Caffe' Europa  
 

 





Subject: l'online si addice alla cultura - slate, salon e altre storie (reset, 98??)

R. S.

 

 

 


Le principali parole chiave per indicizzare gli argomenti di questa storia sono "giornalismo, internet, cultura, sperimentazione, pubblicita', syndicate, finanziamenti, intelligenza, Salon, Wired". Cosi', piu' o meno, si presenterebbe il <meta> tag dell'articolo (le indicazioni invisibili al lettore ma che facilitano ai motori di ricerca il compito di capire rapidamente di cosa tratta il pezzo e pescarlo per voi nel marasma della rete) se, invece di stamparlo su questa carta non lussuosa eppure cara, l'avessimo pubblicato sulle colonne a buon mercato del World Wide Web. Perche' avremmo dovuto? Su "Reset" si parla di cultura, di politica, di libri e di idee, mica di computer e videogiochi. Il nostro pubblico e' fatto di lettori seri, professori, liberi professionisti curiosi e giovani con l'ambizione di capire, mica di cyberpunk. E invece avremmo gia' dovuto - e prestissimo cominceremo a farlo - perche' l'online si addice, come una serie crescente di casi di successo dimostra, ai nostri argomenti e ai nostri lettori. In questi brevi e concitati anni dalla sua larga popolarizzazione Internet e' riuscita egregiamente a sbarazzarsi di molti pregiudizi che cercavano di screditarla. Tra questi, sicuramente, e' l'illazione che le imputava il tentato omicidio della lettura: "Arrivera' la rete e i libri scompariranno" vaticinavano piccati i professionisti dell'Apocalisse via Web. La smentita, puntuale e beffarda, e' arrivata sotto forma di un euforico annuncio finanziario. Al momento della sua quotazione alla Borsa di New York, nel maggio scorso, la societa' per azioni Amazon ha realizzato un'invidiabile capitalizzazione di 550 milioni di dollari, ovvero 935 miliardi di lire, spicciolo piu' spicciolo meno. Di cosa si occupa la fortunata new-entry: di calcolatori, di prodotti finanziari, di elettronica di consumo? Nisba. Vende libri online: una scelta di due milioni e mezzo di volumi, acquistabili elettronicamente e consegnati per posta. Carta e pixel diventano alleati, nonostante gli scenari foschi che Sven Birkerts – citarne uno per educarne cento - disegnava solo tre anni fa nel suo libro "The Gutenberg Elegies: The Fate of Reading in an Electronic Age" (Faber&Faber, 1994). E se cosi' tanta gente va in rete per comprare i libri vuol dire che c'e' tanta gente armata di modem che ama leggere, e se c'e' tanta gente che si sorbisce tomi da 600 pagine si berra' d'un fiato anche riviste che - sullo stesso medium dove hanno ordinato i primi - sapranno offrire loro delle prospettive non scontate della realta'. Chi ha avuto il fegato di arrivare in fondo a un ermetico libretto di istruzioni su come configurare il proprio Pc per andare online, poi, e' in linea di massima persona che non ha paura di niente e che non indietreggera' di certo davanti a un'idea provocatoria o un'ottica originale con la quale raccontare il mondo. Di questo si tratta, al solito.

