Caffe' Europa  
 

 



Subject: telelavoro (online magazine, 9707)

R. S.

 

 

 


La signora allo sportello dell'ufficio immigrazione al Federal Plaza di New York era convinta che la giovane donna di fronte a lei la stesse prendendo in giro o che, straniera, non capisse le sue domande. «Bene, abbiamo detto che lei lavora nel business dei computer, o qualcosa del genere, right?» La ragazza annui' per la terza volta. «Quindi, come lei puo' vedere ci sono due caselline, una per il suo numero di telefono di casa e un'atlra per quello del lavoro, right? Deve riempirle entrambe: se ha un lavoro avra' anche un numero di telefono del lavoro...». Wrong. L'anziana impiegata non teneva conto di uno dei fenomeni piu' rapidi e significativi della saluberrima economia americana di questi ultimi anni: il telelavoro, che mischia irreparabilmente i confini tra casa e ufficio, occupazione e riposo, e fa si' che la signorina smarrita dicesse la verita' entambe le volte, sia quando dichiarava di avere un lavoro (anzi, piu' di uno) e di non avere un numero di telefono di lavoro. Le sette cifre che bisognava comporre per commissionarle un sito Web o un progetto multimediale erano le stesse che si dovevano digitare per invitare l'israeliana e affascinante Abigail Schimmel, grafica elettronica ed esperta accatiemmellista, a cena nel ristorante indiano della Sesta strada, a due blocchi dal suo ufficio... pardon, dalla sua abitazione.

I numeri disegnano il percorso di un boom che sembra inarrestabile. Nel 1990, negli Stati Uniti, c'erano 4 milioni di lavoratori a distanza, o «telecommuters» secondo il conio fortunato di Jack Nilles: adesso sono oltre 11 milioni, leggendo i dati di una dettagliata analisi di mercato commissionata dalla Find/Svp ed esposta al pubblico in occasione della International Telework Association che si e' svolta dal 29 giungo al 2 luglio all'hotel Hyatt Regency di Cristal City, Virginia. L'aumento rispetto al 1995 e' del 30 per cento e, per il 2000, la ragionevole stima e' fissata a quota 14 milioni. Un vero e proprio esercito di uomini e donne che svolgono i loro compiti professionali dalle proprie abitazioni, alternando il dovere lavorativo al dovere genitoriale (biberon, cambio pannolini o revisione di equazioni per la prole piu' cresciutella) ma anche al riposo e ai ritmi della vita domestica, in un ambiente amico e confortevole.
Tale tendenza, sempre meno percepita come bizzarria da fanatici del computer, presenta vantaggi per il datore di lavoro (minori costi di affitto locali e aumentata morale e produttivita' dei lavoratori) e per il lavoratore stesso (minori spese di trasporto, minore stress collegato ad esso, maggiore flessibilita' etc). Ma, inevitabilmente, nelle pieghe di questa trasformazione in atto possono nascondersi anche dei rischi. «Chi tutelera' questi cottimisti via modem? Che fine fara' una societa' fatta di infinite monadi in cui nessuno parla piu' con nessuno se non attraverso la mediazione dello schermo di un computer?» si chiedono, ad esempio, i piu' preoccupati.

Innanzitutto le resistenze culturali da parte delle aziende stanno progressivamente venendo meno. In uno studio pubblicato sul «New York Times» del 9 febbraio di quest'anno, si legge che il 62 per cento delle aziende americane sono pronte a concedere possibilita' di telelavoro. L'American Express, a partire da tre anni fa, comincio' a togliere gli uffici al proprio personale di vendita: dette a questi "commerciali" computer portatili, telefoni cellulari o teledrin e disse loro di farsi un "ufficio virtuale", in casa propria, in macchina o dovunque ritenessero comodo. Ogni lunedi' mattina ci sarebbe stata una conferenza a piu' voci con i rispettivi capi, almeno una volta al mese sarebbero stati organizzati dall'azienda degli eventi sociali, occasioni di incontro tra dipendenti, in hotel o altre piacevoli strutture. Per il resto ognuno doveva rinunciare alla tradizionale poltrona e scrivania: le vendite da allora sono aumentate del 40 per cento.

