All'interno
della rassegna Scrittorincittà che
si è svolta a Cuneo dal 21 al 23 novembre,
si è svolto l'evento La rencontre de Cuneo,
che ha riunito gli organizzatori dei più importanti
festival di letteratura europei per avviare un'attività
di coordinamento permanente. Il seminario, promosso
dall'associazione "Les Rencontres" di Parigi,
offriva l'occasione di analizzare e discutere lo stato
presente e il possibile ruolo futuro di manifestazioni
sempre più diffuse e ormai diventate fenomeno
di massa. Ulteriore obiettivo, la creazione di un
osservatorio dei festival e di un polo d'incontro
e confronto stabile per gli autori europei. Ce ne
parla Mario Baudino, giornalista de La Stampa
e condirettore di Scrittorincittà.
Come è nata l'idea del seminario?
Un po' per caso, da una conversazione con l'associazione
francese Les Rencontres che organizza iniziative
culturali internazionali, con la quale eravamo da
tempo in contatto perché, data la posizione
geografica di Cuneo, teniamo sempre una porta aperta
sulla Francia. Abbiamo subito aderito alla proposta
di di riunire a Cuneo i festival di letteratura più
importanti, e con un finanziamento europeo l'associazione
Les Rencontres ha finanziato la cosa. Ci
siamo divisi gli incarichi a metà: noi li abbiamo
ospitati e loro hanno fatto gli inviti. E abbiamo
subito riscontrato un grande interesse da parte dei
festival, che avevano una gran voglia di parlare gli
uni con gli altri. Ci siamo trovati per le mani un
grosso seminario che sembrava una riunione della Nato,
perché erano rappresentati tutti i festival
letterari più importanti, dal Festivaletteratura
di Mantova all'Hay Festival of Literature inglese,
dal Internationales Literaturfestival di Berlino al
norvegese Bjornson festivalen Molde og Nesset fino
al Prague's Writers’ Festival, con larga rappresentanza
della Francia, che non ha un festival nazionale, ma
una pluralità di manifestazioni relativamente
piccole.
Che
cosa vi siete detti?
Molti sono arrivati chiedendo: che si fa? E noi abbiamo
risposto: se volete vi raccontiamo la nostra manifestazione,
e voi ci raccontate le vostre. Dopo un momento di
incertezza reciproca, hanno cominciato a venir fuori
i problemi. Il tema più forte emerso è
che tutti i festival hanno esigenze individuali abbastanza
distinte ma almeno un problema comune: quello dell'informazione
reciproca sui programmi. Andando molto per conto proprio,
talvolta i calendari dei festival si sovrappongono,
con la conseguenza che spesso gli autori invitati
da una manifestazione sono già impegnati con
un'altra. Tutti i presenti hanno concordato sul fatto
che uno scambio di informazioni reciproche sui programmi
e sui nomi sarebbe molto utile, e allora si è
cominciato a parlare in termini di rete, da una cosa
minima, che potrebbe essere di mettere su ciascuno
dei nostri siti dei link agli altri, a un progetto
più ambizioso: un portale unico con accesso
privilegiato usabile per lo scambio di informazioni
attraverso una chat protetta, un luogo dove proporre
e discutere i propri problemi. Una mia idea molto
ambiziosa sarebbe quella di formare un'agenzia comune
che si occupi degli sponsor internazionali, le grandi
aziende che fanno pubblicità in tutta Europa
e che potrebbero avere un interesse, se glielo si
proponesse nei termini dovuti, ad articolare una sponsorizzazione
globale su un certo numero di festival. Ma già
creare un portale comune sarebbe un grosso successo.
E se, all'interno di questa rete, i pesci
grandi fagocitassero i pesci piccoli?
Forse in questo campo la differenza fra pesci grandi
e piccoli non è così significativa,
perché si tratta comunque di festival realizzati
su base volontaria cercando di spendere il meno possibile
e i budget non si discostano moltissimo l'uno dall'altro.
I francesi sono molto legati alla mano pubblica, perché
di fatto i loro sono festival creati dai vari dipartimenti,
e quindi magari hanno un interesse locale più
forte, ma anche loro fanno cose interessanti: ad esempio
quello di Manosque, che è la città di
Jean Giono, è relativamente piccolo e locale,
però ha sviluppato un'attività di consulenza
e informazione con l'Algeria, mettendo le proprie
capacità e contatti a disposizione degli algerini
per aiutarli a organizzare i loro festival.
