Caffe' Europa  
 

 



Subject: rischi e possibilita' di una democrazia elettronica (reset, 9511)

R. S.

 

 

 


A Washington, il quartiere dei Ministeri tiene le distanze, separato dal resto della citta' dalla Beltaway, una sorta di circonvallazione che gira intorno ai palazzi del potere. Quello sterminato serpente d’asfalto che include la burocrazia ed esclude i cittadini e' diventato metafora del processo di decisione politica nella capitale. Un noto columnist ha recentemente usato tre attributi, giustapposti a mo’ di sinonimi: "troppo segreto, troppo specialistico, troppo Beltaway".
Il miglior ponte per attraversare questo guado, l’unico raccordo che potrebbe rimettere in contatto "paese legale" con "paese reale", e' per molti proprio quello delle "autostrade dell’informazione". Rendendo possibile una forma nuova ed efficiente di partecipazione diretta - virtuale e interattiva - del popolo all’amministrazione della cosa pubblica, i cavi di fibra ottica sostituirebbero l’agora' ateniesi del V secolo avanti Cristo. Questa sarebbe l’autentica ricaduta politica della Rivoluzione Digitale. Ma non tutti sono d’accordo. Il nuovo, indubitabile, cordone ombelicale elettronico che potra' collegare governanti e governati rischia di impacciare gravemente le deliberazioni politiche, distorcendole, aprendo la strada a una legislazione emotiva e spesso ingiusta. La cyberdemocracy, malattia infantile della hyperdemocracy, puo' portare in se' il germe di un paradosso: troppa democrazia, nessuna democrazia.

La destra Usa si e' buttata sulla Rete con tempismo notevole: chi costruisce i primi insediamenti nell’Eldorado telematico godra' di una importante rendita di posizione negli anni a venire. E per stornare le accuse di cinismo che da piu' parti le arrivano (per lo smantellamento indiscriminato dello stato sociale), i tecno-conservatori americani propugnano all’unisono una mistica della democrazia diretta versione terzo millennio: "Ce ne freghiamo dei poveri? Ma come, se vogliamo dare un pc anche ai bimbi neri di Harlem preparandoli a votare un giorno schiacciando opportunamente qualche tasto!" Newt Gingrich, speaker repubblicano alla Camera, e' il centravanti di sfondamento di questa avanguardia agrodolce, i "conservatori del progresso": "Sposteremo il potere verso i cittadini, fuori dalla Beltaway". Il suo pensiero dominante e' che le nuove tecnologie applicate alla politica infliggeranno una ferita mortale ai potenti lobbysti di Washington. Per tagliare loro l’erba sotto i piedi, aprendo ai cittadini le porte del processo di law making, ha varato Thomas (in onore di Thomas Jefferson, il presidente delle prime biblioteche pubbliche, ma anche acronimo di The House Open Multimedia Access System): tutta la produzione della Camera sara' riversata anche su Internet, a portata di modem di tutti coloro che vorranno consultarla. "Sara' piu' difficile far passare disegni di legge che beneficino solo interessi ristretti: disseminare informazioni in tempo reale - ha dichiarato in una recente conferenza sponsorizzata dalla conservatrice Progress & Freedom Foundation - dara' a ognuno, e non solo ai superpagati lobbysti, accesso alle stesse informazioni".
In una riflessione di The Economist sul futuro della democrazia, si prospettavano due estremi da evitare e una linea di evoluzione ineluttabile. L’incubo: un Paese opportunamente collegato decide che le leggi si faranno a partire dalle proposte di ogni cittadino, votate poi da tutti, ogni sabato sera sulle autostrade elettroniche. "Mettiamo che venerdi' notte degli scontri razziali lascino a terra 12 bianchi. Internet mugugna, la posta elettronica scricchiola. Il giorno dopo arriva il responso: fuori tutti i pachistani, gli ispanici, gli algerini e i turchi", ipotizza amaramente il giornalista. Il sogno: i rappresentanti eletti non riescono per l’ennesima volta a ripianare il bilancio e affidano la soluzione del problema al popolo stesso. Sono presentate elettronicamente molte alternative: "dopo un paio di mesi di risposte contraddittorie e voti ripetuti innumerevoli volte, a forza di premere bottoni, bingo, un budget virtuosamente bilanciato viene fuori tra la soddisfazione della maggioranza". Niente di tutto questo e' verosimile che accada. Ciononostante, i meccanismi della partecipazione democratica - "allo stadio attuale di motore a vapore" - sembrano spingere per un cambiamento. L’elettorato e' molto meno incline a rinnovare una tradizionale deferenza a governanti di cui conosce limiti e peccati: l’informazione distribuita mette la classe politica a rischio sismico costante. Inoltre, la nuova possibilita' elettronica di democrazia diretta sembrerebbe meglio attrezzata a rispondere a "una delle principali debolezze della politica del nostro secolo: la prepotenza delle lobby, che ha gioco sempre piu' facile sulla scena de-ideologizzata del post-comunismo". Il numero dei protagonisti della politica attiva funzionerebbe da argine contro gli interessi di parte: "Quando i lobbysti si trovassero davanti un intero elettorato, corruzione e compravendita di voti diverrebbero tendenzialmente impossibili".

