Caffe' Europa  
 

 



Subject: le societa' che studiano internet (www.ilcappuccino.com, 971205)

R. S.

 

 

 


1. I NOSTRADAMUS DI INTERNET

Si racconta che si detestino, che i rispettivi uffici stampa supplichino i giornalisti con i quali hanno dei contatti di citarli a ogni costo nei loro articoli e si dice anche che, sovente, non manchino di ricordare all'interlocutore gli errori nelle previsioni che gi avversari hanno fatto. Una cosa e' certa: la competizione - tra le numerose societa' che ormai studiano il mercato dei new media - e' assai dura. La domanda alla quale sono chiamate a rispondere, d'altronde, e' cruciale: "Come si possono far soldi con Internet?" Bisogna comprendere dapprima dove sta andando la rete, quali sono i modelli di business che potrebbero adattarvicisi e proporli ai clienti (verificando poi che funzionino davvero). Ognuna di queste nuove Cassandre, evidentemente, ha le sue personalissime idee al riguardo ma, se non e' ancora chiaro chi fara' degli affari online, almeno una categoria l'hanno tutti identificata: esse stesse.

Il piu' ricco di questi think-tank del digitale e' probabilmente l'Idg Group (fondato a Framingham, nel Massachusetts, nel 1964) che ha dichiarato, per l'anno fiscale 1996, introiti nell'ordine dei 90 milioni di dollari solo per quanto riguarda Idc (la sua filiale di ricerca). Gli analisti qui sono oltre 375, sparpagliati in 49 uffici in 41 paesi del mondo e servono piu' di 3900 clienti.
Tuttavia, le societa' piu' citate sono quasi certamente Forrester Research (Cambridge, Massachusetts, 1983) e Jupiter Communications (New York, 1986). la prima, con i suoi 80 analisti, e' stata piazzata da Business Week nella recente lista delle 100 imprese americane in piu' rapida crescita. Della seconda si parla in un'intervista a parte.
Ma la foto di gruppo resterebbe cosi' largamente incompleta. C'e' Find/Svp (New York), i cui redditi sono stati, l'anno scorso, intorno ai 30 milioni di dollari e il cui recente sondaggio ha scoperto che "Internet sarebbe ormai una parte indispensabile della vita di 20 milioni di americani". Intorno al grande indovinello sul censimento della popolazione di Internet si sono misurati un po' tutti. Nielsen Media Research (New York, 1923: la societa' che ha inventato i "ratings" del pubblico televisivo) aveva pubblicato uno studio molto apprezzato al riguardo ma, dopo di cio', non ha piu' fatto grandi cose. Simbanet (Stamford, Connecticut, 1989) e' invece la divisione new media del gruppo Cowles Simba che pubblica un gran numero di riviste specializzate sui media. Il loro staff e' composto da una ventina di analisti ma non sono stati disposti a fornire i loro risultati finanziari.
E' la volta dello Yankee Group (Boston, 1970) che vanta sedi anche a Londra, Sidney e Tokyo, Ottawa e Santiago del Cile e che e' particolarmente specializzato sugli studi di mercato nel settore delle telecomunicazioni (telefonia mobile, tv via cavo, etc). Il Yankelovitch Partners (Norwalk, Connecticut, 1950) e' diventato famoso grazie agli studi dei trend sociali e generazionali ("Quali sono i gusti della Generazione X?") e, negli ultimi anni, hanno impegnato dozzine di ricercatori sul fenomeno Internet. Tutti questi cervelli al lavoro per capire, con un po' di anticipo, che forma prendera' la "tela di ragno grande come il mondo".

E IN ITALIA...