Peggy Simon Argus invece aveva iniziato come commessa di libereria ma fu licenziata perche' gli affari andavano male. Passo' ad altre occupazioni e ad altri licenziamenti nel giro di pochi anni: non era colpa sua ma le ditte che la prendevano non erano molto fortunate e lei seguiva la loro sorte. Sino a quando ha deciso di non essere piu' in balia del fato che perseguitava i suoi datori di lavoro. Come del resto il 55 per cento degli americani vorrebbe fare – stando a un sondaggio del maggio di quest'anno effettuato per il settimanale U.S. News and World Report da KRC Research & Consulting – Peggy e' diventata la datrice di lavoro di se stessa: scrive testi tecnici per varie societa' e si sta preparando per diventare "personal coach", ovvero una consulente che spiega agli altri come mettere ordine nella propria vita. In meno di 9 mesi da quando ha cominciato questa nuova attivita', lavorando principalmente via rete, aveva gia' guadagnato 37.000 dollari: «Non accetterei mai piu' un lavoro dalla 9 alle 5» afferma sicura.
«Siamo nel bel mezzo di una transizione storica – spiega il professore Thomas Malone, della Sloan School of Management – per quanto riguarda la maniera in cui il lavoro e' organizzato e svolto. Milioni di persone si troveranno a lavorare come "compagnie uni-personali"». Questo succedera' in maniera totalmente autonoma, da free-lance; ma anche all'interno delle aziende la tendenza sara' a creare delle micro-unita' sempre piu' responsabilizzate per i compiti che gli sono stati affidati e che porteranno avanti in relativa autonomia. Negli Stati Uniti un avvocato di provincia puo' preparare, grazie ai materiali legali disponibili in rete, una causa da discutere in Corte Suprema. Un bed and breakfast intelligente puo' mettere su una pagina Web e gestire la propria clientela da ogni parte del mondo. E via discorrendo.
Lo svantaggio evidente di questa iper-fessibile organizzazione del lavoro sta nell'inesistenza di accantonamento di contributi. Nessuno li paga al free-lance, anche se - data la sempre maggiore rilevanza del fenomeno – varie compagnie previdenziali private stanno pensando alla gestione di casse separate cui il telelavoratore potrebbe aderire volontariamente, precostituendosi una pensione. Questa infatti e' la preoccupazione piu' diffusa tra i telelavoratori, sempre dalle risultanze del sondaggio U.S. News: l'83 per cento di loro e' preoccupato circa a possibilita' di potersi permettere una pensione decorosa. Peggy ci pensa un attimo e conferma: «Cerco di non pensare alla pensione». Nell'attesa, se il lavoro e' morto – come scrive Jeremy Rifkin nel suo libro, «La fine del lavoro», tradotto anche in Italia da Baldini & Castoldi –, viva il telelavoro.


box silicon alley

L'unico grande studio organico sull'economia della Silicon Alley resta quello commissionato dalla New York New Media Association alla societa' specializzata Coopers & Lybrand nell'aprile dell'anno scorso: in 57 pagine dettagliatissime si scriveva, senza tante circonlocuzioni, che quello dei new-media era sicuramente il settore in piu' rapida crescita che la capitale mondiale dei media avesse conosciuto da tempo. In un anno i risultati erano stati di 27.300 nuovi posti di lavoro nella sola Manhattan, 6150 dei quali erano occupati da free-lance che, il piu' delle volte, lavoravano da casa propria con prorpri strumenti.
E i datori di lavoro sono pronti a riconoscere l'insostibuile apporto di questi nuovi lavoratori: «I free-lance sono stati assolutamente essenziali per la crescita di Silicon Alley – risponde serio Seth Goldstein, fondatore di SiteSpecific, una delle migliori societa' di produzione di siti Web a New York – . Per molti versi e' proprio l'esperienza dei free-lance, che vengono in contatto con diversi ambienti di lavoro e tecnologie diverse che conduce a certe innovative visioni imprenditoriali».

