Caffe' Europa

Arte/Per Roma sulla tracce del Bernini

 

tav. 1 del libro di Irving Lavin, "Bernini e il Salvatore"

La creatività di Bernini, il suo modo di fondere le arti in una struttura che tutte sinteticamente le comprendesse, fu tale che l’artista non si limitò a dare forma quasi a tutte le ipotesi dell’immaginazione; ma contemplò nelle sue opere anche ciò che era al di fuori: presente ma invisibile. Ad esempio il Golia, gigantesco e immateriale ma incombente, cui guardiamo quando puntiamo gli occhi sul «David» della Galleria Borghese. Ma anche il tempo e gli uomini che a Bernini trascorsero accanto, oltre alla spazio della sua vita privata, intima quotidianità. Il mondo e l’era di Bernini sono l’oggetto di un bel libro edito da Donzelli («Bernini e il Salvatore. La "buona morte" nella Roma del Seicento»: pp. 109, lire 38.000) che presenta una serie di saggi, scritti e raccolti da Irving Lavin. Lo studioso americano parte dalle opere attraverso le quali Bernini si preparò alla sua morte, secondo i principi dell’"Ars Moriendi", e arriva a parlare del contesto sociale (il problema dei senzatetto nella Roma del Seicento) in cui il maestro operò. L’incisione con il «Sangue di Cristo» è la traduzione grafica, di F. Spierre, di un’immagine che Bernini tenne sul suo letto di ammalato, fedele ai principi dell’"Ars Moriendi" che consigliava ai moribondi di chiudere per sempre gli occhi sul Cristo Crocefisso. Scrive tra l’altro Lavin che, diversamente dall’usuale iconografia di tale soggetto, qui non c’è l’ammalato sul letto. Bernini però «elimina il morente ma conserva la veduta angolare dal basso». Ossia c’è ancora una volta lui stesso fuori, ma dentro, l’opera.


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