Caffe' Europa  
 

 





Subject: la pubblicita' in redazione (l'unita', 971029)

R. S.

 

 

 


Per i reporter piu' blase', la dichiarazione di morte presunta dell'Etica e' stata una pura formalita': "Erano anni che mancava dalla redazione, eravamo abituati a fare senza...". Con tutte le cose serie che succedono, tanto baccano per una lettera che mette nero su bianco un fatto notorio suonava fuori luogo, "no big deal" insomma, niente su cui fare una tragedia. Eppure in quella paginetta di istruzioni che la PentaCom, agenzia pubblicitaria della compagnia automobilistica Chrysler (quinto acquirente di spazi pubblicitari sui periodici), ha fatto pervenire a una cinquantina di direttori di riviste americane, ci sono i sintomi di una malattia terminale di quello che usavano chiamare il "quinto potere": "Nello sforzo di evitare potenziali conflitti, si richiede che la Chrysler Corporation sia allertata in anticipo di qualsiasi contenuto editoriale che in ogni modo abbia a che fare questioni sessuali, politiche o sociali o che, altrimenti, sia presentato in maniera provocatoria o offensiva. Di ogni numero che contenga pubblicita' che la riguarda, Chrysler dovra' ricevere un riassunto scritto che sintentizzi i principali articoli. Questi sommari dovranno pervenire a PentaCom prima della chiusura in modo da dare a Chrysler un ampio lasso di tempo per controllarli e decidere eventualmente di spostare l'apparizione della propria pubblicita'... Come accettazione di questa lettera chiediamo che lei o un altro responsabile della pubblicazione la firmi in calce e ce la restituisca non oltre il 15 febbraio". Un brutto momento per molti colleghi di lungo corso, usciti da molte pressioni e innumerevoli tempeste con la camicia stazzonata ma la faccia pulita, presentabile allo specchio. "E' una novita' - garantisce Milton Glaser, co-fondatore del settimanale "New York" - avra' un effetto devastante sull'idea della stampa libera e investigativa. Se la Chrysler l'avesse vinta non ci sarebbe motivo di sperare che gli altri pubblicitari non domandassero lo stesso trattamento".
Piu' o meno risalente, il bradisismo che ha provocato il continuo abbassamento delle pareti che dividevano redazioni e marketing ha raggiunto oggi livelli di guardia. Il numero di settembre-ottobre della "Columbia Journalism Review", osservatorio sul dover-essere della professione, mette in copertina una faccia la cui bocca e' sigillata da una chiusura lampo: "Zip It!" e' il titolo, come dire "Chetatevi, e' chi vi da' da mangiare che ve lo chiede!". Si inizia dalla Chrysler ma la perlustrazione fa capire quanto l'ultima vicenda sia stata soltanto una cristallizzazione, l'ultima impudenza di committenti che non hanno tempo da perdere con l'ipocrisia del bon ton. Poco dopo che il bimestrale andasse in edicola la cronaca si incaricava gia' di arricchire la casistica. Una ristrutturazione al "Los Angeles Times" prevede che il direttore debba render conto non solo all'editore ma anche all'amministratore delegato e gli e' stato affiancato un general manager preso dal marketing, ma con delega sulle news. Non solo: il giornale sara' riorganizzato in maniera che ogni sezione (interni, esteri, cultura, etc) dovra' avere una propria autonomia gestionale - con propri responsabili commerciali - e dovra' dimostrare di essere redditizia. "Certo il giornalismo deve cambiare - ha commentato sul "New York Times" Tom Rosenstiel, direttore del Progetto per l'Eccellenza nel Giornalismo, affiliato alla Columbia University -, la diffusione della carta stampata e' andata giu' del 10 per cento negli ultimi 10 anni, ma l'approccio alle notizie orientato al mercato e' gia' stato tentato in passato e i risultati sono stati spesso disastrosi". Se non basta l'argomento morale, quindi, e' bene calcolare che vendersi non conviene. Alla fine del secolo scorso il pur leggendario Joseph Pulitzer, eponimo del massimo premio per ricompensare la bravura nella professione, decise di tentare un giornalismo indipendente perche' si rese conto che in quel modo poteva conquistarsi un maggior numero di lettori.
Eppure i tentativi delle compagnie di malleare il contesto in cui inserire i loro messaggi sono stati continui e sfacciati. Recentemente il responsabile di una grossa agenzia pubblicitaria ha fatto sapere a "Time", "Newsweek" e "U.S. News" che li avrebbe monitorati per alcuni mesi. Alla fine, giudicando da come i tre maggiori settimanali avrebbero trattato il settore industriale cui appartiene il proprio cliente, avrebbe deciso su quale investire l'intero budget prima spartito tra i tre: "Newsmagazine avvisato, mezzo salvato". Nel giugno del '95 il settimanale "The New Yorker" aveva fatto l'errore di piazzare un'inserzione pubblicitaria della Ford vicino a un lungo pezzo che conteneva alcuni testi violenti e volgari di canzoni rap: la casa automobilistica l'ha punito togliendogli pubblicita' per sei mesi. Nell'aprile di quest'anno "Esquire" aveva programmato la pubblicazione di un lungo racconto di David Leavitt, un tema omosessuale con un linguaggio a tratti forte. L'editrice aveva preannunciato che Chrysler non avrebbe gradito e il direttore, con eccesso di zelo, aveva cancellato il pezzo adducendo imbarazzati problemi redazionali. Il caposervizio della cultura, Will Blythe, ha presentato immediatamente le sue dimissioni: "Non mi regge lo stomaco" ha dettagliato nella lettera di dimissioni. Ma si tratta di un'eccezione.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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