La crescita del mercato italiano riguarda anche le societa' che studiano la rete. La milanese Alchera Strategic Vision, nata due anni fa, con 12 dipendenti, ha fatturato nel '97 tre miliardi di lire. I dati presentati a fine settembre relativi al secondo rapporto 1997 dell'Osservatorio Alchera, monitor semestrale relativo alla penetrazione e accettazione, in casa e in ufficio, delle tecnologie digitali (con interviste realizzate da Demoskopea) sembrerebbero incoraggianti: gli utenti Internet - "da non confondere con gli abbonati" specifica opportunamente la cartella stampa - sarebbero passati da 1.377.000 persone, numero registrato nella rilevazione di marzo (2,9% della popolazione in esame), a 2.348.000 (5%). "Internet da sogno per pochi diventa realta' di molti anche in Italia - ha dichiarato quindi Raimondo Boggia, Presidente di Alchera - : senza piu' mitizzare la Rete decine di migliaia di italiani ogni settimana imparano a usare Internet. Il primo passo si e' compiuto: ora e' necessario che gli operatori investano su contenuti italiani per fare in modo che ci sia il prossimo salto: dal 5% di oggi di utenti, per la maggior parte capaci di capire l'inglese, si potra' cosi' passare a un 20%, tale e' oggi il potenziale di persone che nei prossimi anni potrebbero avvicinarsi alla Rete se adeguatamente motivate".
Le altre societa' che analizzano i trend dei new media nel nostro paese sono la divisione italiana di Nielsen (http://www.acnielsen.it) e Mediaquest (http://www.mediaquest.it ma per ora l'accesso al sito e' riservato ai clienti). La prima, agli inizi di ottobre, ha annunciato la costituzione di una partnership con Datanord Multimedia e Inferentia, "al fine di unificare i rispettivi sistemi di misurazione, analisi e certificazione degli accessi ai siti Web, noti come AudiNet e WebAudit". La filiale italiana, nata nel 1963, offre servizi a oltre ottocento aziende e ha registrato nel 1996 un fatturato superiore a 130 miliardi di lire (non e' stato fornito pero' il dato, molto piu' limitato, riguardante le attivita' legate alla rete). La seconda "fatturera' - stando alle stime di Giovanna Di Stefano - nell'anno in corso una cifra assai prossima al miliardo di lire." Una percentuale vicina al 50% del fatturato deriva pero' dalle attivita' formative (seminari e corsi di vario genere) che non rientrerebbero a rigore nella mission di quella che vorrebbe essere essenzialmente una societa' di "marketing research": "Continuiamo a farle - ammette Di Stefano - proprio perche' alle aziende italiane e' piu' facile vendere un seminario che non una ricerca di mercato". L'organizzazione impiega stabilmente 6 persone, privilegiando le collaborazioni con consulenti esterni, secondo la formula della "virtual company".


2. INTERVISTA A GENE DeROSE (JUPITER COMMUNICATIONS)

In un editoriale recente apparso sul New York Times, Denise Caruso, columnist di cose digitali e ricercatrice in materia di Interactive media a Stanford ce l'aveva con il «fattore Fud», ovvero «Fear, Uncertainty, e Doubt (Paura, Incertezza e Dubbio). Una tattica di marketing che – secondo lei – ha fatto si' che tutte le imprese abbiano sentito l'urgenza di buttarsi su Internet "prima che fosse troppo tardi", con risultati magri quando non perdite catastrofiche. Gene DeRose, direttore della prestigiosa societa' di ricerca Jupiter Communications (http://www.jup.com), che abbiamo intervistato nel suo quartier generale newyorkese, la pensa esattamente al contrario e ha qualche altra opinione sul futuro prossimo della rete.

Per dirla con il recente libro del professor Michael Dertouzos, direttore del laboratorio di Computer science al Mit, «What will be?» della rete nei prossimi anni?
Quello che ci interessa, qui alla Jupiter, e' capire cosa puo' portare on-line i consumatori che ancora non lo sono. Un grosso lavoro, quindi. I motivi perche' tanta gente ancora non pensa di abbonarsi a Internet sono molteplici: perche' e' troppo cara, per esempio, perche' i servizi che offre non sono ancora abbastanza interessanti, perche' la larghezza di banda non e' ancora tale da permettere grandi applicazioni multimediali. Noi consideriamo un periodo che varia da 5 a 10 anni per arrivare a un livello in cui tutta la panoplia di "internet appliances" che oggi vediamo diventino una realta' di massa. Intendo ogni apparecchiatura elettronica di consumo comune nelle famiglie. Per il WebTv per esempio prevediamo anche un periodo di maturazione piu' breve, ma ci saranno gli smart phone e un'infinita' di altri apparecchi che daranno accesso alla rete utilizzando interfacce familiari come il telefono e il televisore, appunto.

