Ci vuole
uno sguardo pragmatico. Bisogna lasciare gli ideali,
per quanto eurovolenterosi, sulle pagine dei giornali
(o dei siti web), sui commenti e sugli spazi dedicati
alle opinioni. Quando si entra nei luoghi delle decisioni
e degli scontri politici, bisogna puntare al concreto.
E l’ultimo Consiglio europeo, quello presieduto
da Angela Merkel, quello che imponeva una via d’uscita
dallo stallo istituzionale dell’Unione, è
una prova di come un concreto mercanteggiare di interessi
nazionali conti assai più di ogni aspirazione
ideale.
“Pensa in maniera nobile ma porta a casa i soldi”,
questo, dice Richard Baldwin, è il motto che
caratterizza un leader europeo vincente. Non c’è
nessuna inflessione negativa nelle sue parole, che sono
semplicemente, appunto, ispirate dal pragmatismo.
Baldwin è un economista del Graduate Institute
di Ginevra, direttore del Cepr (Centre for Economic
Policy Research, uno tra i più autoreoli centri
di ricerca sulle politiche economiche europee) ed è
autore di numerosi libri tra cui, con Charles Wyplosz,
L’economia dell’Unione europea (Hoepli).
Un suo saggio (http://www.cepr.org/pubs/PolicyInsights/PolicyInsight5.pdf)
spiega nei dettagli perché governi come quello
polacco hanno tutto l’interesse a mantenere il
vecchio sistema di voto e rifiutare la doppia maggioranza.
Perché, soprattutto, il numero di voti di cui
si dispone è importantissimo, soprattutto quando
si deve approvare il bilancio dell’Ue e si decide
come spendere i soldi. “Muscles in Bruxelles =
cash in the pocket”, questa è un’altra
formula usata da Baldwin nei suoi scritti: mostrarsi
forti nelle sedi europee per portare a casa risultati
concreti, “ma non si tratta di una questione esclusivamente
europea, la politica delle scelte economiche, in democrazia,
funziona così dappertutto, anche in Italia”.
Prof. Baldwin, durante i giorni del Consiglio
Europeo, circolava sui giornali una foto scattata a
Bruxelles. Vi erano raffigurate le sagome di tutti i
leader dei paesi dell’Unione, tutti con le mani
a coprire le orecchie, come a dire: nessuno vuole ascoltare
nessuno. Condivide il senso di quella foto?
Al contrario, credo che tutti abbiano ascoltato molto
attentamente, dato che ciascuno aveva il potere di porre
il proprio veto su ogni aspetto della discussione.
Perché quando si tratta di prendere
decisioni di vitale importanza per il futuro dell’Unione,
interessi particolari, come ad esempio quello della
Polonia sul sistema di voto, prevalgono sempre sullo
spirito sovranazionale?
La possibilità di porre il veto alle decisioni
sul Trattato è la prima risposta che si può
dare alla sua domanda. Come abbiamo visto con Francia
e Olanda, persino un solo parere nazionale è
sufficiente a bloccare tutto. Questa è la regola
democratica che vige sui cambiamenti da apportare al
Trattato.
Nel caso particolare della Polonia, è un paese
che ha vissuto prima l’oppressione tedesca, e
poi quella sovietica dal 1938 fino al 1991. I polacchi
non sono per niente entusiasti di vedere il proprio
potere decisionale dominato o comunque superato a livello
europeo.
Non crede che l’Unione europea stia dimostrando
una evidente mancanza di politiche, ispirazioni e sentimenti
sovranazionali?
“Pensa in maniera nobile, ma porta a casa i soldi”.
Questo è il motto di un leader vincente dell’Unione
europea. Basta guardare al Lussemburgo e ai suoi rappresentanti.
Loro sono sempre europeisti, tranne nel momento in cui
viene fuori qualcosa che rappresenta per loro un costo,
come la tassazione sui servizi internet o il consenso
a fare in modo che tutti gli uffici del Parlamento europeo
abbiano sede a Bruxelles.
Una concreta prospettiva sovranazionale e comunitaria,
al posto di dinamiche intergovernative, non garantirebbe
un migliore e più efficace funzionamento dell’Unione?
Negli ultimi cinquant’anni c’è stata
una lenta ma continua marcia di condivisione della sovranità.
Non era un semplice gusto ideale a guidarla, ma il fatto
che le dimensione europea è la migliore che i
governanti hanno a disposizione per incontrare le richieste
dei cittadini per un’economia vitale e una società
giusta e sicura.
Ma le persone sono davvero molto diverse tra loro, e
hanno idee diverse su come portare avanti le cose. Il
trucco sta nel capire quale è il livello decisionale
più basso per la soluzione più efficace.
L’Unione Europea non dovrebbe avere la possibilità
di decidere degli orari dei bus a Milano. E gli italiani
non dovrebbero accettare di mandare i propri soldati
a morire se loro hanno espresso un parere contrario
ad una missione militare in sede di Consiglio europeo.
Non esiste un modo semplice per decidere quale sia il
miglior livello sulla scala decisionale per compiere
una scelta. Avere dei leader politici europei che da
anni mercanteggiano sulle scelte da prendere non è
forse il modo migliore per individuare a quale livello
bisogna prendere le decisioni, ma è probabilmente
l’unico modo possibile.
Forse creare una vera e concreta discussione
pubblica intorno alle decisioni e alle politiche europee
potrebbe aiutare l’Ue?
Quanti italiani sono in grado di comprendere il bilancio
dello stato? O come funzionano esattamente i meccanismi
dell’iva? La democrazia rappresentativa è
un sistema in base al quale noi “assumiamo”
delle persone di cui ci fidiamo per prendere determinate
e precise decisioni, e contiamo sulla competizione tra
i partiti, tra i media e all’interno della società
civile per fare in modo che le persone da noi “assunte”
rimangano oneste. Se il loro lavoro non ci piace, le
“licenziamo” alle elezioni successive. Così
a ciascuno di noi è risparmiata la scocciatura
di dover leggere e informarsi di ogni cosa.
Possiamo immaginare, così ha scritto
in un suo articolo, che nel 2017, quando il sistema
di voto a doppia maggioranza sarà effettivo la
Turchia sarà un membro dell’Ue o sarà
sul punto di esserlo. Allora, visto che quel sistema
di voto darebbe molta rilevanza a un paese popoloso
come la Turchia, dovremo aspettarci un nuovo rinvio
sui modi di votare e prendere decisioni nell’Unione?
Penso che l’ingresso della Turchia sarà
molto meno controverso nel 2017. O la Turchia continua
come ha fatto, divenendo un paese che non è più
estraneo, diciamo, della Grecia o della Bulgaria agli
occhi degli europei occidentali, oppure inizierà
a diventare più simile alla Siria o, Dio non
voglia, al Libano. In un modo o nell’altro, sarà
tutto molto più chiaro. Se andrà nella
prima direzione, vorremo far aderire la Turchia e, quindi,
la doppia maggioranza non sembrerà più
una buona idea alla maggior parte degli Stati dell’Unione
Europea.
Il prossimo passo delle istituzioni europee
e del Trattato sarà la conferenza intergovernativa
in autunno. Cosa si aspetta da quello appuntamento?
La conferenza intergovernativa sarà ancora teatro
di molte lotte e discussioni, dubito che avrà
il tempo di ratificare decisioni definitive. Il diavolo,
si sa, è nei dettagli.
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