Lettori nuovi, lettori forti

Non c'e' bisogno di arrivare all'enfasi del primo editoriale di "Wired", capostipite dei giornali colti (e tecno-centrici) tagliati su misura sul profilo di questa nuova generazione che definiva come "il popolo piu' potente del pianeta al giorno d’oggi: la Generazione Digitale. E' gente che non solo prevede come la fusione di computer, telecomunicazioni e media trasformera' la vita all’alba del nuovo millennio, ma sta anche facendo si' che cio' accada…". Eppure e' vero che le persone che hanno voglia di cercare in rete quello che sui media tradizionali non trovano piu' - o non trovano in quantita' sufficienti - costituiscono un pubblico dei piu' promettenti. Gente che non ha paura di essere stupita ma che anzi chiede di esserlo, non con la fantascienza bon marche' delle figurine elettroniche in movimento ma con la scienza dell'ipermedium intelligente, che contestualizza le notizie con i precedenti pertinenti, arricchisce i testi con spezzoni e testimonianze audio e video, che permette al lettore, a vari livelli, di interagire con esse e di ritagliarsele secondo le proprie esigenze. Questo per quanto riguarda la natura dei nuovi lettori.
La vera novita' che pero' consente di servirli secondo le loro esigenze, di affrancarsi dall'imperativo vetero-industriale di confezionare un prodotto unico che si confaccia al numero piu' ampio possibile di loro, e' il dato economico: mettere in piedi imprese editoriali online costa una minima frazione di quanto si dovrebbe preventivare per allestire un progetto analogo su carta o, peggio ancora, in televisione. La limitatezza dei costi fa si' che si possa concepire un prodotto mirato a una nicchia specifica di lettori (gli appassionati di humanities, i patiti della boxe francese, le ultra' del punto a croce e via di seguito), troppo piccola per giustificare un modello di business tradizionale ma piu' che sufficiente - tanto piu' che la rete consente di travalicare i confini nazionali, una volta che i contenuti siano scritti in una lingua accessibile per i lettori stranieri cui si rivolge - per autorizzare l'investimento telematico. Questo lusso si ripercuote significativamente sui contenuti e supera le obiezioni classiche verso l'indifferenziazione intrinseca nei mass-media. Ricordate il George Gilder di "La vita dopo la televisione" (Castelvecchi, 1995)? "La televisione e' un sistema di trasmissione che si fonda sull’idea che tutti gli esseri umani siano essenzialmente simili e che possano essere soddisfatti con 40 o 50 canali, sino ad arrivare a 500… La tv non vuole riconoscere la rigogliosa diversita' dei suoi utenti" e "puntando a raggiungere il suo bersaglio al suo piu' basso denominatore comune, peggiora sempre di piu' ogni anno". Adesso si puo' fare a meno di cercare di parlare quell'esperanto legnoso con cui si aveva la pretesa di rivolgersi, contemporaneamente, all'estetista e al professore di estetica. A ogni pubblico la sua lingua (e a ciascuno maggiore soddisfazione). E' quello che ci ripete Josh Shroeter, "direttore strategico" del Center for the New Media della Columbia Graduate School of Journalism, centro di eccellenza per fornire gli strumenti tecnico-informatici alle nuove generazioni di giornalisti: "L'attuale crisi del giornalismo ha anche a che fare con l'omogeneizzazione, il fatto che stampa e tv si rincorrono nel catturare il minimo comun denominatore di un pubblico indifferenziato, peggiorando ulteriormente la qualita' di cio' che producono. Tra gli altri vantaggi del medium elettronico ci sarebbe quello di non doversi vergognare piu' di essere intelligenti: rivolgendosi a nicchie ben individuate si potrebbe assumere che queste sanno gia' alcune cose e non sarebbe necessario rispiegarliele da capo ogni volta".

