Un luogo
comune è spezzato. I cittadini europei hanno
grande interesse per l’Europa e hanno chiare idee
su come questa dovrebbe essere e sanno parlare con voce
di europei, non solo di nazioni diverse. Tomorrow’s
Europe ne è stata la prova, il sondaggio informato
che ha coinvolto un campione dei 27 paesi membri dell’Ue
ha spazzato via gli stereotipi che chiudono gli occhi
di fronte a una sfera pubblica che c’è
e vuole fare sentire la propria voce. “Impossibile
mettere insieme persone che parlano così tante
lingue e così diverse, le politiche europee sono
troppo difficili e complesse per essere interessanti
agli occhi di cittadini comuni; gli europei in realtà
non esistono, non condividono una politica dell’Unione:
l’Ue è una questione per politici e burocrati”.
Questi i luoghi comuni sull’Europa, puntualmente
neutralizzati dal deliberative poll: ecco come.
Nel bel mezzo della Babele europea, la soluzione si
chiama traduzione simultanea. Il campione di 362 partecipanti
ha potuto esprimersi in 22 lingue diverse. Lo sforzo
dell’organizzazione è stato enorme (e anche
costoso, l’intera operazione ha richiesto circa
1,4 milioni di euro) ma i risultati sono stati eccellenti.
Nell’emiciclo del Parlamento di Bruxelles una
parete intera è dedicata ai box dei traduttori
che si sono dati da fare per l’intera tre giorni
dell’evento. La tecnologia ha servito lo scopo
e la Babele si è dissolta dentro le cuffie di
ciascun partecipante. Poco importava se la persona al
microfono parlasse suomi, inglese, greco o ungherese,
le sue parole arrivavano comprensibili a chiunque stesse
nella sala ad ascoltare. E nelle sessioni in gruppo
la cosa è stata anche più sensazionale
perché si poteva assistere a dibattiti accesi,
partecipati, intorno a tavoli dove sedevano contemporaneamente
olandesi lettoni e portoghesi, italiani rumeni e sloveni.
Scrivendo di Tomorrow’s Europe, Timothy Garton
Ash sul Guardian
ha richiamato l’attenzione su una frase di John
Stuart Mill il quale scrisse che se tra le persone non
si insatura una reciproca comprensione, specie se queste
parlano lingue diverse, è impossibile che si
realizzi quell’opinione pubblica necessaria al
funzionamento della democrazia. Le parole di Stuart
Mill hanno preso a Bruxelles la consistenza dei fatti.
Dalla comprensione linguistica, infatti, è scaturita
grazie allo scambio di opinioni, una comprensione reciproca
sui temi, per quanto difficili e complessi questi potessero
essere.
Pensioni, mercato del lavoro, politiche energetiche
e minacce nucleari, sono state affrontate con decisione
e senza timidezze fino a far emergere una visione abbastanza
delineata dell’Ue, del suo ruolo e del suo futuro.
In sostanza, alla fine del sondaggio informato, i partecipanti
chiedono un’Unione che sappia entrare più
in profondità nelle questioni importanti, che
sappia darsi gli strumenti per operare in maniera attiva
e concreta nello scenario internazionale, e che non
ricerchi l’allargamento a tutti i costi.
Come ha sottolineato James Fishkin analizzando i risultati
del sondaggio (lo trovate qui),
il deliberative poll ha creato, attraverso
i dibattiti e lo scambio di opinioni, le condizioni
per portare in superficie la condivisione di un’idea
dell’Ue che appartiene all’opinione pubblica
europea, a patto che i suoi membri abbiano l’opportunità
di parlarsi ed esprimersi.
Chi dice che le questioni europee sono solo chiacchiere
da élites farebbe bene a dare uno sguardo ai
filmati delle sessioni plenarie nell’emiciclo
del Parlamento di Bruxelles. Ci troverà informazioni
utili. Vedrà cittadini europei che propongono
una concreta visione dell’Europa, manifestano
le loro esigenze di fronte all’Ue. E vedrà,
anche, i politici cambiare il loro linguaggio; di fronte
alle domande degli europei, li vedrà costretti
ad abbandonare ogni elusivo giro di parole e di concetti
per andare dritto nel cuore delle cose.
Questo è il deliberative poll: se un
cittadino fa una domanda a un politico che sta di fronte
a tutta l’assemblea, questo dovrà rispondere
nel merito, con fatti e argomentazioni, altrimenti si
sentirà dire: “Mi scusi onorevole, ma non
ha risposto alla mia domanda. Perché l’Ue
non ha un seggio nel consiglio di sicurezza dell’Onu?
Che pericoli ci sono nell’adesione europea di
un paese popoloso ed esteso come la Turchia o l’Ucraina?”
Così l’opinione pubblica europea ha preso
corpo di fronte agli occhi di chi era presente a Bruxelles
tra il 12 e il 14 ottobre 2007. Internet tiene viva
e documentata l’esperienza, chi vuole può
andare e vedere i cittadini europei informarsi discutere
e decidere. Può vedere politici incalzati da
semplici elettori, persone qualsiasi che volevano sapere
e conoscere.
L’opinione pubblica europea ha parlato, ma rimane
un mistero capire se e come le istituzioni europee terranno
in una qualche considerazione le decisioni emerse alla
fine del sondaggio. Durante la conferenza stampa di
chiusura, Tommaso Padoa Schioppa, presidente di Notre
Europe che ha promosso tutta l’iniziativa, ha
detto: “Il futuro dell’Europa dipende dalla
capacità che hanno le nostre democrazie di evolvere
verso spazi più ampi”. Democrazie più
efficienti e più estese. L’efficienza della
democrazia richiede certamente un ruolo attivo e partecipe
dell’opinione pubblica. E chiede alla politica
di mettersi in ascolto di quanto questa ha da dire.
I politici europei sapranno dare seguito alle buone
intenzioni e ascoltare le domande che emergono dalla
sfera pubblica europea?
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