box europa

Nel Rapporto Bangemann del 1994 la commissione Europea aveva fissato un obiettivo di 10 milioni di telelavoratori in Europa per la fine del decennio. Le stime attuali parlano di 1,25 milioni, meta' dei quali concentrati in Gran Bretagna.
Tra i piu' interessanti esperimenti nel vecchio Continente segnaliamo i due casi, emblematici e poco citati, dei telecottage della banlieu parigina e del ministro della Sanita' svedese. Il primo intervento e' stato originato dalla considerazione che il tempo impiegato giornalmente dai parigini per spostarsi da casa all'ufficio era quasi l'equivalente di quello impiegato a Lione per lavorare sul serio. L'idea del Catral, l'agenzia regionale per la gestione del tempo, e' stata quindi quella di costruire 80 telecottage, in posti strategici dell'immediata periferia, dove migliai di lavoratori potessero svolgere da distanza i loro compiti. Il primo dovrebbe essere inaugurato a Provins per la fine dell'estate. In ognuno di questi cottage ci sara' u centinaio di computer collegati in rete che saranno utilizzati da chi ne avra' bisogno e si sara' preventivamente identificato con una smart card a pagamento. L'investimento e' stato nell'ordine di poco meno di un miliardo di lire per ogni cottage e l'affitto giornaliero variera' dalle 100 alle 150 mila lire. L'obiettivo e' di tagliare il pendolarismo giornaliero verso la regione di Parigi del 7,5 per cento in un periodo di 5-8 anni.
Il caso di Margot Wallstrom e' ancora piu' sbalorditivo. Quando il Primo ministro del suo paese, la Svezia, le chiese di diventare il reponsabile del dicastero della cultura, la donna fu onorata ma non voleva rinunciare alla sua vita familiare. Allora propose – era l'autunno del 1994 – di spostare il ministero a Karlstad, la citta' dei suoi affetti, a 300 kilometri di distanza, da dove avrebbe svolto il suo incarico avvantaggiandosi di tutti gli ultimi ritrovati della tecnologia della comunicazione. Cosi' e' stato. Giornalmente incontra i suoi collaboratori per videoconferenza, scambia progetti per e-mail. La spesa per realizzare quella infrastruttura causo' non poche polemiche: il 3 per cento del bilancio del ministero parti' tra cavi, linee ad alta velocita' e tutto il resto, per un totale di poco meno di un centinaio di milioni di lire. Ma la ministra, adesso passata al piu' impegnativo dicastero della Sanita', e' convinta della bonta' della scelta di allora e del primato della Svezia in questo settore: «La tecnologia dell'informazione consente di avere un ruolo pubblico mantenendo una vita privata: sarei stata folle a non approfittarne. Per di piu', stando in provincia, ho modo di capire molto meglio quello che vogliono i cittadini: e' anche un vantaggio per la democrazia».

links

The International Telework Association
http://www.telecommute.org

Telecommute Unite!
http://www.att.com/Telecommute_America/

Dieci regole per telelavorare bene
http://www.gohome.com/Features/199703-feature1.html

La via italiana al telelavoro
http://www.mclink.it/telelavoro/

Una rassegna di articoli in italiano (numero monografico di Tele'ma - autunno 1995)
http://fub.it/telema/TELEMA2/Telema2.html

---------------------

###vi lascio qui il box che sfora, nel caso possa servirvi per metterlo da un'altra parte:###

box 10 regole

In una rivista on-line dedicata a chi telelavora, abbiamo trovato un bel decalogo per evitare gli errori piu' comuni. Nella sua «Guida alla sopravvivenza in 10 passi e sei minuti» Carlene Canton – nonostante il titolo americaneggiante che ha scelto per il suo bell'articolo – da' utili e mai abbastanza ripetuti consigli su come muoversi nel nuovo mondo dell'auto-impiego. Le regole sono le seguenti, ma vale la pena una lettura completa a http://www.gohome.com/Features/199703-feature1.html
1) Evitate l'isolamento; 2) Limitate l'orario di lavoro; 3) Preventivate del tempo dedicato ad altro; 4) Siate comodi; 5) Adottate la giusta immagine (del vostro muogo di lavoro); 6) Fissate dei confini (tra la vostra vita lavorativa e lo svago); 7) Tenete a portata di mano ogni possibile supporto tecnico; 8) Date qualcosa indietro (alla societa': volontariato, etc); 9) Investite nella tecnologia di cui avete bisogno; 10) Create un santuario (intorno al posto dove lavorate: con la musica che perferite, i quadri che amate di piu'; etc).


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

Home | Corso 1999 | Letture | Links | Caffe' Europa