Oggi come oggi, che cosa caratterizza un festival
letterario?
I festival letterari hanno tutti almeno due "gambe",
indipendentemente dalla loro dimensione: la prima
è l'esigenza di fornire un servizio al proprio
territorio, che in fondo è la vera ragione
dei festival, cioè creare occasioni di incontro
e stimoli per i lettori della zona. Questo lo fa Scrittorincittà
come il Festivaletteratura come l'Hay Festival. Certo,
il territorio dell'Hay è quasi tutta l'Inghilterra
e il Galles, mentre quello del Festivaletteratura
è il grande bacino emiliano e lombardo-veneto,
e il nostro è ancora più ristretto,
ma la struttura è la stessa: tanti partecipanti
dalle zone vicine, qualcuno da lontano, pochi da lontanissimo,
in una struttura che funziona a cerchi concentrici.
La seconda "gamba" dei festival non guarda
tanto al proprio territorio ma alla società
letteraria in generale - sempre che esista ancora.
Ogni festival se la gioca anche e sempre sul piano
internazionale, dialoga con le altre istituzioni culturali
e dell'informazione. Questa parte è altrettanto
importante, una condizione non indispensabile ma necessaria,
una risorsa da non sprecare rimanendo ancorati all'interesse
strettamente locale.
Molti singoli festival infatti hanno già
in corso qualche attività di collegamento internazionale.
Certamente: è vero ad esempio del Festivaletteratura
di Mantova, che da qualche anno ha messo in piedi
l'iniziativa Scrittori
giovani, finanziata in parte da contributi europei,
insieme ai festival di Inghilterra, Germania e Norvegia,
e ogni anno pubblica un librino di traduzioni di autori
esordienti in rappresentanza dei rispettivi paesi.
E' un'iniziativa interessante, anche se secondo me
si sovrappone un po' alla normale attività
editoriale e rischia di restare un po' "clandestina".
Noi a Cuneo abbiamo creato un gemellaggio con Chambéry,
dove ha un certo successo il Festival du Premier Roman,
e abbiamo istituito il Premio del primo romanzo a
Cuneo che è interattivo rispetto a Chambéry
e coinvolge biblioteche e scuole: i ragazzi premiano
il miglior primo romanzo italiano ma si leggono anche
i premiati del festival francese. Sono scambi di informazioni,
letture, discussioni molto interessanti e arricchenti,
anche se naturalmente si concretizzano più
facilmente in situazioni transfrontaliere: ci sono
meno difficoltà logistiche a spostare una classe
da Cuneo a Chambéry che a portarla in Finlandia.
E c'è anche una maggiore affinità di
lingua.
A proposito: in quale lingua si è svolto
il seminario La rencontre de Cuneo?
Dopo lunghe discussioni si è stabilito che
ognuno parlasse nella propria, anche perché
avevamo preso un accordo con una scuola per interpreti,
per cui siamo riusciti a mettere in piedi senza grosso
sforzo economico una traduzione simultanea per tutti.
Comunque le lingue dominanti erano italiano, francese
e inglese, parlato, oltre che dai madrelingua, da
tedeschi e norvegesi.
Pensate di avvalervi anche in futuro dei finanziamenti
dell'Unione?
Certamente: il finanziamento europeo verrà
chiesto dal "consorzio", non appena esisterà
una struttura organizzata e qualcuno che possa parlare
a nome di tutti. Per un po' continueranno ad essere
i francesi ad occuparsi dell'organizzazione, visto
che è andata benissimo questa volta. Ma in
futuro, ad esempio per allestire un portale, bisognerà
creare un'associazione ad hoc.
Uno dei punti chiave del programma del seminario
era quello di dare visibilità ai giovani autori
a livello europeo.
Sì, e le considerazioni fatte partivano dalla
constatazione che la letteratura giovane non ha tanto
bisogno di essere promossa quanto di essere protetta.