Una minuscola crestomazia delle campagne elettroniche sinora condotte autorizza piu' di un dubbio nei confronti della previsione di Gingrich e del settimanale inglese: le straordinarie possibilita' della telematica sembrano rivelarsi armi micidiali nelle mani dei gruppi di pressione di stanza a Capitol Hill o altrove. A seconda delle mani in cui cadranno, nasceranno nuove temibili specie di professionisti a pagamento, in grado di orchestrare in tempi minimi, incontenibili spedizioni punitive tecnologiche contro avversari politici. Pensate a Jack Bonner, "una voce in affitto". Il suo studio "Bonner and Associates" puo' sparare 10.000 fax per notte per caldeggiare un cliente candidato. La sua specialita' e' pero' un’altra: setacciando immensi database sulla popolazione dei diversi Stati, individua le persone che potrebbero dimostrare simpatia per la causa su cui sta lavorando. I suoi collaboratori chiamano questi potenziali simpatizzanti e li persuadono dei pericoli che correrebbero se la legge o il politico in questione passassero o no (a seconda dei casi), suggerendo loro di comunicare, "con le proprie parole", questi timori ai competenti uffici del Congresso. Per ogni chiamata generata Bonner guadagna dai 350 ai 500 dollari. E il tasso tecnologico della sua attivita' e' tutto sommato limitato: telefono e il software per gestire banche dati.
Fra i veri pionieri della nuova schiatta di contract killer della fibra ottica invece, Richard Hartman merita probabilmente il posto di maggior rispetto. Ingegnere informatico intraprendente, ha fondato assieme a sua moglie Reform Congress ‘94 che, in occasione delle elezioni di mid-term, ha messo fuori combattimento l’ex portavoce repubblicano Tom Foley. La sua efficientissima azienda familiare e' stata descritta da molti come il primo Political Action Commitee (PAC) americano del cyberspazio. L’indirizzo sul biglietto da visita che Hartman esibisce non deve trarre in inganno: il locale che aveva affittato si e' rivelato subito una perdita di tempo e di denaro, ci avra' messo piede si e no un paio di volte. Il lavoro viene fatto via fax e attraverso una Bulletin-board service, una capiente bacheca elettronica su Internet, che raccoglie e diffonde messaggi. E' finita l’epoca degli eserciti di volontari con orecchie arrossate dalla mole di telefonate e la lingua disidratata per le innumerevoli buste da sigillare. Gli Hartman lanciano la loro scommessa a fine agosto ‘94; la posta in gioco e' chiara: il mese dopo lo speaker Foley non dovra' essere riconfermato. I loro comunicati stampa arroventano i fax dei talk show radiofonici locali: "Ricordate che l’attuale portavoce non mantiene le promesse e ha votato per il bando delle armi d’assalto?", suggeriscono agli ascoltatori generalmente gia' disgustati dalla politica. Ai partecipanti a una fiera balistica che si svolge in Florida in settembre offrono gli spazi della loro Bbs per pubblicizzare in tutto il Paese la loro propaganda anti-Foley. Non solo: mettono anche a disposizione on-line un software che permette di stampare direttamente il materiale elettorale in formato poster. Hartman rammenta con piacere i giorni del loro vittorioso blitzkrieg: "Avevamo gli strumenti giusti per compiere un’operazione con pochi soldi".
Ma il loro caso rivela una realta' piu' estesa: l’inedita possibilita' per la gente di diventare protagonista di un attivismo efficace. La proibitiva trafila per l’accesso ai canali dei media tradizionali puo' essere risparmiata. Gli esempi si moltiplicano e suscitano piu' simpatia: e' il lobbying povero delle organizzazioni di diritti civili che hanno denunciato al mondo l’assassinio del brasiliano Chico Mendes, l’ingiusto e brutale imprigionamento di sindacalisti russi durante il putsch del ‘92, gli eco-disastri che si perpetuano in silenzio ai quattro angoli del pianeta. Mille soprusi altrimenti condannati al silenzio dei deboli. La Rete aiuta o danneggia la democrazia? Lo strumento e' potente, va maneggiato con cura: l’unica garanzia sta nel fatto che i costi d’accesso restino bassi. Solo a questa condizione potra' rappresentare una seria occasione di riscatto per gli svantaggiati.

