Fino in fondo, fino all’ultimo istante, il
pontificato di Giovanni Paolo II vive nelle nostre
esperienze come una grande cerimonia televisiva. Vediamo
oggi il suo corpo esanime ricevere l’omaggio
dei fedeli di tutto il mondo, lo abbiamo visto negli
anni passati salvarsi da un attentato, baciare bambini,
salutare folle acclamanti, abbracciare fedeli che
gli si facevano incontro, ricevere gli onori dei potenti
della Terra e raggiungere gli angoli più remoti
del pianeta; lo abbiamo visto pregare a Gerusalemme
e ricevere il saluto di Fidel Castro, presenziare
a concerti organizzati per i giovani e sciare tra
le nevi. Sempre presente, la tv, là dove c’era
Papa Wojtyla; sempre presenti le telecamere non solo
a raccontare i suoi viaggi, ma consegnare ai telespettatori
il messaggio di una Chiesa che, attraverso il corpo
del Papa, si mostrava presente in tutto il mondo.
Giovanni Paolo II non si è semplicemente lasciato
pedinare dalla tv, ma ne ha ne ha compreso tutta la
portata comunicativa e l’ha messa in pratica
utilizzandola al servizio della Chiesa. In La
civilizzazione video-cristiana, Derrick de Kerckhove
scriveva nel 1990 che Wojtyla stava «utilizzando
i nuovi media per guarire e ricomporre una chiesa
dispersa e nello stesso tempo per insufflare una spiritualità
globale nel pianeta. In realtà il suo agire
consiste nel tradurre i valori e il significato del
messaggio cristiano da una cultura stampata a quella
dei media elettronici». Giovanni Paolo II sapeva
che la televisione opera una trasformazione psicologica
dello spettatore, ed era «perfettamente cosciente
– continua de Kerckhove – del fatto che
la tv toglie a chi la guarda ogni attitudine razionale».
Mostrarsi, esporre il proprio corpo significava utilizzare
fino in fondo l’amplificazione elettronica della
persona umana resa possibile dal mezzo televisivo.
Ovunque andasse il Papa riempiva di sé i media,
la sua forte personalità, la sua possente presenza
fisica «bucavano lo schermo», si caricavano
di una enorme potenza comunicativa che dal televisore
correva dritta ai telespettatori: la tv creava intorno
a Woityla un’aura elettronica che ne estendeva
la presenza al di là dei limiti immediati del
corpo.
Puntando le telecamere sul Papa, la televisione si
è trasformata in uno strumento che trasmetteva
un concreto messaggio ecumenico. La comunicazione
di tutta una religione non era più affidata
solo alle encicliche e ai messaggi ufficiali, ma si
fondava sul far sentire la propria presenza in maniera
immediata, nel condividere il proprio corpo con tutto
il mondo cattolico attraverso lo schermo. Wojtyla
è stato il Papa dei viaggi, il Papa che fisicamente
si spostava verso i fedeli di tutto il mondo; in ogni
viaggio le telecamere accompagnavano la sua presenza,
la raccontavano, la portavano nelle case di tutti
i credenti e allo stesso tempo portavano i telespettatori
proprio lì dove il Papa era.
L’attenzione di Giovanni Paolo II si è
spesso soffermata sulla tv e i suoi effetti sociali.
Basta leggere i numerosi messaggi sul tema della comunicazione
e dei media sul sito della Santa Sede e il saggio
La bambinaia elettronica per comprendere con quanta
fermezza la sua voce si sia spesa contro i pericoli
della videodipendenza e per condannare ogni abuso
di consumo di tv come un’abitudine che crea
inclinazione ai vizi del materialismo, del consumismo
e dell’edonismo.
Ma Wojtyla aveva compreso anche tutto il potenziale
di comunicazione spirituale della tv. Il Papa si è
mostrato, avvolto nell’aura di eccezionale grandezza
conferitagli dalla tv, ha esibito il suo corpo come
il veicolo del messaggio ecumenico che portava: ogni
volta che si faceva vedere sapeva di dare ai fedeli
una testimonianza della propria presenza in mezzo
a loro. E così si è mostrato forte,
energico e vigoroso nei primi anni del pontificato;
si è mostrato in viaggio tra i fedeli per farsi
vedere tra loro e per avvicinarli alla Chiesa. Infine
si è mostrato nella malattia, quando il corpo
si faceva più debole, a testimoniare sempre
la sua costante vicinanza a tutta la Chiesa. Da ultimo
il corpo è esposto al mondo senza vita in una
infinità di riprese, di immagini, di testimonianze.
E fino all’ultimo istante la tv
è lì a sottolineare l’eccezionalità
della persona di Giovanni Paolo II, a mettere in campo
tutta la sua capacità di agire sulle emozioni
e i sentimenti dei telespettatori, a disegnare un’aureola
mediatica intorno al corpo di Karol Wojtyla.
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