Fra
le iniziative più seguite all'ultima edizione
del Festivaletteratura di Mantova c'è Scritture
Giovani, un progetto nato lo scorso anno con il sostegno
del Programma Cultura 2000 dell’Unione Europea:
cinque nuovi autori di cinque diverse espressioni
linguistiche - inglese, italiano, norvegese, tedesco
e gallese - coadiuvati da sei autori affermati hanno
letto in pubblico racconti appositamente scritti in
occasione del festival su un tema concordato.
Quest'anno il tema era "Borders", cioè
confini, nell'accezione più vasta del termine.
Gli esordienti selezionati - il sardo Flavio Soriga,
il tedesco Tilman Rammstedt, il norvegese Bjarte Breiteig,
l'inglese Richard John Evans e la gallese Angharad
Price - sono stati presentati da tre autori italiani
di successo e accompagnati da tre grandi nomi della
letteratura mondiale. Gli "chaperon" stranieri
erano l'irlandese Joseph O'Connor, l'ungherese Tibor
Fischer, e l'israeliano David Grossman, gli italiani
erano Carlo Lucarelli, Lella Costa e Marcello Fois.
A Fois, l'autore nuorese di Sempre caro, Ferro Recente
e Dura madre, abbiamo chiesto un resoconto della sua
esperienza mantovana e una valutazione di ciò
che rende la scrittura un veicolo in grado di valicare
ogni confine.
"Scritture Giovani è un progetto con un
meccanismo un po' particolare", spiega Fois.
"Un autore con esperienza editoriale presenta
al pubblico due autori esordienti - preferisco questo
al termine "giovani" che mi disturba, perché
lo si usa come se essere giovani fosse un privilegio
invece che una situazione anagrafica: gli scrittori
hanno doveri più profondi che quello di essere
giovani. L'appuntamento è organizzato in due
puntate giornaliere, la prima si svolge nel pomeriggio,
quando vengono letti i racconti a tema dei nuovi autori,
e la sera, quando si apre una discussione più
approfondita alla quale partecipa anche l'ospite straniero".
I
racconti vengono letti in italiano o in lingua originale?
Questa è una scelta del presentatore: per quanto
mi riguarda ho preferito che ogni autore leggesse
nella propria lingua, perché mi sembrava importante
che si sentissero il ritmo e il suono della sua prosa.
Poi l'interprete ha riletto i racconti in italiano
per gli spettatori che non avessero capito il testo
in originale. Abbiamo iniziato una piccola discussione,
il pubblico ha fatto domande, dopodiché ci
siamo dati appuntamento alla sera dove si è
aperto un dibattito più ampio con i due autori
- il tedesco Tilman Rammstead e ilmio conterraneo
Flavio Soriga - e con l'ospite straniero, Joseph O'
Connor. Il tutto si è svolto su un piano di
assoluta parità: eravamo quattro autori che
facevano chiacchiere sulla scrittura insieme al pubblico,
sempre curioso di sapere come funziona l'"officina",
di capire come e dove nasce la scrittura.
Che significato ha per un autore affermato
partecipare a un progetto di questo tipo?
Per autori della nostra generazione, è un dovere.
Come scrittori, abbiamo sofferto in passato proprio
perché dinamiche di questo tipo proprio non
esistevano: noi i padri che li siamo dovuti cercare,
nessuno è venuto a coccolarci. E questo è
un motivo di più per ritenere un'iniziativa
di questo tipo veramente straordinaria. A giudicare
dal gradimento e dalla sorpresa degli autori stranieri
che hanno partecipato al progetto, direi che anche
loro hanno dovuto affrontare difficoltà analoghe
in patria. Certo, bisogna accostarsi a Scritture Giovani
con un determinato atteggiamento: invece di dire "ecco
a voi due esordienti" bisogna dire "ecco
a voi due scrittori agli esordi".
Credo che nell'ambito di Scritture Giovani sia avvenuto
laboratoriamente quello che dovrebbe avvenire tendenzialmente
nell'ambito editoriale. Con mia grande sorpresa invece
la cosa fa storcere il naso a qualcuno dei miei colleghi:
evidentemente non è facile liberarsi dal timore
della concorrenza. Ci vuole una dose di presunzione
che ad alcuni manca.
Non di umiltà?
