Tenuto conto
delle posizioni diverse, e qualche volta opposte, dei
paesi membri dell’Unione europea, il risultato
della maratona di Bruxelles costituisce un compromesso
realista. Chiude un periodo di crisi che aveva effetti
negativi per l’Unione e per le relazioni tra i
differenti paesi. Bisognava dunque uscirne, ma non a
qualsiasi prezzo. Peccato, come sempre nella saga europea,
due passi avanti si accompagnano ad un passo indietro!
Questa uscita dalla crisi la dobbiamo in primo luogo
alla cancelliera tedesca e alla sua squadra che ereditavano
una situazione bloccata. A partire da lì, la
presidenza tedesca, che ha ricevuto durante questi due
giorni e notti passati a Bruxelles il rinforzo efficace
di più capi di Stato e di Governo, tra cui Sarkozy,
ha fatto guadagnare degli anni alla costruzione europea.
Che cosa ci si può attendere dal compromesso?
Innanzi tutto un migliore funzionamento delle istituzioni,
con un presidente permanente del Consiglio europeo,
modalità di voto migliorate, ma solamente a partire
dal 2014, l’estensione del voto a maggioranza
qualificata in certe materie e poteri accresciuti di
codecisione del Parlamento europeo. Temo tuttavia che
questo presidente del Consiglio europeo non faccia che
appesantire il processo di decisione e non avvii dispute
da bottega con la Commissione e il Consiglio dei Ministri.
Ad ogni modo, le capacità di queste due ultime
istituzioni si ritrovano indebolite: è il declino
del metodo comunitario che, quando funzionava bene,
ha tanto facilitato il lavoro del Consiglio europeo
e la presa di decisione.
Giudicheremo da qui al 2010 della capacità dell’Unione
ad utilizzare le nuove possibilità offerte dal
Trattato riformatore per accrescere la sicurezza dei
cittadini attraverso il rinforzo della cooperazione
penale e di polizia; della volontà di definire
un quadro per i servizi pubblici adatto ai bisogni e
alle tradizioni di ogni paese. O, molto più urgente,
dell’impegno per finanziare il progetto Galileo,
strumento della forza e dell’autonomia dell’Europa
in materia di comunicazione satellitare.
Peccato, due grandi soggetti sono assenti, gli stessi
della Conferenza intergovernativa che non aveva potuto
sfociare né sulla dimensione sociale né
sull’unione economica e monetaria. Pertanto, la
stessa Angela Merkel aveva parlato d’un protocollo
sociale per riequilibrare il trattato. La Carta dei
Diritti fondamentali è certo stata preservata,
con grande soddisfazione della Confederazione europea
dei Sindacati. Il suo seguito logico sarebbe stato il
rinforzo della dimensione sociale pur precisando la
ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli
Stati membri. Ma anche qui si è preferito la
vaghezza alla chiarificazione. Ora, invece, il cittadino
ha bisogno di sapere “chi fa cosa” in materia
di lavoro, di reddito minimo, di sicurezza sociale.
Quanto a l’unione economica e monetaria, io reclamo
da anni un riequilibrio tra il monetario e l’economico
nello spirito del rapporto che feci al Consiglio europeo
nel marzo 1989. Per farlo non c’è nessun
bisogno di cambiare lo statuto della Banca centrale
europea. Si tratta semplicemente d’aggiungere
al patto di stabilità monetaria un patto di coordinazione
delle politiche economiche nazionali e un mandato esplicito
dato al Consiglio dei Ministri delle finanze di esprimersi
sulla scena internazionale di fronte ai disordini monetari
esistenti.
Ogni volta che si propone un passo avanti verso l’Europa
politica, ci rispondono che su questo punto non c’è
l’unanimità. È una ragione per sostenere
la differenziazione, come è stato fatto nel passato
con Schengen e l’Unione monetaria europea. A Bruxelles
la Gran Bretagna non si è privata di rifiutare
l’applicazione della Carta e delle nuove disposizioni
in materia penale e di polizia. A quando allora la prima
iniziativa per la marcia in avanti di un gruppo di Stati
membri sull’Unione monetaria europea, sul sociale,
sull’energia? Io rifiuto, da parte mia, un’Europa
che non avanza se non al ritmo dei meno impegnati e
degli euroscettici. Sono loro, come ha sottolineato
Romano Prodi al ritorno dal Consiglio europeo, che hanno
segnato dei punti per frenare l’emergenza di un’Europa
politica forte e generosa allo stesso tempo.
* Questo articolo è apparso sul Nouvel
Observateur n.2225 (28 giugno-4 luglio)
Traduzione dal francese di Luca Sebastiani
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