Caffe' Europa  
 

 



Subject: l'internet degli zapatisti (reset, 9506)

R. S.

 

 

 


"Sembra che Jose' Angel Gurri'a, il ministro degli esteri messicano, abbia bisogno di un corso di recupero per quello che concerne la percezione della realta'. L’altro giorno, in un discorso di fronte a uomini d’affari stranieri, ha dichiarato che la guerra in Chiapas era solamente “una guerra di inchiostro e di Internet”. Cosa?!? Per quanto lusingati possiamo essere, io e gli altri amici in rete, per il fatto che qualcuno si e' accorto di noi, il dottor Gurri'a deve avere qualche rotella fuori posto se crede che la ribellione zapatista possa essere ridotta a una battaglia di propaganda elettronica". Cosi' esplodeva, il 27 aprile scorso, l’editoriale a firma ‘Justin’, braccio telematico dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, dalle colonne virtuali situate sul World Wide Web, la zona piu' frequentata della Rete. Da una localita' imprecisata del Messico, da una catapecchia di Ocosingo, Tuxtla, Palenque o Tapachula, questo rivoluzionario tecnologico ha composto le sue righe di fuoco contro l’infelice uscita del membro del governo e le ha consegnate -in barba a qualsiasi censura- all’attenzione di un pubblico potenziale di oltre 30 milioni di persone sparse nel mondo e collegate alla madre di tutte le reti.
E questo sfogo cibernetico non e' un caso isolato: da mesi ormai esiste un sito, una sorta di pagina elettronica, dedicato all’Ezln che raggruppa e offre a chiunque sia interessato, comunicati, notizie aggiornate, interviste, fotografie e varie altre informazioni sulle ragioni e l’andamento della prima guerriglia che conserva nella santabarbara, oltre a fucili e munizioni, modem e adattatori per i propri computer da combattimento.
All’origine di questo impressionante spiegamento di forze informatiche una convinzione ferrea: "i veri pericoli per i governi vengono dagli esperti in comunicazione". L’idea di puntare sulla forza tranquilla della parola, veicolata dagli ultimi ritrovati della tecnologia, e' chiara come l’aria degli altipiani nella testa della massima autorita' militare di questo esercito che lotta per i diritti degli indigeni del Chiapas: l’uomo che si rivolge al mondo “desde las montañas del Sureste mexicano” con il nome di “Subcomandante insurgente Marcos”.

