Caffe' Europa  
 

 



Subject: internet: destra o sinistra?, (reset, 9604)

R. S.

 

 

 


La domanda ha il sapore ineffabile della quæstio teologica: "Qual e' il sesso politico di Internet?" La risposta non ha niente a che vedere con un’oziosa ansia classificatoria, in un mondo dai punti di riferimento sempre piu' scivolosi, o con ubbie' intellettualistiche. Si tratta di tentare di capire cosa pensa un paese parallelo, con una popolazione che oscilla gia' tra quella della Polonia e quella della Francia, ma con un tasso di crescita degno del piu' prolifico stato africano: la Rete. Una localita' di cui sempre piu' persone nel mondo hanno deciso di assumere la nazionalita' e in cui traslochera', negli anni a venire, un numero straordinario di attivita' che oggi svolgiamo nelle nostre citta' di cemento e scappamenti d’auto. L’interrogativo riveste cosi' una ragion d’essere assai piu' concreta di quanto potesse inizialmente sembrare e si biparte in due distinte sottoquestioni, una piu' quantitativa, accidentale, l’altra piu' qualitativa, ontologica in qualche maniera: il popolo cyber e' di destra o di sinistra? E la Rete in se'?

Per stabilire le intenzioni di voto di un elettorato, bisogna conoscere di che uomini e donne si tratti. Gia' quantificarne le dimensioni risulta estremamente arduo. I censimenti sui cittadini di Internet, sinora, sono stati quanto di piu' approssimativo si possa immaginare: da tempo immemorabile si parla di 30 milioni di utenti nel mondo, basandosi su incerte estrapolazioni di societa' di rilevamenti. "La maggior parte di questi numeri - rilevava un recentissimo Time - sono poco piu' che tirati a indovinare, in maniera molto sofisticata alcuni, neanche tanto altri". Ma poche settimane fa una campionatura dell’autorevole Nielsen Media Research, che fa rilevazioni sul pubblico televisivo, ha fornito i primi dati con basi scientifiche meno carsiche di quelle cui ci avevano abituato: circa 37 milioni di persone, solo tra Canada e Stati Uniti, hanno accesso alla Rete. Di questi, almeno 24 milioni hanno usato Internet negli ultimi tre mesi (una quota che rappresenta l’11% della popolazione che va da 16 anni in su). In media questi utenti sono stati collegati circa 5 ore e mezza alla settimana: la ricerca rimarcava - con qualche preoccupazione? - che parte di questo tempo era "senza dubbio stato sottratto da quello normalmente impiegato per guardare la tv".

Per quanto utile, in un mare di illazioni, il dato non dice niente sul profilo dei cybernauti. Le analisi statistiche piu' accreditate non aiutano molto. A meta' del 1994, una rassegna fatta da tre ricercatori universitari presentata all’Annual Meeting of the American Political Science Association asseriva che l’affiliazione partitica dei cittadini telematici corrispondeva a grandi linee a quella reale: 36% per i Democratici, 32% per gli Indipendenti e 23% per i Repubblicani. Le informazioni pero' non si fermavano qui: i “navigatori” avevano un buon livello di istruzione, erano per l’80% maschi , di cui l’80% bianchi (constatazione questa tendenzialmente ribadita da un’altra rilevazione che, scrutinando gli utenti del World Wide Web, dava valori corrispondenti del 90 e 87%). "Se c’e' qualche verita' nell’opinione comune che il ribaltamento nelle elezioni del ‘94 [quelle che hanno portato i conservatori alla maggioranza in Congresso, NdR] - notava Jay Kinney in un’articolo su Wired - rifletteva la frustrazione dei maschi bianchi che si sentivano ideologicamente naufraghi, e' ragionevole ritenere che lo stesso raggruppamento manifesti on-line".
E gia' nel febbraio di quest’anno un sondaggio pubblicato da Newsweek dava dati assai divergenti dalla prima ricerca: gli elettori on-line sarebbero stati per il 48% di tendenze repubblicane, 24% democratiche e 28% indipendenti o altro. Calcolare una media parrebbe una via impraticabile. Una difficolta' che un campionamento informale attraverso un questionario spedito per posta elettronica sempre dalla rivista Wired conferma: etichette tradizionali come "liberal", "progressista", "libertario", "anarchico" e "conservatore" hanno totalizzato ognuna un punteggio variabile dal 10 al 17%, mentre una grossa fetta di risposte ha fatto emergere categorie inedite e, spesso contraddittorie in termini, tipo "conservatore progressista", "populista virtuale", "progressista orientato al mercato" e - anteprima assoluta per gli schermi delle info-highways - "repubblicano anarco-emergentista". Tutto chiaro.
La soluzione proposta da Kinney nel pezzo citato s’insinua in una terza via che riprende un’attributo appiccicato sin dalle origini sull’universo cyber: "Sebbene internazionale in ampiezza, la Rete e' stata dominata sinora da voci e siti americani. Di conseguenza, forse la sua volatile propensione politica non non e' cosi' nuova dopotutto, ma piuttosto la ricomparsa di un fiero anarchismo americano - una filosofia da pioniere-colono fatta di fiducia in se stessi, azione diretta e decentralizzazione su piccola scala, il tutto tradotto in pixels". Paradossalmente, anche se ha preso origine piu' di un quarto di secolo fa da fonti governative, Internet si sarebbe dimostrata "la cosa piu' vicina a una societa' anarchica su larga scala funzionante che la cultura umana abbia mai visto".