E nel frattempo cosa succedera': 5 anni, in termini di Internet, sono un'era geologica completa?
Nel frattempo i contenuti matureranno e saranno guidati dalla pubblicita'. Voglio dire che i cataloghi di vendite per corrispondenza, per esempio, creeranno dei servizi informativi intorno all'offerta dei loro prodotti e cosi' via. Ci sara' l'introito della pubblicita', quindi, ma nel vero breve periodo i soldi certi si faranno con l'accesso, saranno i service provider a riscuoterli: guardate Aol, Compuserve e gli altri! In un mercato acerbo come e' quello di cui parliamo adesso e' normale che sia cosi'. In un mercato maturo come sara' tra pochi anni, i pilastri economici saranno fondamentalmente la pubblicita', al solito, intesa in senso tradizionale e come mezzo straordinario di direct marketing, per instaurare relazioni col cliente e il commercio elettronico. In piu' bisogna aggiungere il ruolo in crescita della rete come promozione, intesa in senso piu' largo della pubblicita' tradizionale. Come promozione intendo un uso che non da' dei soldi in contanti ma che potenzia l'immagine di chi la fa o dell'evento promosso: l'esempio classico e' quello dei film che, sempre piu' spesso, annunciano la loro prossima uscita con mini-siti appositi [a questo proposito, piuttosto intrigante e' la strategia scelta  per promuovere on-line «The Game» con Michael Douglas, l'imminente film di David Fincher, regista di «Seven»: il sito e' http://www.the-game.com, ndr].

Ma ci sono i numeri, il pubblico, perche' una promozione del genere sia efficace?
Lo ripeto: il mercato e' ancora in una fase iniziale ma, per quello che riguarda l'America, siamo entrati decisamente nella fase di massa pre-critica. Si tratta di una penetrazione nel 20 per cento della popolazione, dal 10 per cento di due anni fa, quando e' avvenuta la svolta piu' grande. Certo, pensando a livello mondo, solo il caso della Scandinavia e forse dell'Inghilterra e dell'Australia promettono altrettanto bene. Per il resto invece, le previsioni sono piu' caute. In tutto questo scenario le responsabilita' delle Telecom nazionali sono alte. Penso proprio al caso dell'Italia dove, al canone del provider si aggiunge una bolletta urbana che funziona a tempo incidendo significativamente sul consumo e il relativo sviluppo del mezzo. Questo e' un modo di strangolare il mercato e, con esso, l'economia europea tutta: si tratta di un settore troppo importante per permettersi un errore del genere. In questo senso le speranze vengono dalla deregulation delle telecomunicazioni che dovrebbero mettere fine a questo stato di cose.
Anche se la diffusione dei computer non e' tanto massiccia come negli Stati Uniti, gli ultimi anni hanno visto un sviluppo sostenuto. Quando qui la penetrazione era nell'ordine dell'8-12 per cento delle famiglie, i produttori di Pc cominciarono a fare una forte campagna di marketing a favore di Internet. I risultati si vedono oggi.

Ma lei sa perfettamente qual e' l'obiezione - ragionevole per certi versi - dell'industria: "Chi ce lo fa fare di buttarci in un mercato che ancora non paga?"
Nel caso dei provider europei - possibilmente con l'aiuto dei produttori di computer - , se non agiscono aggressivamente adesso, dopo sara' troppo tardi. Arriveranno operatori stranieri come Aol e gli altri e domineranno anche i loro mercati.
Per i produttori di contenuto, idem: devono capire che, si', probabilmente passeranno anche cinque anni prima di vedere degli utili, ma non e' piu' la fase dell'esperimento ma del business in cui si deve essere disposti a rischiare del denaro per ottenerne di piu' con il tempo.
Il discorso evidentemente va personalizzato a seconda della taglia dei produttori di contenuto. Puo' essere ancora vero che se sei una piccola impresa, non e' detto che sia indispensabile essere in rete da subito. Ma se sei un'impresa che, in un modo o nell'altro, lavora nel settore dei media e gli affari ti vanno sufficientemente bene... allora questo e' il momento di avere il coraggio di "buttare" dei soldi su Internet. Gli stessi dubbi venivano ripetuti negli anni venti riguardo alla sconosciuta radio, piu' tardi per la tv e cosi' via, sino ad arrivare a oggi. Quando amazon.com ha iniziato a fare affari in rete Barnes and Noble [la piu' grande catena di librerie d'America, adesso on-line a http://www.barnesandnoble.com, ndr] l'ha vista brutta e si e' precipitata on-line per non perdere quel pubblico affezionato che si era costruita con il passare del tempo. E' stata rapida e ha saputo minimizzare i danni che, altrimenti, sarebbero stati davvero seri.

