Habemus
Tractatus. L’annuncio, arrivato nella tarda
notte, suonava assai magniloquente nelle parole dei
negoziatori che fino alle ore piccole avevano alacremente
lavorato per evitare il fallimento del Consiglio europeo.
Forse l’entusiasmo, soprattutto quello del Presidente
francese Nicolas Sarkozy, era dovuto più al fatto
d’esser riusciti in extremis a pervenire a un
accordo, perché in effetti, a leggere con attenzione
il testo del compromesso finalmente sottoscritto dai
Ventisette, non c’era granché da festeggiare.
È vero, alla fine il Trattato “semplificato”
o “riformatore” vedrà la luce e questo
è meglio di niente, ma, appunto, è solo
rispetto al niente attuale che si può considerare
quello partorito a Bruxelles come un passo in avanti.
Le istituzioni funzioneranno in maniera più chiara
ed efficiente, ma più chiara ed efficiente relativamente
a un contesto di paralisi. Un passetto in avanti, dunque,
che segna invece la vittoria dell’euroscetticismo
e dell’interesse nazionale; che imprime al processo
d’integrazione un’andatura troppo lenta
rispetto alle sfide cui l’Unione deve far fronte
oggi; un passo che allontana ancora di più i
cittadini dallo spirito europeo.
Tutti, comunque, hanno salutato il successo della caparbietà
della presidenza tedesca e della cancelliera Angela
Merkel in particolare, che ha saputo concludere il semestre
raggiungendo i risultati che si era prefissata; e tutti,
soprattutto, si sono felicitati col novizio Sarkozy
che, pur non oscurando la collega d’Oltrereno,
ha saputo esordire sulla scena europea dando mostra
della sua energica efficacia.
Lui era stato il primo a proporre la formula del Trattato
semplificato e lui è stato l’artefice dell’equilibrismo
che ha costretto all’accordo sia i riottosi gemelli
monozigoti polacchi che quelli eterozigoti inglesi.
Alle profferte sarkoziste, sempre più al ribasso,
hanno via via ceduto sia Gordon Brown e Tony Blair che
Lech e Jaroslaw Kaczynski.
Il pragmatismo del presidente francese, ormai divenuto
proverbiale, ha reagito al difficile contesto europeo
con un realismo diplomatico che ha mirato sin dal principio
un obiettivo che corrisponde all’idea stessa che
lui si fa dell’Europa. Perché Sarkozy è
al fondo un nazionalista europeo che, nonostante li
citi ad ogni occasione, non ha niente di Robert Schumann
o François Mitterrand e della loro visione ideal
europeista.
Paesi come Germania, Spagna o Italia, che avevano ratificato
il vecchio Trattato costituzionale, puntavano a ben
altra cosa che al mini trattato, ma appena eletto, Sarkò
ha fatto il giro delle cancellerie e giocandosi le inderogabili
linee rosse tracciate dagli euroscettici contro gli
eurofili, ha finito col far prevalere il ribasso del
suo compromesso realista. A Bruxelles, poi, è
andata ancora peggio di come temevano gli stessi paesi
europeisti convinti e quello che è emerso è
una specie di trattato à la carte, un
menu dal quale ogni paese pesca a piacimento.
La Carta dei Diritti fondamentali vale per tutti ma
non per gli inglesi. Questi ultimi possono anche passare
sopra alla collaborazione penale e di polizia. Il voto
a maggioranza qualificata passa, ma solo dal 2014, il
2017 per i polacchi. Tutti per uno e ognuno per sé.
È quello che pensa dell’Unione europea
il mediatore Sarkozy, che per sé, invece, è
riuscito ad ottenere lo spostamento della “concorrenza
non falsata” dagli obiettivi fondamentali ad una
nota a piè di pagina.
Lo spettacolo del Consiglio non è stato così
incoraggiante come vorrebbero far credere i sarkozisti
ancora beati per la prova del Presidente francese. Più
che la coesione che alla fine si voleva far passare,
infatti, dello spettacolo di Bruxelles i cittadini avranno
ritenuto il mercanteggiamento, il baratto dell’interesse
nazionale e, invece che europei, si saranno certamente
sentiti un po’ più inglesi o polacchi o
francesi. Fu così a Nizza, è così
anche questa volta. Nessun passo in avanti in questo
senso, anzi.
Nel negoziato nottetempo sottoscritto non c’è
niente che faccia supporre che i negoziatori abbiano
tenuto conto di uno degli obiettivi della Dichiarazione
di Laeken, quello che raccomandava la semplicità
intesa come chiarezza. Un obiettivo di buon senso, per
riavvicinare il comune mortale ad una struttura giuridica
mostruosa ed incomprensibile. Il Trattato costituzionale
bocciato da francesi ed olandesi non era il massimo
in questo senso, ma il nuovo Trattato Riformatore che
andrà ad emendare il trattato esistente, non
fa altro che aumentare protocolli e allegati contribuendo,
se era possibile, a mischiare elementi costituzionali,
legislativi, competenze e quant’altro. Riavvicinare
i francesi all’Ue non era evidentemente una priorità
per Sarkozy, che, invece, ha regalato loro lo spostamento
della “concorrenza”: molto più utile
per garantirsi i voti di sinistra necessari a ratificare
il testo, e molto più in linea col carattere
nazionale. Appunto.
Quando vengono imposti questi rovesci, gli eurofili
ricominciano a parlare d’Europa a due velocità,
di un’Unione in cui quelli che vogliono procedere
più avanti sulla strada dell’integrazione
politica possano essere liberi di farlo, di costituirsi
in avanguardia. Hanno ragione, il mondo globalizzato,
con la sua rapidità sta rivoluzionando gli equilibri
e sospingendo ai margini i singoli stati della Vecchia
Europa e quella Nuova non può più attendere
oltre. Per ora il successo sarkozista segna un punto
a favore di un’Europa a molteplici velocità,
tutte diverse, tutte nazionali, tutte da Vecchia Europa.
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