Il caso Salon

Il caso piu' emblematico di come si possano veicolare in rete intelligenza e cultura e', a nostro avviso, quello della rivista elettronica Salon (http://www.salonmag.com). A meta' del 1994 i giornalisti del San Francisco Examiner, stimato quotidiano californiano, entrarono in agitazione per questioni di contratti non rinnovati e altre beghe economiche. Ce l'avevano con la proprieta' anche per i troppo tiepidi investimenti sul settore online e, per protesta, una parte di loro mise in piedi autonomamente un sito d'informazione che raccoglieva molte rubriche del giornale e assicurava una ricca copertura delle notizie locali. Il sito ebbe un successo nazionale e segno' l'inizio di un lunga emorragia di intelligenze dalla testata. Dopo tre mesi, infatti, il vice direttore Bruce Koon lascio' l'incarico per andare a dirigere il Mercury Center, sito Web del San Jose Mercury News. A ruota, lo stesso editore William Randolph Hearst III, abdico' a una lunga tradizione familiare per andare a guidare @Home, un servizio multimediale di notizie sviluppato assieme a Tci, il colosso dell'industria della tv via cavo. Medesima sorte seguirono anche il direttore, il caposervizio degli interni, degli esteri e della sezione viaggi, il caporedattore centrale, il critico dei libri, quello televisivo e David Talbot, caposervizio della cultura, che abbandono' l'inchiostro per i bit, lanciando la sofisticatissima Salon, appunto.
Era il novembre del '95 quando la rivista fece la sua apparizione nella gia' sterminata edicola virtuale. Talbot, che non ne poteva piu' delle angustie della carta e degli striminziti margini di manovra e di invenzione che essa gli consentiva, trovo' senza troppa difficolta' un paio di finanziatori: furono Adobe, importante software house specializzata nella grafica al computer e Hambrecht & Quist, una banca di investimenti sensibile alle iniziative online, a tirare fuori il grosso dei 2 milioni di dollari con i quali tutto ebbe inizio. La squadra era ridotta all'osso: 4 dipendenti, compreso Talbot, che lavoravano a tempo pieno a produrre, assemblare e mettere in pagina html i contenuti del sito. "Nel '92 - ricorda Talbot, nella lunga intervista che ha concesso a "Reset" - la direzione dell'Examiner ci aveva concesso ben 6 pagine dedicate a "Arts & Ideas": non ci sembrava vero: avevamo uno spazio fisso settimanale dove accogliere recensioni a libri, film, musica e tutto il resto, interviste agli autori e un sacco di altro buon materiale. Dopo un anno pero' lo spazio fu ridotto a una pagina perche' - ci venne spiegato - le nostre pagine non attiravano una quantita' di pubblicita' tale da giustificarne l'esistenza in vita". Si, c'erano le manchette della case editrici o roba del genere ma questo tipo di aziende, in America come in Italia, non e' noto per investire fortune in promozione. "Il sogno svani' presto, quindi, e con lui il nostro entusiasmo e la speranza di poter concludere qualcosa del genere sulla carta o sugli altri media tradizionali. Eppure eravamo sicuri che parlare di libri e dei loro autori interessasse a molte piu' persone di quanto i contabili dei quotidiani riuscissero a immaginare. Bisognava solo trovare l'equilibrio economico che ci consentisse di dimostrare la nostra scommessa". L'occasione fu quella di inventare una rivista online con i libri al centro e un approccio non banale all'attualita'. "Non c'era alternativa: assistevamo all'agonia per soffocamento del mondo della carta stampata che si appiattiva sempre piu' a livello terra-terra, era ormai sempre piu' scandalosamente celebrity driven, succube del pettegolezzo riguardante le star e le starlette che proliferano dappertutto e, di conseguenza, frustrante per chi doveva farla e assolutamente insoddisfacente per la pur sostanziosa fetta di pubblico intelligente che avrebbe dovuto leggerla". Togliendo la polvere dai libri di cui parlavano, intervistando gli scrittori piu' stimolanti, affrontando i temi del giorno con una sfrontatezza che i giornali non potevano permettersi e facendo le bucce, sistematicamente, alle approssimazioni e ai dietro-le-quinte dei media tradizionali, i monelli di Salon cominciarono presto a farsi apprezzare dai frequentatori della rete. Nelle discussioni elettroniche intorno a molti dei temi toccati si incoraggiava il lettore a prendere la parola e le comunita' di interessi che si formavano, le discussioni che si accendevano, facevano si' che la lealta' di quelle persone nei confronti della testata aumentasse, proprio come succede nei confronti di un bar dove si sa che troveremo, abitualmente, persone che ci stanno simpatiche. Con i visitatori cresceva proporzionalmente il valore catastale dei "terreni" di Salon: per esporvi della pubblicita' si doveva pagare e, col tempo, cresceva il numero di aziende culturali che chiedevano di farlo. Anche le case editrici HarperCollins, DoubleDay ed altre, generalmente parche e intimorite dai grossi costi della pubblicita' sui mass-media, cominciavano a dimostrare una maggior propensione per le tariffe accettabili dell'online. Di pari passo con il numero di inserzionisti cresceva anche la rivista: spuntavano le sezioni Viaggi, Madri che pensano, Ventunesimo secolo e il successo di ognuna di queste aggiunte veniva valutato di volta in volta. "E' un approccio sperimentale, continuamente suscettibile di cambiamenti di rotta: avevamo tentato anche una rubrica dedicata al Cibo che pero' non ha funzionato: pochi mesi sono stati sufficienti per accorgercene e l'abbiamo chiusa, il tutto costandoci circa 20 mila dollari e la allocazione ad altre mansioni dei 2 giornalisti che ci lavoravano. La stessa vicenda, nella carta stampata, sarebbe stata considerata una catastrofe, perche' i tempi per apprezzare la risposta del pubblico sarebbero stati assai piu' lunghi e le cifre molto diverse".

