Caffe' Europa  
 

 



Subject: michael dertouzos: what will be? (virtual, 97)

R. S.

 

 

 


La scena si svolge nell'allegra casa di Agatone, Atene, 360 avanti Cristo. Apollodoro, su insistenza degli ospiti tra cui Socrate, racconta la teoria sull'origine dell'alchimia amorosa appresa da Aristodemo. All'inizio, infatti, i sessi erano tre e le persone avevano due facce, quattro braccia, etc etc Questi esseri umani erano tanto potenti che decisero di scalare i cieli e sfidare gli dei. Zeus allora li puni', tagliandoli a meta'. Da qui si spiegherebbe il fatto che da allora trascorrerebbero la loro vita a cercare la loro altra meta'. Di qui la ricerca di un legame di affetti che ricostituisca l'unita' originaria, che riesca a dare un senso a una vita altrimenti mutilata, sterile. Sara' perche' e' anch'egli greco - come ama ripetere piu' volte in ogni conversazione -, sara' la consuetudine con i dialoghi di Platone come "Il Simposio" che qui abbiamo ricordato, sara' l'infanzia trascorsa nelle strade affollate intorno al mercato delle pulci di un'Atene spaventata dalla guerra, cosi' vicino all'Acropoli degli dei e cosi' incline alla speculazione sulle cause ultime delle cose, sara' per tutti questi motivi e per molti ancora che il professor Michael L. Dertouzos, direttore del Laboratory for Computer Science del Massachusetts Institute of Technology (MIT) - la moderna fucina degli dei della cosmogonia del nuovo millennio - ha messo a punto una sua filosofia che, soprattutto, non tollera la dicotomia tra umanesimo e tecnologia, tra humies e techies, come gli piace chiamarli. Nel suo libro, "What Will Be", appena uscito negli Stati Uniti (HarperEdge, pp.336, 25 dollari) con la prefazione di Bill Gates, Dertouzos spiega quali saranno gli strumenti che cambieranno la vita individuale e la vita collettiva delle persone da qui ai primi decenni del XXI secolo. Con noi, che lo abbiamo intercettato in uno dei suoi passaggi newyorkesi, il professore ha accettato anche di lanciarsi in altre previsioni e di ragionare - "tra europei e' piu' facile" - sull'effetto generale che la cosiddetta Rivoluzione Digitale avra' sulla societa'.

Professore, vuole spiegarci questa storia degli humies e dei techies?
"E' un errore che risale all'Illuminismo, quello di dividere rigidamente le competenze, la metafisica dalla ragione. Sono sempre stato intrigato invece dall'idea di riunire gli opposti (ancora la filosofia: ricordate Eraclito, il filosofo dei contrari, quello che diceva che tutto scorre, panta rei, e che tutti gli opposti venivano armonizzati dal logos, dal discorso?, ndr): fede e ragione, arte e tecnologia, creativita' e analisi, umorismo e serieta'. Tutte apparenti contraddizioni che, se considerate insieme, sviluppano una potenza molto maggiore di quanto riuscirebbero a fare se prese singolarmente. La stessa cosa accade per gli humies e i techies: e' una convenzione culturale cosi' radicata nel nostro modo di pensare che e' assolutamente normale che, a partire dalle scuole elementari, ci si aspetti che un bambino bravo in matematica non sia forte in letterature e viceversa. E' una cosa tenera quando la mamma, parlando del figlioletto che non sa fare le moltiplicazioni, lo scusi dicendo "Pero' che bei temi sa fare..." certo, ma sbagliata: perche' rafforzare, invece che cancellare, questa idea? La societa' che ci aspetta sara' cosi' complessa che persone dimezzate secondo questo antico crinale non potranno piu' trovarcisi a loro agio. Avremo certo bisogno di specialisti nell'uno e nell'altro settore, ma per affrontare adeguatamente le sfide che il nuovo mondi ci presenta quotidianamente si dovra' essere in grado di ragionare con le due sensibilita': equazioni e poesia, sia per progettare un'automobile del XXI secolo che per decidere dove piazzare un impianto nucleare, per decidere il piano urbanistico di una citta' o per gestire una grande organizzazione, per fissare le politiche per la privacy di un nuovo sistema di assistenza sanitaria e molto altro ancora ci troviamo inevitabilmente di fronte a questioni allo stesso tempo tecnologiche e umanistiche". La Rivoluzione Digitale, insomma, non riguarda i computer, riguarda le persone che quei computer utilizzeranno. Ed e' per questo che - suscitando uno scandalo cui la stampa statunitense ha dato largo spazio - Dertouzos, capo del laboratorio leader della ricerca sui computer, maestro della maggior parte dei responsabili della maggior parte delle grosse aziende informatiche, se ne e' uscito con un attacco frontale a come i computer sono fatti.