Il capo dei ribelli, che ha ormai tutti i tratti del mito, e' prima di tutto un gran comunicatore. Sono bastati pochi dei suoi magistrali dispacci, fatti pervenire al governo e agli organi di stampa prima lungo le mulattiere polverose che dalle colline chiapaneche scendono tortuose alle citta' del potere, poi attraverso le velocissime e impalpabili autostrade dell’informazione a cittadini di tutto il mondo, per capire che affascinante miscuglio di intelligenza, ironia e epica rivoluzionaria si nascondesse dentro la testa del portavoce mascherato degli illitterati indios zapatisti.
La qualita' della sua retorica e' fuori discussione. Anche un maestro severo come Octavio Paz, premio nobel per la letteratura nel 1990, concede un buon voto allo scolaro Marcos. "Sebbene incostante e pieno di alti e bassi come un otto volante, e' immaginativo e vivace. I suoi pasticci di linguaggio evangelico e, piu' frequentemente, di eloquenza indigena con le sue formule ricorrenti, le sue metafore e metonimie, sono quasi sempre fortunate". Insomma, niente a che vedere con il linguaggio legnoso e burocratico dei leaders del PRI, la forza di governo, il nemico numero uno.
Nell’agosto del 1992, quando il mondo non e' ancora a conoscenza dei piani di questo trentenne sconosciuto, Marcos scrive un pamphlet dai toni ispirati: “Chiapas: il sudest tra due venti - Una tempesta e una profezia” . L’agile libriccino racconta con amara ironia la situazione drammatica degli indios e conduce il lettore in un percorso avvincente tra le miserie e le contraddizioni della piu' povera tra le regioni povere del Messico che produce da sola il 55% della potenza idroelettrica della nazione ma dove solo il 34% delle abitazioni ha l’elettricita'. Dove i due terzi delle persone vivono e muoiono in comunita' rurali, la meta' dei quali non ha acqua potabile e piu' del 60% non ha scarichi nelle fogne pubbliche. Racconta di San Cristobal de las Casas che cento anni prima era la capitale dello stato e' che adesso e' soltanto un largo mercato dove le diverse etnie maya degli Tzotziles, Tzeltales, Choles, Tojolabales e Zoques portano “il tributo indigeno al capitalismo” e dove “tutto e' caro, eccetto la morte”. Denuncia il regime del PRI, le collusioni delle autorita' con i rancheros fuorilegge -i feudali caciques-, parla della sistematica razzia che il capitalismo occidentale compie sulle ricchezze naturali locali, alle spalle del popolo che muore di fame. Segnala i paradossi che qualche statistica indegnamente certifica, come quella delle "7 stanze di hotel per 1000 turisti contro gli 0,3 letti di ospedale per 1000 cittadini chiapanechi". E conclude con un monito che adesso campeggia nell’intestazione della pagina telematica dedicata all’Ezln: "Lo scontro di questi due venti [quello che viene dal basso, dal popolo stanco di subire e quello che soffia dall’alto, nei cieli dei nuovi conquistatori, ndr] sta per aver luogo, il suo tempo e' arrivato, e' stato appiccato il fuoco della storia. Quando la tempesta si calmera', quando la pioggia e il fuoco lasceranno di nuovo il paese in pace, il mondo non sara' piu' quello di prima, ma qualcosa di meglio…".
Il debito del Subcomandante con la prosopopea rivoluzionaria classica si estingue presto. E' d’accordo anche Alma Guillermoprieto, sulla New York Review of Books: "con il passare dei mesi, la voce dei comunicati diventa piu' sicura, piu' autorevole ed espansiva". Le lettere a corredo delle informative si allungano e l’ironia diventa il marchio di fabbrica di uno stile nuovo.
E la sua fama personale cresce, non senza qualche polemica (qualcuno dice messa su dalla disinformazione governativa) che Marcos rintuzza con abilita': "Le peculiari circostanze del gennaio 1994 [data in cui ebbero inizio gli scontri del Chiapas, ndr] fecero si che l’attenzione si concentrasse sulle impertinenti narici che si nascondevano, inutilmente, dietro un passamontagna nero di lana. La necessita' di un traduttore tra la cultura indigena zapatista e la cultura nazionale e internazionale ha avuto come conseguenza che le ovvie narici, oltre che a starnutire, hanno dovuto parlare e scrivere (…). A forza di parlare, e' potuto sembrare a molti che l’Ezln fosse solo questo naso prominente. E' stato un errore…". L’essersi ritagliato il grado eccentrico di Sub-comandante pare adesso una cautela profetica: sottoposto all’interesse superiore della causa, impegnato programmaticamente in un difficile esercizio di ventriloquio, ovvero parlare per se' e al tempo stesso per conto del Comite' Clandestino Rivolucionario Indi'gena-Comandancia General, l’organo deliberante dove sono rappresentate proporzionalmente le varie etnie chiapaneche.
E la novita' dell’arsenale mediatico di cui l’Ezln dispone non sfugge di certo agli intellettuali sudamericani. Tuttavia, piu' che ai primati di “ribellione post-comunista” o “post-moderna” che Carlos Fuentes, uno dei romanzieri messicani piu' noti e Lorenzo Meyer, storico stimato, sono pronti ad aggiudicare ai fatti del Chiapas, convince l’interpretazione di Octavio Paz. "Piuttosto, i ribelli sono incontestabilmente ultramoderni in un senso piu' preciso: per il loro stile. E' questione di una definizione estetica piu' che politica. A cominciare dalla loro prima apparizione il primo giorno di gennaio, hanno rivelato un notevole controllo di un’arte che i moderni media hanno fatto sviluppare sino una pericolosa perfezione: quella delle pubbliche relazioni".
Il governo messicano capisce che ha molto di piu' da temere dall’eloquio del Subcomandante che dalle scacciacani dei rivoltosi. Ma e' impossibile arginare il flusso elettronico dei pensieri: quando il cane telematico abbaia, non c’e' mordacchia che riesca a chiudergli la bocca. Cosi' anche La Jornada , quotidiano indipendente, non ha troppi problemi nel diffondere i comunicati provenienti dalla macchia: il mondo saprebbe comunque.
La caccia all’uomo si fa frenetica. E' difficile star dietro alle illazioni: Marcos e' un medico che ha studiato in California, no e' un giornalista… L’identikit piu' accreditato offre generalita' complete: Rafael Sebastian Guillen Vicente, trentottenne di buona famiglia, scuole dai gesuiti poi la Sorbona, quindi professore universitario alla facolta' di lettere e filosofia di Citta' del Messico. Sparito, da 6-8 anni neppure suo padre ne ha piu' traccia. Ma gli zapatisti affidano la smentita ufficiale a Internet: liquidata la curiosita' anagrafica come "irrilevante", il Maggiore Ana Maria spiega che "Marcos e' nato solo una decina di anni fa, nella giungla Lacandona", da dove parti', il giorno dell’inizio degli scontri, la dichiarazione-manifesto degli insurrezionisti: "Oggi diciamo che ne abbiamo abbastanza!…", che indicava gli obiettivi della lotta in "lavoro, terra, casa, cibo, assistenza sanitaria, istruzione, indipendenza, liberta', democrazia, giustizia e pace".
Da allora gli occhi del mondo si sono puntati su un passamontagna nero di lana che probabilmente non ha nessuna velleita' di diventare un copricapo giacobino e piumato, da Bolivar di fine millennio, ne' un basco stellato e martire, da Che Guevara anni ‘90. Piuttosto cela un’ambizione legittima, che a volte svapora nelle nuvole del dubbio: "Servira' almeno tutto questo a far si che i messicani imparino a dire “Chiapas” invece di “Chapas”, e “Tzeltales” al posto di “Setsales”?"


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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