Con l’aiuto degli strumenti di ricerca informatici che perlustrano la Rete, passando al vaglio milioni di siti on-line sulle tracce delle parole chiave immesse - in questo caso left, right, progressive, conservative, socialism, fascism, politics -, si ricava una compilazione che fa fare pochi passi avanti: ad una raccolta di risorse dal titolo esplicito (The Right side of the Web) che annovera home-page dedicate a Rush Limbaugh, Newt Gingrich e ad altri paladini della destra dura ma parlamentare, se ne affiancano molteplici altre dai nomi e intenti meno presentabili. E' il caso della Aryan Nation, della Stormfront White Nationalist Resource Page (la citazione del giorno di qualche tempo fa era, tanto per capirci: "Il colore della tua pelle e' la tua uniforme in questa battaglia finale per la sopravvivenza dell’Occidente", partorita dal fervido ingegno di tale George Lincoln Rockwell), Cyberhate e cosi' via.
Di contro a questi siti pero' si trovano anche svariate risorse di sinistra: oltre agli zapatisti messicani (cfr Reset n° 18), gli archivi di Noam Chomsky, monumentali raccolte di opere di Marx, il sito del Progressive Labour Party e molti newsgroups dalle intenzioni indubitabili: alt.society.revolution, alt.politics.radical-left, alt.activism, alt.activism.death-penalty, alt.fan.noam-chomksy solo per citarne alcuni.

In Italia la par condicio telematica si realizza con siti del Pds e dell’Ulivo contro quelli di Forza Italia e dei Club Pannella, ospiti storici degli spazi elettronici della Bbs Agora'. Nelle ultime elezioni presidenziali i francesi potevano manifestare il loro sostegno agli antagonisti Chirac e Jospin anche via modem: nello stesso modo erano messi a disposizione degli elettori anche i programmi del candidato gollista e di quello socialista. In America forze diametralmente opposte si contendono un diritto di prelazione sui territori elettronici: gia' il populista Ross Perot aveva predicato lodi della democrazia elettronica durante la campagna del ‘92 e praticato il comizio multiplo con futuribili videoconferenze. Poi il tandem democratico Clinton-Gore si era fatto carico pubblicamente del futuro delle "autostrade elettroniche", facendone un punto strategico dell’agenda governativa. Quindi la destra senza incertezze di Newt Gingrich ha ripreso lo svantaggio iniziale: lo speaker conservatore ha imposto al terzo punto degli obiettivi da raggiungere quello di "realizzare la transizione verso l’era dell’informazione" conscio che "una delle maggiori sfide del XXI secolo sara' il sanare la frattura tra cultura scientifica e cultura umanistica, cosi' da poter parlare un linguaggio comune". E poi, galvanizzando un bel pezzo d’America, ha annunciato la sua Provvidenza informatica: "Voglio che ogni bambino abbia un computer portatile", mentre il suo partito votava in Congresso tagli selvaggi per il sistema scolastico di base.
Se la situazione non fosse sufficientemente confusa ricordiamo il momento topico del congresso di Brighton dell’uomo nuovo del laburismo inglese. Il progetto di Tony Blair per reinventare la Gran Bretagna e' antitetico rispetto a quello dei conservatori d’Oltreoceano tranne per un punto, in cui lo ricalca stupefacentemente: all’interno di un’iniziativa pubblico-privata, il Labour ha gia' avviato "discussioni con le autorita' dell’istruzione pubblica e con le societa' informatiche loro fornitrici su come assicurare che ogni ragazzo abbia accesso a un computer portatile". La corsa all’apposizione della propria bandierina sulle vette telematiche e' delle piu' agguerrite e trasversali: "gli ultimi arrivati" all’Internet party - sembra essere opinione diffusa - "saranno male accontentati".