Perche' i computer in circolazione sono sbagliati?
"Perche' sono troppo complicati, sia difficili da usare che usati male. C'e' certo un'attitudine ancora immatura da parte degli utenti: pensate ai camerieri che segnano le ordinazioni sul loro vecchio blocchetto di carta, vanno al terminale e riscrivono tutto, una seconda volta, dentro al calcolatore che dovra' preparare il conto. Ma pensate piuttosto agli errori di progettazione... E' un circolo vizioso che si avvita su se stesso. Ci sono troppe funzionalita' inutili, l'utente quindi - pur non facendosene di niente- ha troppo da imparare: i manuali per i software contenuti nel mio computer, tanto per fare un esempio, prendono tanto spazio quanto un'intera Encyclopedia Britannica. Non solo: spesso queste macchine ipertrofiche prendono il sopravvento sullo stesso utente. I continui upgrade che le software house riversano sul mercato [e qui probabilmente il Signore di Redmond si e' mangiato le mani per aver concesso quella pur breve prefazione!] sono spesso pretestuosi e, a fronte di un'onerosa occupazione di mega ed energie del computer riescono a sdebitarsi malamente con qualche decorazione in piu' o con un numero sempre maggiore di font per ricamare i vostri testi. per chiamare tutto questo user-friendly ce ne vuole!"

Quale sara' allora l'interfaccia davvero amichevole nel prossimo futuro?
"Ci saranno molte nuove e intuitive interfacce possibili e possiamo pensare senz'altro a tute speciali che convoglieranno, un po' come succede oggi con i guanti della realta' virtuale, la vostra volonta' alla macchina che eseguira'. Detto questo l'interfaccia che davvero mi sembra piu' promettente senza essere altrettanto pirotecnica e' quella fornita dalla voce. Nel paragrafo del mio libro intitolato "Parlando al vostro computer" sviluppo ampiamente l'argomento. In breve: il discorso e' naturale (la maggior parte del tempo comunichiamo con gli altri attraverso l'uso della parola parlata) ed e' anche una possibile interfaccia sulla quale si sta studiando da molto tempo, come fa al Mit il mio ex-allievo, il dottor Victor Zue con il suo sistema di prenotazioni aeree voice-activated di nome Pegasus.

Ma quando lei pensa a un computer semplificato pensa, come Larry Ellison, a una scatola da 500 dollari che si chiama Network Computer?
No, sinceramente devo dire che non mi aspetto molto da questo tipo di macchina. Credo che conquistera' sicuramente una fetta di mercato, ma sara' quasi esclusivamente quello aziendale. Per il segmento consumer non vedo il vantaggio: prima di tutto con quella memoria che offre non si puo' fare molto - per usare un eufemismo - e poi la differenza di prezzo reale non giustifica il sacrificio se si considera che realisticamente se ne trovano in giro sui 700 dollari mentre intorno ai 1000 si puo' acquistare un vero e completo Pc. Per come la vedo io e' come scegliere di prendere l'autobus invece di guidare la propria automobile: il Nc, con la sua liberta' vigilata, e' l'autobus, il Pc la vettura. E' chiaro che nelle aziende l'idea di poter controllare tutto il traffico in maniera centralizzata non puo' che far piacere e comportare anche dei probabili risparmi, ma nelle persone che si mettono davanti al monitor da casa difficilmente puo' suscitare entusiasmo. Per di piu', essendo cosi' dipendente dalla rete, quell'infrastruttura che sappiamo essere ancora lungi dalla perfezione, l'utente non ha vicine, ha portata di mano, tutte le cose di cui ha bisogno: questo e' contrario alla natura umana, e' un ritorno agli anni '70 del time-sharing, quando i cosiddetti "terminali stupidi" vivevano della luce riflessa del mainframe".

