visione
politica che ha fatto strage dei principi del diritto
internazionale (in primis, il multilateralismo) su cui
vennero edificati l’architettura istituzionale
e l’ordine planetario post-’45.
E, infatti, nel titolo originale inglese è contenuta
l’espressione social democratic alternative,
a chiara testimonianza di quale sia l’orientamento
di Held, un riformista vero e deciso, e un teorico della
democrazia sociale globale.
Viviamo, ci dice lo studioso, in un mondo costituito
da quelle che ha etichettato come le “comunità
di destino sovrapposte”; una condizione inedita
per l’umanità precedente, la quale ci impone
di ripensare la sicurezza globale all’insegna
di visioni antitetiche a quelle dell’America dopo
l’11 settembre di Bush jr., Cheney e Rumsfeld
(come pure della finta convertita al multilateralismo
soft Condoleeza Rice o del sempre falco presidente
della Banca mondiale, Paul D. Wolfowitz). È un
ripensamento profondo, anche di categorie e lessico
politico, quello che Held compie a partire dalla sua
proposta di un’”Agenda per la sicurezza
umana” – al punto da diventare oggetto di
alcune riflessioni di Zygmunt
Bauman, esplicitate anche nel corso di una recente
e lunga intervista,_____________________________________
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_____________________________________________ rilasciata
dal grande sociologo a Elisabetta Ambrosi per Caffè
Europa.
Su di essa Held fa perno per l’edificazione di
una globalizzazione democratica sociale che, all’interno
di una cornice e di una matrice progressiste, «sostenga
l’enorme aumento di produttività e ricchezza
reso possibile dal mercato e dalla tecnologia contemporanea;
assicuri che i benefici siano equamente distribuiti;
attenui le disuguaglianze all’interno di una politica
per la sicurezza collettiva che affronti tanto le cause
quanto i crimini del terrorismo, della guerra e degli
‘Stati falliti’” (p. 8). In buona
sostanza, il Washington consensus (alcune delle
cui ricette, nota l’autore, possono peraltro essere
di per sé ragionevoli), convertitosi nel moloch
neoliberista e in un’ortodossia dogmatica al servizio
degli interessi di una parte della classe dirigente
statunitense e di pochissimi altri, è divenuto
il responsabile di un mondo più ingiusto e instabile
(nel quale, dopo l’attentato alle Torri gemelle,
impera una sua diretta filiazione, la Washington
Security Strategy, che è ossessionata unicamente
dalla sicurezza interna degli Usa e si infischia bellamente
di seminare prevaricazione e odio nel resto del pianeta).
La guerra in Iraq rappresenta solamente l’ultima
manifestazione di una condotta unilaterale che rigetta
il multilateralismo e si arrocca in una presunzione
di autosufficienza e onnipotenza, da cui vengono messi
a repentaglio la stabilità e l’equilibrio
del resto dell’umanità. Held mette in campo
una serie di proposte concrete e di istituzioni per
un mondo multipolare – da un’Organizzazione
mondiale per l’ambiente che faccia da “contrappeso”
al Wto a un Consiglio della sicurezza sociale ed economica
da affiancare al tradizionale Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite. Il dominio della globalizzazione
non va lasciato alle forze di mercato (gli “spiriti
selvaggi”), ma necessita di una serie di adeguate
politiche di regolazione, senza ricadere, al tempo stesso,
in alcun approccio statocentrico o statolatrico che
il politologo (molto british e molto LSE) “aborre”,
contrapponendogli la promozione di quella fondamentale
risorsa che è la società civile, i cui
attori possono svolgere egregiamente anche finalità
di natura e carattere pubblico. Ma, soprattutto, la
governance globale abbisogna di una filosofia ispirata
a principi di cosmopolitismo, rispetto delle minoranze
e dei diritti umani e diffusione del benessere (vale
a dire, di promozione della democrazia, della cittadinanza
e della giustizia sociale).
Da buon anglosassone, poi, Held inserisce nel volume
tabelle, schemi e diagrammi illustrativi sui dati demografici,
di reddito, di coesione sociale e appartenenza a organismi
internazionali dei diversi paesi: una “matematica
sociale” e un’”aritmetica democratica”
da cui si evincono con chiarezza le polarizzazioni e
le differenziazioni sempre più violente che contraddistinguono
il nostro villaggio globale.
Il nuovo internazionalismo socialdemocratico di Held
è un toccasana per i progressisti, e dimostra
che l’obiettivo di un mondo – gradualisticamente
– migliore è ampiamente raggiungibile;
basta volerlo…
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