La web-economia della cultura

Articolata ed esemplare e' l'architettura economica di Salon. C'e' la pubblicita' sotto forma di banner, naturalmente, che costituisce una buona parte degli introiti. Ma Talbot sa bene che affidarsi a questa unica fonte esporrebbe troppo il giornale alle eventuali pressioni dei committenti. "Rivendiamo molti degli articoli che appaiono su Salon a una trentina di giornali in tutto il mondo: molti sono giornali minori americani che non hanno in staff giornalisti cosi' brillanti o specializzati, ma che possono permettersi di pagarci i diritti di ri-pubblicazione. Questa fonte, la cosiddetta syndication degli articoli, sta diventando sempre piu' significativa. Poi stiamo pensando a commercializzare dei libri con il nostro marchio: mettendo insieme ed editando opportunamente molte delle interviste o dei pezzi circa gli scrittori di cui ci occupiamo consuetamente stiamo per realizzare una sorta di guida agli autori contemporanei, una originale enciclopedia delle buone letture. Poi abbiamo puntato alla sponsorship di intere sezioni del giornali ad opera di un solo inserzionista; cio' ci permette di sapere in anticipo, all'inizio dell'anno, su quanti soldi potremo fare affidamento: e' successo con Borders (catena di librerie, ndr) per i libri e succedera' con altri per settori diversi. Non solo: per i libri (ma, recentemente, anche i cd e il software) acquistati attraverso il nostro sito prendiamo una commissione. A tutto questo pensiamo di aggiungere, relativamente presto, un sistema di tariffazione per dei servizi a valore aggiunto: non pensiamo assolutamente di far pagare per i contenuti normali perche' questo deprimerebbe troppo la circolazione, ma creare una specie di Salon Club Membership che dara' diritto a offerte speciali per voli aerei, ulteriori possibilita' di interazione o di customizzazione del contenuto editoriale contro un canone basso, nell'ordine di trenta-quaranta dollari l'anno. Se anche il 10% dei nostri lettori aderisse - e ci sembra una previsione ragionevole - sarebbe un risultato straordinario che ci darebbe un'ulteriore garanzia di indipendenza e tranquillita'". I conti ancora non sono in pari ma le stime sono di raggiungere la redditivita' entro la fine del '98: "Tre anni sono un ottimo risultato per l'online, ma rappresentano un esito ancora migliore se si pensa ai tempi di assestamento delle riviste di carta". Tuttavia il "rosso" fisiologico non ha impedito che i partecipanti all'iniziativa ricevessero i necessari incentivi economici per lavorare con dedizione: "Contrariamente a quanto si crede, pur non avendo i salari stellari dei colleghi della tv, questa avventura paga. Io, ad esempio, ho guadagnato subito piu' qui di quanto facessi come capo della cultura all'Examiner. Per quanto riguarda il resto del giornale le cose vanno nello stesso modo e, prendendo in prestito dal modo di fare della vicina Silicon Valley, abbiamo voluto far partecipare tutti coloro che ne sono in qualche modo autori, della ricchezza che Salon produce. I giornalisti infatti, oltre allo stipendio, ricevono delle azioni della nostra societa': e' un meccanismo che aumenta lo spirito di gruppo e fa sentire tutti, in qualche modo, responsabili del buon andamento dell'impresa. Inoltre non solo gli assunti hanno questa opportunita' ma anche i collaboratori: cosi', anche se i pagamenti per loro non possono essere, per il momento, equiparati a quelli di riviste consolidate sulla carta e notoriamente molto generose come Vanity Fair, Harper's magazine e altre, compensiamo la differenza". Il reclutamento, all'inizio, fu realizzato secondo il metodo della "rock & roll band": Talbot ebbe totale liberta' nel scegliere le pochissime persone che avrebbero lavorato con lui. Mano a mano la rosa si e' allargata chiamando altri reporter fidati e dai 4 iniziali si e' arrivati a uno staff di 40 persone (meta' giornalisti e meta' tecnici e amministrativi). La rarita' di questo percorso di successo e' che, per il momento, gli artefici di Salon non si sono mai montati la testa. A differenza delle "cicale" di HotWired (www.hotwired.com), che hanno creato un enorme e sontuosissimo ambiente online annunciando piu' volte e altrettante smentendo un imminente collocamento in borsa della loro societa', le "formiche" capitanate da Talbot hanno seguito una politica di incrementi graduali che li ha portati a un pubblico di lettori mensili nell'ordine delle 150/200 mila persone. I loro debiti sono sotto controllo, cosi' come il loro snobismo. Se non rompera' sul rush finale, sembra un cavallo sul cui piazzamento vale la pena scommettere.