Ma come si spiega che la compagnia che piu' delle altre si era sforzata di fare computer semplici, la Apple con i suoi McIntosh, si trovi adesso nella grave crisi che conosciamo?
"Non si tratta di un paradosso: tutto si spiega con il fatto che la Apple ha fatto almeno due colossali errori. Uno e' stato quello di pensare di se stessi di essere gli unici, talentuosi e privilegiati litterati dell'era digitale e, due, quello di aver chiuso il proprio standard. Queste non sono cose che si fanno nel business. Per di piu' dopo aver creato la propria straordinaria Wimp (Windows Icons Menu Pointing) interface - e siamo nel 1984 - non hanno piu' fatto granche'. Le grandi opportunita', parlo del Newton e di Internet, non sono state sfruttate adeguatamente. Spero comunque che non sia troppo tardi per rimediare".

E dei tentativi di convergenza del computer con la televisione che cosa ne pensa? Il WebTv, ad esempio, le piace?
"Direi proprio di si: e' un aggeggio che, per 300 dollari, vi permette di navigare il Web, che non e' cosa da poco. L'ho provato anch'io e devo dire che e' ben pensato, e' semplice: ha solo le cose che servono, niente di piu'. Queste due carateristiche - prezzo basso e accesso completo al Web - gli dovrebbero garantire una nicchia molto ampia di mercato".

Ma non crede che esso possa alimentare, proprio per la sua estrema semplicita', per la lista di bookmarks pre-selezionati che offre, una sorta di sindrome da couch potato, di inebetimento da schermo catodico?
"Non lo credo affatto. E' vero che si puo' scegliere di essere piu' passivi usando il WebTv invece che un browser normale dentro un Pc ma la gente puo' fare tranquillamente la scelta opposta: quando c'e' la curiosita' e la passione le persone sanno essere molto attive e sono quasi sempre piu' intelligenti di quanto si racconti. Pensi a quanto sanno essere inventivi e attivi gli italiani quando si tratta di conquistare una donna e cose del genere. Tutto quello che serve per innescare l'attivita', la voglia di fare, e' una passione (non a caso la pubblicita' del WebTv ripete "all you need is a tv, a couch and a passion", ndr Per i lettori affezionati, rimandiamo all'articolo in Virtual …***per favore, metteteci voi il numero e il titolo del pezzo sul WebTv***)".

Quindi tutta la polemica sul push e sul pull - immagino - non la convince?
"Non le do gran credito in effetti: sono discorsi che si continuano a sentire, pur cambiando le parole, dagli anni '70, dall'epoca dei "terminali stupidi". Ora: l'architettura client/server, tipica delle aziende, cambiera' in quella che io chiamo l'Information Marketplace. Ognuno, sempre di piu', fruira' e generera' informazione. Ci sara' questa comunicazione a due sensi che rendera' superfluo qualsiasi dissertazione su chi spinge e chi tira, su chi parla e chi ascolta e, invece di client e server, tutti saranno contemporaneamente "clervers"".