Non si può essere umili quando si fa questo
mestiere: si deve tendere a cambiare l'universo, non
si può entrare in punta di piedi, ma mirare
a sfondare il portone. I casi sono due: o resti a
guardare mentre le nuove leve danno le spallate o
li aiuti, se ti sembra che abbiano il timbro adatto.
Scritture giovani riceve il sostegno del Programma
Cultura dell'Unione: al di là della partecipazione
di autori "comunitari", qual è la
dimensione europea dell'iniziativa?
L'abbiamo messa molto in evidenza, partendo dall'idea
che questa performance fosse un esperimento di comunicazione
alta e altra. La mia prima domanda agli autori esordienti
è stata quella di commentare l'osservazione
di Borges che dice: a furia di raccontare il cortile
di casa propria si rischia di diventare scrittori
universali. Abbiamo sviscerato questo tema e ne è
nato un dibattito molto interessante sul rapporto
geografico delle culture. Ognuno ha detto la sua molto
allegramente. Non si è sentito alcuno scarto
fra l'attenzione dedicata agli autori già affermati
e quella dedicata agli esordienti.
Quali sono i temi emersi da questa discussione?
L'idea che il modo migliore per essere europei sia
quello di guadagnare tutto senza perdere niente, per
esempio guadagnare lingue piuttosto che rinunciare
a una lingua per un'altra, sovrapporre lingue madri
a lingue sorelle e cugine, aumentare la gamma della
comunicazione piuttosto che restringerla. Bisogna
entrare in Europa con la propria specificità,
il proprio stile, la propria lingua, nell'indirizzo
comunicativo, non certo in quello egoista.
Che cosa accomuna gli scrittori europei della
nuova generazione?
Un pregio e un difetto: il pregio è che hanno
una visione della scrittura non compromessa. Al contrario
di quello che si pensa, cioè che i giovani
nati a pane e televisione forniscano necessariamente
scritti paratelevisivi o parapubblicitari, è
invece evidente nei loro lavori una ricerca continua
del proprio posto. Il loro difetto è una specie
di riluttanza a considerare il positivo della tradizione:
sono tutti convinti di essere nati in un campo che
nessuno ha coltivato. Sono presuntuosi, nel senso
negativo questa volta, perché si ritengono
nati ieri.
Credo però che sia un problema legato a questioni
anagrafiche. Non vorrei parlare in termini gentoriali,
ma secondo me è una fase in cui hanno bisogno
di cercare la propria specificità assoluta
e credono di non avere debiti. Poi uno cresce e capisce
che i debiti invece ce li ha, e grazie a questo diventa
maturo e raggiunge uno stile.
Che cosa conta, nel panorama della letteratura
europea?
Credo che conti essere scrittori onesti, con un progetto
da portare avanti rispettando il proprio mestiere.
I miei romanzi sono stati tradotti in 23 paesi, e
per me questo è ancora un motivo di sorpresa:
l'unica strategia che ho è quella di essere
felice di quello che scrivo, e forse questa felicità
si sente. La gara è quella di riuscire a diventare
personalmente comunicativi, e comunicare a vari livelli:
dentro la scrittura ci devono essere odori, sentimenti
tattili, cose che sono supralinguistiche. I sentimenti
dell'umanità sono un odore fragrante, un calore
dell'anima, il freddo d'inverno e il caldo d'estate,
la disperazione della solitudine. Il testo è
un veicolo, dentro ci devono essere passeggeri che
possono scendere dappertutto ed essere riconoscibili
da chiunque. Spesso la storia di un libro non conta,
conta la sua musica interna, e quando scriviamo dobbiamo
trovare questo ritmo interiore, perché è
un battito universale: non appartiene a noi, ma al
mondo.
Allora non ha senso parlare di scrittura
europea.
Ha più senso parlare di scrittura del mondo.
La letteratura è una specie di sopracosmo,
come la doppia carena delle navi. Ci sono autori vicinissimi
a noi che nonostante abitino altre latitudini, comunicano
ciò che noi non riusciamo ad esprimere. Ogni
scrittore deve chiedersi, che respiro, che anima c'è
in quello che scrivo, che ritmo gli do? Bisogna entrare
molto dentro di sé per capire perché
Dottor Jekill e Mr. Hyde sembra scritto ieri. Se un
autore riesce a risponde a questa domanda e poi cerca
di fare altrettanto, si pone umilmente per rendere
presuntuosamente.
Il link:
Il sito del Festivaletteratura di Mantova
www.festivaletteratura.it
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