Caffe' Europa  
 

 





Usa contro Europa sulla privacy (corsera, 98??)

R. S.

 

 

 


Su vari ring internazionali i campioni americani hanno gia' incrociato i guantoni con gli sfidanti europei per il titolo di "tutori della privacy", valido per il campionato del mondo Internet. Nessun match ufficiale, per il momento, solo qualche scambio di riscaldamento, qualche colpo per prendere le misure: alla conferenza di Bonn del luglio '97, al Royal Institute of International Affairs di Londra alla fine del mese scorso e in varie altre occasioni le divergenze sono state anticipate. Ma i bookmaker dell'arena digitale non sanno fare previsioni per l'incontro di ottobre, quando la nuova direttiva dell'Unione Europea entrera' in vigore nei quindici stati membri. Irrigidendo vari aspetti della disciplina - gia' assai piu' stringente di quella statunitense - circa la raccolta, l'uso e la gestione dei dati personali dei consumatori, il testo legislativo potrebbe portare a una resa dei conti definitiva tra le due filosofie che contraddistinguono, sull'argomento, nuovo e vecchio continente.

Da oltre un anno l'Amministrazione Clinton, per bocca del senior adviser del presidente per le questioni telematiche Ira Magaziner, predica una politica assai liberale: "E' meglio che il governo stia a guardare: sara' l'industria a autoregolamentarsi, mettendo a punto dei codici di comportamento che garantiscano i visitatori dei siti web sul buon uso dei dati personali che hanno dovuto rivelare per avere accesso a determinati servizi". Dopo un'iniziale e generalizzata buona accoglienza da parte sia delle aziende che dei gruppi che si occupano di diritti elettronici, adesso da piu' parti si rileva l'insufficienza di quell'approccio. "Mi sento molto frustrata" ha detto Susan Scott, direttore esecutivo di TRUSTe, un'associazione che si occupa di privacy online, uscendo da un summit organizzato alla fine di giugno dal Ministero del Commercio statunitense: "Solo il 14 per cento dei 1400 siti passati in rassegna dalla Federal Trade Commission avevano qualcosa che rassomigliasse, pur vagamente, a una policy sulla riservatezza dei dati raccolti". Un rapporto piu' dettagliato sulla stato dell'arte in questo settore che avrebbe dovuto essere pubblicato il primo luglio ha subito un'ulteriore procrastinazione per dare, si dice, tempo all'industria di attivarsi in qualche modo. Pochissimo e' stato fatto, se non un'ulteriore serie di annunci riguardo nuovi accordi tra imprese e associazioni e la creazione della Online Privacy Alliance che raggruppa cinquanta aziende del calibro di America Online, AT&T, IBM, Microsoft e Netscape che hanno deciso di sottoscrivere pratiche comuni di autodisciplina.

La ricetta americana mette anche l'accento sull'autodifesa dell'utente per via tecnologica. Allo studio del World Wide Web Consortium ci sono infatti due applicazioni informatiche, il Privacy Preferences Project (P3P) e l'Open Profiling Standard (OPS) che, integrate all'interno dei browser, consentirebbero a chi naviga di graduare volta per volta quante informazioni personali concedere ai diversi siti visitati. "Se mi collego al sito della United Airlines mi va bene che possano sapere dal mio profilo che sono interessato a un pranzo Kosher - ha esemplificato efficacemente Daniel J. Weitzner, fondatore del Center for Democracy & Technology di Washington - ma non altrettanto se mi collego al sito del Ku Klux Klan!". Chi attacca l'efficacia di questo sistema cita la pigrizia e la scarsa perizia tecnica della maggior parte degli utenti di computer, il cosiddetto "effetto orario-del-videoregistratore" per cui, quando per qualsiasi motivo va via la corrente, l'ora rimane perennemente lampeggiante e nessuno si cura di rimetterla a posto: o si costringono i costruttori di browser ha impostare i nuovi meccanismi su un livello di default molto restrittivo (che permetta di navigare anche anonimamente), altrimenti la protezione restera' soltanto teorica, dal momento che troppo pochi si daranno la briga di configurare diversamente il dispositivo.

Il comitato di esperti di Bruxelles considera l'approccio di Washington insufficiente, se non velleitario, e il 16 giugno ha espresso tutto il suo scetticismo in un duro rapporto: "Una piattaforma tecnica per la tutela della riservatezza non sara', in se', sufficiente a proteggere la privacy sul Web". Ci vuole assolutamente un quadro legislativo di riferimento, in assenza del quale si porrebbe, ingiustamente, "l'onere di proteggersi sull'individuo, assumendo che egli disponga di un livello di competenza tecnica che realisticamente non si puo' esigere da lui". "Cooperiamo per trovare la soluzione migliore - ha ribattuto Magaziner, pochi giorni dopo - : se il nostro sistema non dara' frutti cercheremo volentieri di imparare dagli europei". Accondiscendenza subito neutralizzata dall'aggiunta al curaro: "Teniamo alla protezione della privacy non meno di quanto faccia Bruxelles, ma questo non significa che ci basta, per sentirci a posto con la coscienza, licenziare un migliaio di pagine di norme e dire "Grande! Cosi' abbiamo protetto il consumatore" perche', se nel far questo, abbiamo rallentato il potenziale di sviluppo della rete e la crescita economica generale, in verita' l'effetto e' solo quello di nuocere ai cittadini". Le ragioni della libera impresa contro i distinguo dei giuristi? L'argomento suona un po' ricattatorio, un colpo basso che potrebbe mettere in ginocchio il futuro del commercio elettronico: se i venditori americani non saranno in regola con le leggi europee gli affari in rete rischiano di languire.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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