Anche un ottimo saggio apparso sull’Economist registra la difficolta' di individuare il colore politico dominante presso i frequentatori e laudatores della "madre di tutte le reti": "Internet attrae gente di tutte le inclinazioni: i progressisti le danno il benvenuto come strumento di emancipazione per i diseredati, i conservatori la amano per la sua natura di libero mercato". Furio Colombo su Repubblica del 25 settembre, acutamente passa in rassegna le concentrazioni di forze di reazione e di progresso sulla piazza cibernetica, ma si congeda dal lettore con una domanda inevasa: "l’occupazione della Rete da parte di una maggioranza di destra populista, libertaria e fortemente anti-governo e' il frutto di una naturale affinita' politica con la frontiera elettronica o e' solo un riflesso dello spirito del momento in America?" Gettata ormai la spugna di fronte all’anguillesca multiformita' della sua popolazione, il tentativo ultimo resta proprio quello di un’expertise politica della Rete in se'.
Internet come strumento di comunicazione del terzo millennio - a differenza della televisione nell’analisi di Norberto Bobbio (cfr La sinistra nell’era del karaoke, I libri di Reset) - appare naturaliter di sinistra. Perche' da' voce al pensiero minoritario, offre un megafono agli esclusi, con una difficile operazione centripeta porta alla ribalta le periferie. Almeno per ora.
Perche' costa poco: il tutto sta' nell’avere accesso a un computer (sempre di piu', anche nelle scuole o comunque alla portata di una piccola comunita'), poi il resto e' questione di poche centinaia di mila lire l’anno, da dividere eventualmente tra piu' utenti.
E' nata come comunita' solidale: chi e' in difficolta' e chiede aiuto, trovera' sicuramente qualche sconosciuto che gli dara' una mano. E non solo a trovare notizie ma anche programmi e opportunita', offerte per lo piu' gratuitamente in Rete.
Puo' ridurre il divario di capitale di conoscenza tra il Nord e il Sud del mondo: distribuisce le informazioni su scala planetaria, dove c’e' un cavo telefonico la' ci puo' essere Internet, portando sapere nelle localita' condannate ai margini dalla geo-politica.
Diminuisce la rilevanza dei fattori sovrastrutturali nell’efficacia della comunicazione: come spiegava bene Roberto Bissio, direttore dell’Instituto del Tercero Mundo di Montevideo, in Paraguay, su Le Monde Diplomatique del luglio 1994, "la partecipazione a un dibattito elettronico ha un carattere fondamentalmente democratico. Il punto di vista di una grande istituzione mondiale ha esattamente lo stesso peso, sul piano della rappresentazione visiva, di quello di un gruppo popolare che lavora al livello di un villaggio. Senza l’attrazione artificiale di una carta patinata o della policromia, coloro che leggono non sono sensibili che al valore degli argomenti".
La sua tesi ha scatenato dibattiti: "Se informazione e potere sono davvero sinonimi nel mondo attuale, decentralizzazione e creazione di reti sono i nuovi sinonimi della vecchia utopia che noi chiamiamo democrazia". La sveglia della storia verifichera' presto la sua precognizione digitale.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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