Quali sono gli ingredienti per realizzare contenuti di successo da mettere sul Web?
Il miglior contenuto, a nostro avviso, e' il contenuto generato dall'utente, ovvero tutto quel contenuto che fa appello alla maggiore quantita' possibile di interattivita' come le chat, i gruppi di discussione e cose del genere. Perche'? Perche' questo e' il differenziale tra old e new media. Basti pensare a cosa e' successo all'indomani della morte di Lady Diana. I giornali e le tv avevano degli aggiornamenti alla loro frequenza naturale (quotidiana, tre volte al giorno e cosi' via). In rete il sovrappiu' di interesse per la drammatica vicenda ha incontrato un'offerta di informazione pari alla domanda perche' gli stessi che chiedevano informazione, inconsapevolmente la producevano. Questa e' la forza della rete.


3. DUE PREVISIONI


PRICE WATERHOUSE SUGLI UTILIZZATORI
Doccia fredda per chi credeva che in capo a pochi anni la rete sarebbe stata tanto diffusa quanto il telefono o la tv? Dipende: i numeri vanno letti con giudizio. Il Consumer Technology Survey, il piu' recente sondaggio effettuato dalla Price Waterhouse (http://www.pw.com) sugli utenti di Internet dice una cosa buona e una cattiva. La prima e' che, negli Stati Uniti, una persona su quattro e' collegata. La seconda e' che del restante 75 per cento senza accesso da casa, il 46 per cento ha dichiarato di non pensare affatto all'ipotesi di fare un abbonamento. Ovvero: circa un terzo degli americani non sono stati, a oggi, neppure sfiorati dall'idea di andare on-line. Non sorprende che tre su quattro dei «resistenti alla rete» abbiano piu' di 35 anni: cio' conferma, per l'ennesima volta, l'esistenza di un chiaro gap generazionale tra tecno-entusiasti e computer-scettici.
C'e' di piu', spiega Steven Abraham, alto dirigente del gruppo multimediale Price Waterhouse: «I numeri fanno sembrare la situazione peggiore di quanto sia in realta'. Gli americani meno giovani stanno semplicemente reagendo a come percepiscono Internet oggigiorno, e non riescono a immaginare cosa esso diventera' nei prossimi pochi anni, ovvero qualcosa di genuinamente utile». «Cio' su cui la gente si scontra adesso e' la complessita' dell'andare on-line: cio' tende a limitare lo sviluppo di applicazioni che porteranno i grandi numeri» ha insistito Abraham. Ma tutto cio' sta cambiando rapidamente, basti pensare – e si parla soprattutto degli Stati Uniti – come la tendenza alla convergenza con la televisione (il WebTv, tanto per citare un esempio) o ai servizi bancari on-line (notissimi quelli di Citybank e Chase Manhattan Bank) o allo shopping che e' sempre piu' sicuro.
Il sondaggio, condotto dall'Opinion Reasearch Corporation di Princeton, New Jersey, e' stato effettuato su un campione di 1.010 adulti residenti negli Stati Uniti e il margine di errore e' stimato, in eccesso o in difetto, in 3 punti percentuali. Ciononostante la professoressa Donna Hoffman della Vanderbilt University, grande esperta di new media, ha dichiarato – sulla scorta dell'ultimo rilevamento effettuato da Nielsen/CommerceNet in marzo – che il numero degli utenti casalinghi potrebbe essere assai piu' alto di quello indicato qui. Tra i dati interessanti emersi, ricordiamo il fatto che chi usa la rete spende una media di 4,2 ore alla settimana per attivita' non collegate al lavoro; di questo tempo il 43 per cento non e' impiegato per navigare a caso ma per cerca informazioni precise e il 34 per l'e-mail. Meno del 4 per cento e' impiegato in chat.