BOX SU FEED MAGAZINE

Un'altra rivista culturale online che non ha - quanto a qualita' - niente da invidiare alle omologhe di carta e' Feed (http://www.feedmag.com). Fondata un paio di anni fa da Steven Johnson (autore tra l'altro del recentissimo e osannato "Interface Culture: How New Technology Transforms the Way We Create & Communicate") e Stefanie Sysman, e' adesso accolta con tutti gli onori anche dalla maggior parte della stampa piu' ritrosa. Per posta elettronica la giovane co-fondatrice (ex free-lance specializzata sulla confluenza tra tecnologie e cultura) ha risposto ad alcune nostre domande sulla struttura del giornale. "Fondamentalmente e' la pubblicita' la nostra fonte di finanziamento. Stiamo pensando di mettere in piedi delle forme di sponsorship che pero' sono accordi piu' complessi da stringere. Un buon esempio di quello che abbiamo fatto sinora in questo campo e' la serie di lunghe recensioni ai "classici" dell'era digitale, patrocinate da Ibm. Non abbiamo ancora cominciato a vendere i diritti di ripubblicazione per i nostri articoli, ma ci stiamo pensando. Per quanto riguarda l'ipotesi di far pagare i lettori, mi sembra molto remota ancora: non se ne parlera', credo, per i prossimi cinque anni. Detto questo, anche se non siamo ancora in pareggio, ci siamo sorprendentemente vicini". L'avventura di Feed era iniziata con una somma decisamente modesta: i 100 mila dollari iniziali erano stati racimolati attraverso amici e familiari. Recentemente sono intervenuti i cosiddetti "angeli", quei finanziatori professionali, esperti di start-up tecnologiche, prima appannaggio solo della Costa Ovest ed ora sempre piu' comuni anche su quella Est, con un aumento di capitale per 250 mila dollari. La struttura di Feed rimane pero' estremamente snella, con 5 dipendenti a tempo pieno, un part-time e uno stagista. Per oltre un anno e mezzo, comunque, la baracca e' stata tirata avanti - nella migliore tradizione della Silicon Alley - soltanto dai due fondatori che facevano, letteralmente, di tutto, compreso html, centralinisti e pulizie.