E' vero che ormai gli editori internazionali sono
sempre più spesso a caccia di giovani autori,
al punto che basta essere giovani per essere pubblicati,
e in libreria compaiono i diciassettenni. Il problema
però è che questi autori vengono pubblicati
e poi abbandonati a se stessi, il turnover è
molto veloce, se un nuovo autore non ha subito successo
si passa subito a un altro.
E' chiaro che i festival non possono interventire
sul mercato, ma possono dare ai giovani scrittori
un pubblico un po' più solido di quello che
si compra il libro sull'onda di uno scandalo o di
un'accurata campagna di marketing. Mettere in circolazione
nuovi autori dovrebbe voler dire permettere loro di
radicarsi, di conquistare uno zoccolo duro di lettori.
Bisogna consentire loro di diventare anche autori
di mezza età, di raggiungere la maturità
continuando a scrivere.
Questo è il tipo di sostegno che una rete
di festival può dare: prendere un gruppo di
giovani autori in cui crede e metterli in circolo,
volendo traducendoli, anche se su questo ho qualche
dubbio perché tradurre e raccogliere in un
libretto non garantisce necessariamente visibilità
ai giovani autori che in questo modo non entrano nel
circuito editoriale. Moltiplicare gli incontri per
un giovane scrittore invece è senz'altro molto
utile, perché vuol dire moltiplicare le sue
esperienze. Non che i giovani non viaggino, ma questo
sarebbe viaggiare là dove ci sono i lettori
ad aspettare, e questo è un confronto utile.
Oltre che con i lettori, un forum europeo
consentirebbe ai giovani autori di incontrarsi anche
fra di loro.
Se pensiamo di "scambiarci" giovani autori
automaticamente creiamo incontri europei. Nell'ambiente
dei festival succede inevitabilmente, gli autori si
selezionano fra loro anche per affinità culturali,
o per fasce d'età. L'autore giovane ovviamente
è il più curioso, il più disponibile,
quello che si diverte di più ai festival, anche
perché ha più tempo libero e quindi
si trattiene più a lungo.
Gli autori sono diventati molto mobili, incontrano
molta gente e rivestono e soddisfano l'esigenza cosmopolita
dell'intellettuale, un po' come accadeva nel Medioevo,
quando l'Europa era unita quasi quanto adesso: il
mandare in giro scrittori e studiosi in modo informale
vuol dire far circolare idee, diventare comunità,
favorire attraverso la conoscenza reciproca la formazione
di una cultura europea.
Crede alla possibilità di costruire
una comune identità culturale europea?
Questa è una domanda da un milione di dollari.
E' probabilmente che esista già, anche se è
una cultura plurale, fatta di somme di differenze,
come del resto lo è l'identità di ogni
singola nazione, che è la somma di tante identità
mobili, metamorfiche, confuse. La ricchezza deriva
proprio da questa multicomposizione. Quando porto
a cena uno scrittore scandinavo sento delle differenze,
ma percepisco anche molte similitudini fra noi: il
tono della chiacchiera, se vogliamo, è lo stesso.
Questo potrebbe succedere anche con uno straniero
non europeo?
La verità? Sì, succederebbe anche con
extraeuropeo, perché la cultura ormai è
fortemente globalizzata, e la categoria degli scrittori,
come quella dei politiologi o dei venditori di aspirapolvere,
è ormai universale, e condivide un linguaggio
comune. Casomai le differenze culturali sono meglio
espresse in termini di quote di linguaggio condiviso:
un islamico fondamentalista ha una quota di linguaggio
comune con noi molto più bassa di un giapponese.
Il mondo è unificato dalla comunicazione e
dall'inglese. All'Interno dell'Europa però,
oltre al linguaggio comune, c'è una storia
comune metabolizzata. L'Europa è, ad esempio,
il luogo dove sono nati i due grandi totalitarismi
del secolo scorso: fa differenza sentirli nel proprio
passato invece che averli visti solo da fuori; averne
imparato, magari male, la lezione, per averli vissuti
sulla propria pelle invece che attraverso i libri.
Anche i grandi errori e le sciagure hanno contribuito
a creare e rafforzare una coscienza comune europea,
che adesso esiste, anche se è difficile metterla
a fuoco. Il fatto che sia presente nella nostra coscienza,
è già una prova della sua esistenza.
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