FIND/SVP SUI BAMBINI
Quasi 10 milioni di bambini americani usano Internet e un numero sempre maggiore lo fa da scuola e non solo da casa. E' questo il risultato del rapporto “Children on the Internet” a cura della societa' di rilevamento newyorkese FIND/SVP (http://www.findsvp.com) e dalla californiana Grunwald Associates.
Il numero - che rappresenta il 14 percento di tutti gli americani sotto l'eta' di 18 anni - e' veramente considerevole, tanto piu' se lo si confronta con i tre milioni del '95. "Oggi - ha spiegato il presidente Peter A. Grunwald - poco piu' di 4 milioni di questi piccoli navigatori si collegano da scuola. La vasta maggioranza di costoro hanno accesso solo dalle loro classi e non da casa, a causa delle numerose iniziative per incoraggiare la cablatura delle scuole e le offerte scontate per servizi di telecomunicazioni per gli istituti scolastici".
Ma la preoccupazione di William L. Rukeyser, coordinatore di "Learning in the Real World" un gruppo non-profit californiano scettico sull'utilita' dei computer in classe e' piuttosto che i bambini riescano ad avere esperienze positive sul Web. La lamentela diffusa e' quella che ci siano in rete ancora poche risorse di buona qualita' per il pubblico dei giovanissimi: "E' molto importante che le compagnie produttrici di tecnologia capiscano che questo e' un vero mercato e che farebbero meglio a sviluppare alcuni prodotti che giustificassero, finalmente, tutta l'euforia e l'attenzione che c'e' in giro" ha avvertito Grunwald.
Quanto al tipo di attivita' cui i piccoli si dedicherebbero online, la domanda e' stata posta ai genitori e il campione non e' considerato sufficientemente numeroso per dirsi affidabile. Con questa avvertenza, il 57 per cento dei genitori ha risposto che i propri figli erano online per motivi "relativi alla scuola" (il 28 per cento ha detto che questo era il primario o l'esclusivo motivo). Secondo arriva il divertimento, che totalizza un 51 per cento. Papa' e mamme che hanno dichiarato che l'utilizzo principale fosse quello del'e-mail sono stati il 16 per cento del totale. Il 37 per cento dei genitori che ha risposto che sarebbero contenti se i propri figli usassero la rete ha motivato l'auspicio con il fatto che, cosi', guarderebbero meno televisione.