E' certo che questa suggestiva linea diretta con il popolo puo' causare effetti perversi: nel megafono telematico le grida di chi vuol fare sentire la propria voce possono risultare assordanti. E le leggi passate sull’onda del trasporto popolare non garantiscono certo la soluzione piu' saggia: la campagna che ha portato all’approvazione della nota misura dei "three strikes you’re out" (per la quale in alcuni Stati nordamericani al terzo reato si rimane in carcere a vita) ha avuto una genesi completamente elettronica. Quando il diciottenne Kimber Reynolds fu ucciso da un compagno di studi, Ray Appleton, conduttore di un seguito talk-show e amico del padre del ragazzo, inizio' una insistente propiziazione via etere per una risposta esemplare a crimini del genere. I telefoni garrirono di sdegno, i fax prostrarono le impiegate dell’Amministrazione. Il Congresso e il Presidente impressero il sigillo della legalita' sulla volonta' di vendetta del Paese. "Nessun referendum con bottoni elettronici avrebbe lavorato meglio" rimarca deluso Robert Wright, su Time. E mette in guardia su come "una iperdemocrazia possa risultare troppo collegata per il suo stesso bene" ricordando la lezione dei Padri Fondatori. "Togliendo dalle mani del popolo il compito delicato di far le leggi, optando per la piu' riflessiva e praticabile democrazia rappresentativa, James Edison credeva di aver seppellito per sempre il suo fantasma piu' ricorrente, quello delle passioni popolari lasciate allo sbaraglio". La cyberdemocracy di fine millennio rischierebbe di offrirgli una risurrezione digitale.
Giovanni Sartori, politologo alla Columbia University, liquida bruscamente l’ipotesi: "non si puo' accettare un universo composto solo da attivisti o cittadini che sanno solo di tecnologia... una democrazia virtuale e' una democrazia che non c'e'. La democrazia diretta, invece, e' sempre stata concepita come una democrazia dialogante: le decisioni vengono prese cioe' parlandosi, ascoltando le idee altrui e spiegando le proprie. Se questo processo si riduce a schiacciare un bottone del telecomando, non abbiamo democrazia ma solo espressione di una volonta'... l'interattivita' immediata perde di contenuto e si trasforma in un pericoloso moltiplicatore di stupidita'". In un altro contesto John Stuart Mill (1806-1873) aveva avvisato: "Ci dovrebbe essere in ogni Costituzone, un centro di resistenza al potere predominante previsto dalla Costituzione stessa. Percio', in una Costituzione democratica, un nucleo di resistenza alla democrazia". L’alternativa, il filosofo inglese, l’indicava in caratteri dorati sul titolo del suo scritto: The representative government.


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

Home | Corso 1999 | Letture | Links | Caffe' Europa