328 - 25.09.07


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Turchia: inizia la nuova era?

Marta Federica Ottaviani


Abdullah Gül è diventato l’undicesimo presidente della Repubblica turca, il primo con un passato dichiaratamente islamico. Lo hanno eletto al terzo turno, quando alla Tbmm, la Grande assemblea nazionale turca, bastava il 50% più uno dei voti, ossia 276 deputati. Ne ha ottenuti 339, praticamente solo quelli del suo partito islamico-moderato, l’Akp, il Partito per la Giustizia e lo sviluppo. Per la Turchia è l’inizio di una nuova era. Il premier Recep Tayyip Erdogan è riuscito a conquistare le tre più alte cariche dello Stato: la presidenza del Consiglio, quella del Parlamento e con l’elezione di Gül anche quella della Repubblica. Risultati conseguiti nell’arco di quattro mesi e dopo una crisi politico-istituzionale che è stata la più grossa almeno degli ultimi 20 anni.

I problemi sono iniziati ad aprile e proprio per la candidatura dell’ex ministro degli Esteri alla carica più importante dello Stato. Le consultazioni, durate settimane, facevano pensare alla scelta di un nome di compromesso, o almeno proveniente dalla schiere meno conservatrici dell’Akp. I giornali si erano sbizzarriti con le supposizioni. I più erano certi che la scelta sarebbe ricaduta di Mehmet Vecdi Gönül, ministro della Difesa, poco gradito ai militari, ma con moglie a capo scoperto e senza il passato da militante islamico che accomuna Erdogan e Gül. La candidatura del ministro degli Esteri ha invece reso manifesto l’intento, da parte del Primo Ministro, di conquistare la carica più alta della Repubblica con un uomo in tutto e per tutto vicino alle sue scelte e al suo percorso. Al dato politico si è aggiunto quello giuridico. Il Chp, il Partito repubblicano del popolo, di orientamento laico, cercando in tutti i modi di contrastare i propositi della maggioranza, ha giocato la carta del numero legale, ossia l’articolo 102 della Costituzione, per il quale, perché l’elezione del Presidente sia valida, è necessario che in aula ci siano almeno 367 deputati. Aveva annunciato che con i suoi oltre 100 deputati non si presenterà allo scrutinio, apposta per far mancare il numero legale, e minaccia il ricorso alla Corte Costituzionale nel caso in cui l’Akp avesse proceduto ugualmente.

Fra interpretazioni differenti della Anayasa, la legge madre dello stato turco, si è arrivati al primo voto del 27 aprile, quando nel primo pomeriggio, Abdullah Gül venne votato, ma in Parlamento c’erano solo 361 persone. Nelle stesse ore, Deniz Baykal si trovava davanti all’Alta Corte per depositare il ricorso. La sera, in un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, sul sito dell’establishment militare veniva pubblicato un comunicato stampa in cui, si dichiarava la “preoccupazione” per il dibattitto sulla laicità che si stava svolgendo nel Paese, e aggiungeva: “Non deve essere dimenticato che le forze armate turche sono una parte in questo dibattito e sono protettrici determinate della laicità (…) e pubblicheranno apertamente la loro posizione e i loro atteggiamenti quando ciò diventerà necessario. Nessuno deve aver dubbi a questo riguardo”. Si tratta del secondo intervento diretto dopo la conferenza dell’11 aprile, quando avevano chiesto “un candidato laico, fedele ai principi della Repubblica e alla Costituzione”.

Il Paese è sull’orlo della crisi di nervi. La Borsa crolla. Il primo maggio la Corte Costituzionale, con nove voti favorevoli e appena due contrari, bocciava definitivamente Abdullah Gül. Il premier, costretto a indire le elezioni anticipate, definisce la sentenza “un proiettile sparato contro la democrazia” e finisce sotto inchiesta da parte della Procura di Ankara per oltraggio all’ordinamento giudiziario.

Per la Turchia iniziava una campagna elettorale senza esclusione di colpi. In tutto il Paese milioni di persone scendevano in piazza per le “Marce per la Repubblica”. Erdogan rispondeva con una riforma costituzionale che sembrava fatta ad hoc per alimentare lo scontro fra laici e islamici all’interno del Paese. Il pacchetto prevedeva l’elezione diretta del capo dello Stato e una serie di norme che, secondo molti costituzionalisti, toglievano competenze al Parlamento e all’Alta Corte. Ahmet Necdet Sezer, presidente della Repubblica uscente, cercava in tutti i modi consentitigli dalla legge di fermare la riforma, ma il massimo che riusciva a ottenere era l’indizione di un referendum, che si terrà il prossimo 21 ottobre.

Il 22 luglio arrivava il voto e il risultato sorprendeva tutti. Con il 46.8% l’Akp ha stravinto le elezioni. Il Chp arriva a malapena al 20%. Il Mhp, il Partito Nazionalista a cui fanno riferimento i Lupi Grigi ha portato a casa un lusinghiero 14% e sono entrati in Parlamento anche i curdi. Nessuno, nemmeno Erdogan, si aspettava un’affermazione del genere. Il resto è storia recente. Il 25 luglio, Abdullah Gül, in una conferenza stampa annunciata in pompa magna con 24 ore di anticipo, affermava: “Visto il risultato elettorale non posso dire che non sarò candidato, devo ascoltare il mio popolo”. Il 13 agosto veniva riconfermato nella corsa alla carica più alta della Repubblica.

Adesso che è stato eletto deve dimostrare di essere veramente imparziale. La prova più importante sarà, fra settembre e ottobre la nuova Anayasa, la Costituzione della Repubblica turca, la prima dopo quella del 1982, figlia del colpo di Stato del 1980. Fra alcune modifiche che rendono la Turchia più moderna e che piaceranno sicuramente a Bruxelles, ce ne sono però altre che mirano a indebolire il potere militare e giudiziario e che vengono guardate con giusto sospetto, se si pensa che si tratta di due fra gli apparati più laici dello Stato, quelli su cui l’islamico-moderato Recep Tayyip Erdogan non è ancora riuscito a mettere le mani. In realtà la nuova bozza della legge madre dello Stato turco potrebbe procurargli con pochi problemi con tutte le altre formazioni politiche all’interno del Parlamento. Il Chp, il Partito repubblicano del Popolo, ha fatto sapere che entrerà in aula a votare solo se verrà annullata l’immunità parlamentare per deputati e ministri. Il Dtp, il partito curdo per la società democratica, ha chiesto il riconoscimento delle loro peculiarità, culturali e politiche. Ma su questo punto, prima di fare concessioni, Erdogan dovrà fare i conti con il Mhp, il Partito nazionalista. Ma queste non sono certo le cose che stanno maggiormente a cuore al premier. La nuova Costituzione, infatti, presentata come più democratica a Bruxelles, darà anche nuove garanzie a minoranze etniche e donne, ma soprattutto servirà a rafforzare ancora di più lo strapotere di Erdogan, indebolendo la Corte Costituzionale, l’esercito e lo stesso Presidente della Repubblica. Ed è praticamente impossibile che il premier incontri resistenze, visto che a firmare tutte le sue leggi sarà il nuovo Capo dello Stato Abdullah Gul. Non rimane altro da sperare che siano in buona fede.

 

 

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