4. LE "AUDITEL", VECCHIE E NUOVE

LA "VENDETTA" DI UNA VECCHIA GLORIA
Dopo una serie di smottamenti nelle dirigenza che avevano gravemente compromesso l'immagine di una delle piu' promettenti societa' di misurazione dei risultati del pubblico di Internet, I/Pro (http://www.ipro.com) sembra adesso essere riemersa dalle sue difficolta' ed e' motivata a tornare in pista, per condurre le danze del segmento di mercato di cui era stata protagonista. E' una buona notizia per il mercato in generale: tra i motivi piu' frequenti per cui molte aziende, ancora, non fanno pubblicita' su Internet, c'e' proprio quello della scarsa fiducia sulla "contabilita'" dei contatti che quel messaggio generera'.
Quando I/Pro fu lanciata nel '95 da un neolaureato di Stanford, Ariel Poler (grazie anche ai 15 milioni di dollari investiti da Nielsen, colosso delle misurazioni televisive) molti grossi clienti dell'advertising on-line (Ziff-Davis Publishing, Chrysler Corp., Playboy, etc) diventarono suoi clienti . Nel dicembre '96 pero' Poler da' le dimissioni e pochi mesi dopo Yahoo! dismette la collaborazione con I/Pro per un suo concorrente. I motivi delle defezioni erano che i rapporti sugli accessi sarebbero stati spediti sempre in ritardo e il fattore tempo, in queste cose, e' assolutamente vitale. Un confusionario avvicendamento nel management dette l'impressione che l'impresa era allo sbando, sino a quando non e' arrivato Bradley Rode, ex specialista di tecnologie alla Reuters e anche Poler e' tornato a dare una mano. Da maggio I/Pro ha annunciato una garanzia di consegne puntuali e, ad agosto, una nuova versione del suo software che permette di vedere gli accessi mentre si verificano. Tra il suo centinaio di clienti c'e' sempre Netscape e ESPN SportsZone. «Il servizio e' decisamente migliorato - conferma Jim Selden, manager della pubblicita' e del marketing a Infoseek - : nei mesi scorsi eravamo arrivati vicini al punto di abbandonarlo ma adesso non abbiamo piu' alcun problema». Stessa musica dal Wall Street Journal elettronico: «Non siamo piu' preoccupati delle scadenze: tutto e' ok adesso» garantisce Randy Kilgore, direttore del servizio pubblicitario dell'edizione Web del giornale. Attestati di stima che hanno fare passi avanti a nuovi clienti e che faranno fare passi avanti alla fiducia generale in questo, ancora troppo sospettoso, mercato.


LA CARICA DELLE EMERGENTI
L'arena degli aspiranti al titolo di «Auditel di Internet» si riempe di nuovi contendenti ogni giorno che passa. Tra gli ultimi segnaliamo PcMeter (http://www.pcmeter.com) e RelevantKnowledge (http://www.relevantknowledge.com). La prima e' gia' considerata un'affidabile compagnia che tiene traccia di 12.000 famiglie collegate a Internet. L'unico limite di questo campione e' che e' composto esclusivamente di utenti Windows, non comprende gli utenti dall'ufficio ne' gli utenti Macintosh (queste mancanze dovrebbero essere risolte entro la fine dell'anno).
La seconda ha sede ad Atlanta ed e' stata fondata da ex-dipendenti del gruppo Turner (quello della Cnn, per intenderci).
Entrambe propongono un metodo alternativo rispetto a quelli utilizzati dalle piu' note societa' di rilevamenti sul mercato: e' una specie di ritorno al passato, un sistema che dovrebbe mostrare quali siti visita il cliente ma non necessariamente cosa esso faccia una volta arrivato la'. La tecnologia impiegata e' quella del sondaggio telefonico e di un software proprietario installato sulle macchine delle famiglie che acconsentono di partecipare al panel. Proprio come la Nielsen in America e l'Auditel in Italia per l pubblico televisivo. A queste famiglie e' pagato un piccolo rimborso per il fastidio che si accollano e sono fatte partecipare a varie occasioni di vincere premi in concorsi appositi. Cosa ne pensano gli esperti? Susan Gertzis, dell'autorevole Forrester Research – premettendo che non esiste sistema di misurazione perfetto – ha commentato: «Se dovessi acquistare degli spazi pubblicitari sul Web darei sicuramente un'occhiata a queste stime ma anche alle informazioni statistiche fornite dai server dei siti stessi». Il problema grosso, al momento e' che risulta difficilissimo comparare le performance di siti diversi dal momento che i sistemi di tracking usati non sono coerenti tra di loro. Nel caso di PcMeter i risultati dei continui sondaggi saranno spediti agli abbonati per posta tradizionale mentre per quanto riguarda RelevantKnowledge, essi saranno messi a disposizione on-line, con apposite password. Insistendo sulla necessita' delle aziende di conoscere il potenziale pubblicitario di un sito prima di investirci sopra, Jeff Levy, Ceo della societa' di Atlanta, ha aggiunto una considerazione che a molti potra' sembrare poco sincera ma che e' vera in fondo: «Questo e' il modo di far si' che il Web resti un mezzo di comunicazione libero. Senza questo tipo di informazioni (sulla redditivita' de siti, ndr), i pubblicitari non lo sosterranno piu'».


Copyright © Riccardo Stagliano' 1999

 

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