Quando pronuncia la sua definizione di ambiente digitale al professore si illuminano gli occhi. La prima volta che l'aveva usata era infatti in una lecture preparata per un seminario che si tenne l'11 e il 12 dicembre 1980 a Washington D.C., poi trascritta nell'81, con il titolo inequivoco "Information marketplace" nella newsletter accademica "Electronic Mail and Message Systems - Technical and Policy Perspectives". Dopo essersi rischiarato la voce, Dertouzos aveva esordito cosi': "Per Information Marketplace io intendo l'insieme di persone, computer, comunicazione, software e servizi che saranno coinvolti nelle transazioni di informazioni - sia commerciali che interpersonali - nel prossimo futuro. Queste transazioni coinvolgeranno l'elaborazione e la comunicazione delle informazioni sotto gli stessi moventi economici che oggi muovono i beni materiali e i servizi nel mercato tradizionale. Il Mercato dell'Informazione esiste gia' in una forma embrionale. Mi aspetto che cresca a gran velocita' e che ci riguardi tutti in maniera importante cosi' come e' successo per i prodotti e i processi innestati dalla Rivoluzione Industriale. Per rendere piu' puntuali queste astrazioni, tentiamo di immaginare a cosa potrebbe assomigliare l'Information Marketplace 20 anni da adesso...". Gli esempi seguono, incrociano la cronaca di questi giorni e spesso l'anticipano. Non sono tutte rose e fiori: gia' si facevano presenti rischi di "human displacement" perche' le macchine avrebbero sostituito gli uomini in tante attivita', di "dehumanization" generale delle relazioni tra persone e di "mental atrophy" se si devolvera' troppo al computer. Ma il quadro generale resta entusiasmante, ed e' raccontato, in maniera convincente, da un'entusiasta con i piedi per terra. Le parole stentoree pronunciate allora in quell'aula, risuonano ancora. La loro eco aggiornata, per il prossimo ventennio, e' stata fissata invece nelle pagine del libro, che risponde largamente alla domanda "dalle cento pistole" che campeggia in copertina.
Per guardare il futuro negli occhi bisogna essere disposti a togliersi le lenti che i semplificatori e i costruttori di miti hanno fabbricato per noi. Il primo dei miti dell'era dell'informazione di cui bisogna fare piazza pulita e' che miracolosamente l'information technology colmera' il divario tra ricchi e poveri. Il secondo e' quello che promette che l'It portera' con se' un mercato perfetto, senza frizioni, dove produttore e cliente avranno relazioni senza intermediari. Il terzo e' che la rivoluzione digitale si starebbe muovendo troppo velocemente per poterle stare dietro. Il quarto invece riguarda la minaccia di uniformazione culturale che la rete costituirebbe. Il quinto e' che le nuove tecnologie richiederebbero nuove leggi speciali e diverse da quelle che conosciamo. Tutto e' piu' faticoso e lento di quanto il falo' delle vanita' dei media e delle imprese che lo attizzano vorrebbe far credere. In ultimo il professore lancia una provocazione che forse nessuno raccogliera': "Perche' i paes industrializzati non costituiscono dei Corpi Virtuali di Solidarieta', una sorta di alleanza internazionale come la Croce Rossa o i Peace Corps che opererebbero all'interno dell'Information marketplace? Immaginate un dottore delo Sri Lanka che guadagna molto poco rispetto a un collega americano. Ci sono milioni di persone in America che sono completamente scoperte da qualsiasi assistenza sanitaria. Le tecnologie permettono che quei dottori curino questi pazienti. D'altra parte, i molti medici statunitensi in pensione potrebbero dedicare qualche ora della loro settimana a diagnosticare via rete le malattie di americani e non. Immagino gia' le proteste: "Cittadini di serie B avrebbero un'assistenza da terzo mondo..." ma sono problemi che possono essere risolti, con organizzazioni che garantiscano un livello di qualita' opportuno. Pensate invece a un mercato dell'informazione che puo' funzionare da straordinario strumento per mettere in contatto la naturale voglia di aiutare di alcuni con il naturale bisogno di essere aiutati di altri. Questo potrebbe fare la differenza!". Il grande mercato della solidarieta', forse, sara'.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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