BOX SU ELECTRONIC NEWSSTAND

E' un impreditore-ragazzo Brian Hecht, che da poco piu' di un anno e mezzo dirige e amministra "Electronic Newsstand" (http://www.enews.com), il sito che raccoglie e mette a disposizione del lettore, secondo varie formule, un numero impressionante di giornali e riviste. Laureando ad Harvard, il giovanissimo Brian fa uno stage al prestigioso mensile di cultura e politica "The New Republic" dove si fa notare dall'editore Martin Peretz. Dopo un posto come aiutante al desk nella redazione londinese della Nbc, passa alla Abc, curando la trasmissione di inchieste di attualita' "Turning Point". L'editore Peretz, che non lo ha perso di vista, gli propone di diventare caporedattore del sito Tripod (http://www.tripod.com), pensato per un pubblico di ventenni. Dopo poco si libera il posto lasciato a "Electronic Newsstand" dal suo fondatore Jeffrey Dearth. E' il gennaio del '96 quando Brian entra in gioco.
"All'inizio il sito era soprattutto pensato in funzione degli editori che potevano voler usufruire della nostra vetrina. Non aveva granche' presa sui lettori, perche' si limitava a un lungo catalogo da cui cliccare, eventualmente, sull'Economist o su Business Week" racconta. Restava il fatto di raccogliere tutte queste prestigiose testate in un unico posto, ma molti altri siti amatoriali facevano cose del genere. Bisognava offrire qualcosa che gli altri non offrivano, pensare a un prodotto piu' orientato al consumatore. Brian allora lo struttura in tre parti principali: la lista vera e propria, con i link alle riviste (circa 200 ospitate, oltre 2000 linkate); una parte cosiddetta "magazone" (gioco di parole con l'inglese "magazine", rivista) dove vengono presentati i contenuti di un certo numero di riviste, con una bella rassegna dei contenuti dei numeri in edicola e la segnalazione degli articoli considerati piu' interessanti; infine "e-news extra", la sezione dei contenuti originali, sviluppati appositamente dalla redazione di "Electronic Newsstand". E l'edicola prende quota.
"Credo che l'investimento iniziale per mettere in piedi quest'impresa nel 1994 fosse nell'ordine di pochissime centinaia di migliaia di dollari – spiega Hecht – : quando sono arrivato io lavoravano qui a tempo pieno cinque o sei persone. Adesso, in vista del robusto restyling che abbiamo realizzato, abbiamo assunto ulteriori persone: siamo in venti, di cui cinque o sei giornalisti che producono alcuni dei contenuti che sviluppiamo appositamente". Nella sezione degli "extra", ad esempio, ci sono delle rubriche fisse come "Hype Heaven" o "Hype Hell" dove sono commentati gli eventi piu' notevoli della settimana e collocati nell'una o nell'altra casella a seconda dell'insindacabile giudizio della redazione. C'e' anche l'ottimo sotto-sito Medianatomy (http://www.offtherack.com) che seziona impietosamente il funzionamento di giornali e televisioni, mettendo alla berlina certi vizi e imprecisioni del giornalismo tradizionale, con un sorta di controllo di qualita' continuo, molto salace e puntuale. Ci sono interviste fatte ai protagonisti dei media e dei new media e molte altre cose interessanti.
La forza del sito, tuttavia, sta nell'essere uno "one-stop-shopping", un posto unico dove trovare, sfogliare, abbonarsi a innumerevoli riviste di qualita'. I servizi che le varie testate possono ricevere sono di vario tipo: se non vogliono occuparsi minimamente di tutte le scocciature telematiche (struttura del sito, scelta del Web designer, del service provider che lo prendera' in carico, etc) eppure essere online in una vetrina frequentata, "Electronic Newsstand" puo' seguire tute queste fasi e ospitare la testata (come fa per il sofisticato mensile "New Yorker") e il prezzo per questa opzione, largamente variabile a seconda se si tratti di un settimanale o un mensile, se si vogliono tutti gli articoli in rete o solo una piccola selezione, se si vuole offrire la possibilita' di fare ricerche nell'archivio, etc, varia dai 10 ai 30 mila dollari (da 17 agli oltre 40 milioni, cifre sempre assai basse rispetto a un vero sito autonomo e realizzato con gli ultimi ritrovati della tecnologia). Se invece la formula prescelta e' quella del co-host, come succede per the Economist e Business Week per esempio, che hanno entrambi dei siti propri, "Electronic Newsstand" si limita a rafforzare la presenza online di quelle testate, offrire un canale supplementare dove eventualmente abbonarsi, e per tutto questo le cifre richieste sono significativamente piu' basse. "Il numero di abbonamenti che otteniamo via ENews e' minimo (circa 20 alla settimana e 360 accessi alla pagina al giorno) – spiega John Seley, direttore della diffusione all'Economist – ma e' una buona cosa che la nostra testata vi figuri". L'ultima possibilita' e' di apparire dentro l'edicola elettronica solo con della pubblicita' mirata o con delle iniziative editoriali saltuarie: cio' costa ancora meno, nell'ordine di un migliaio di dollari (un milione e ottocento mila lire).
Con questo diversificato modello di business "Electronic Newsstand" ha chiuso il '96 con introiti intorno ai 400 milioni di lire, provenienti per il 62% dalla tariffe richieste per l'hosting di vario tipo; il 26% dai banner pubblicitari ospitati e il 6% da proventi derivanti da abbonamenti. "Per il '97 arriveremo quasi a 2 miliardi – assicura Brian – potenziando fortissimamente il versante abbonamenti, che dovra' costituire piu' del 50 % delle nostre entrate. Le preoccupazioni sulla sicurezza delle transazioni online scompariranno completamente e noi siamo in grado di assicurare a chi si abbona a una delle riviste che ospitiamo di fargli avere il prezzo piu' basso". Tra le nuove funzionalita' ci sara' la costruzione di newsgroup tematici e il potenziamento dei servizi e-mail su richiesta: "Vi interessa lo sport?" vi chiedera' un bottone sullo schermo. Se risponderete di si' ogni giorno vi arrivera' a casa una rassegna del meglio che e' uscito sulla stampa in quel settore. Non solo: la redazione vi consigliera' anche nuove letture: "se vi piace "The New Republic" potrete apprezzare anche "The Nation" e cosi' via.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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