Warren I.
Cohen ha dedicato un intero libro a Gli errori dell’impero
americano (Salerno Editrice). Vi ha descritto quelle
che, a suo parere, sono state le scelte sbagliate che
gli Stati Uniti hanno compiuto negli ultimi 40 anni,
soprattutto dopo che la fine della Guerra Fredda sembrava
aver concesso loro la vittoria finale. Francis Fukuyama
parlò di “fine della storia”, ma
la fine della storia non arrivò. L’11 settembre
2001 segnalò la vulnerabilità dell’impero,
proprio mentre a Oriente andavano affacciandosi i due
nuovi grandi concorrenti degli Stati Uniti a livello
globale, l’India e la Cina.
Il recente vertice G8 tedesco di Heiligendamm, con
l’apparente svolta del presidente americano Bush
sulla questione climatica, è un’ottima
occasione per fare il punto sullo stato della potenza
statunitense, sui suoi errori, la sua popolarità
nel nuovo mondo globale e le sue prospettive future.
Il punto lo facciamo proprio con Warren I. Cohen, professore
dell’Università del Maryland e Senior Scholar
dell’Asia Program del rinomato Woodrow Wilson
Center. Cohen è un esperto di relazioni internazionali,
e negli ultimi anni si è dedicato in particolare
ai rapporti tra Stati Uniti e potenze asiatiche, come
dimostrano un suo recente saggio pubblicato dalla rivista
Foreign Affairs e i titoli di tre delle sue ultime pubblicazioni:
America’s Response to China (2000), East Asia
at the Center: Four Thousand Years of Engagement with
the World (2001), e Asian American Century (2002).
Nel rileggere la storia recente degli Stati Uniti,
Cohen condanna senza mezzi termini il sostegno fornito
da Washington ai dittatori di tutto il mondo, dall’Asia
all’Africa fino all’America Latina. Critica
l’intervento in Vietnam, e anche il sostegno cieco
nei confronti di Israele, che gli Stati Uniti avrebbero
invece dovuto convincere a lasciare le terre conquistate
nel 1967. Ma se le alleanze e le strategie del secolo
scorso incontrano la sua disapprovazione, Cohen è
ancora più duro verso “l’arrogante
disprezzo che il presidente Bush mostra nei confronti
degli opinioni dei suoi alleati europei, per non parlare
delle sue politiche sballate in Medio Oriente, dove
ha compiuto un errore dopo l’altro”.
Quando gli chiediamo un’opinione sulle recenti
aperture di Bush in tema di politica ambientale e di
politica mediorientale (con la riapertura del dialogo
con Siria e Iran), Cohen è sprezzante: “Per
quello che si è potuto vedere finora mi paiono
solo delle pose, non sono persuaso della sincerità
delle aperture di Bush, e temo che alle parole non seguiranno
i fatti”. “Anche sul presunto passo in avanti
sulla questione ambientale – aggiunge –
a me sembra che sì, d’accordo, l’amministrazione
Bush ha ragione quando vuole coinvolgere l’India
e la Cina perché anche a loro vengano applicate
le misure anti-inquinamento, però credo che questa
posizione sia soprattutto una scusa per non agire: l’amministrazione
Bush, più che indebolire la concorrenza economica
asiatica, intende così evitare di prendere misure
che potrebbero danneggiare la propria economia”.
L’Asia, la Cina. Cohen non nasconde la sua preoccupazione
quando gli chiediamo cosa pensa della crescente influenza
economico-politica di Pechino in Africa e America Latina:
“E’ vero, dovremmo preoccuparci della possibilità
che i cinesi possano diffondere nel mondo un modello
alternativo a quello della liberaldemocrazia. E’
una cosa che potrebbe avere un impatto simile a quello
che ebbe il fascismo negli Trenta, quando attrasse regimi
illiberali di tutto il globo”. E se i democratici
conquistassero la Casa Bianca, come cambierebbero i
rapporti sino-americani? “Farebbero maggiori pressioni
su quelle politiche economiche cinesi che danneggiano
i lavoratori americani, ma le grandi linee rimarrebbero
le stesse, e non si potrebbe fare a meno di un impegno
costruttivo”.
Il futuro non sarà affatto facile per gli Stati
Uniti, e per questo il professore del Maryland si augura
che, in caso di successo democratico, sia Hillary Clinton
ad andare alla Casa Bianca: “Barack Obama ha poca
esperienza nelle questioni estere, come dimostra la
debolezza dell’articolo che ha scritto in proposito
sull’ultimo numero di Foreign Affairs. Hillary
Clinton è più preparata, e gli Stati Uniti
hanno bisogno di un presidente con le giuste conoscenze,
soprattutto di politica estera. Non possiamo permetterci
qualcuno che impari sul lavoro e che non ne azzecchi
una per 3-6 anni. E’ il mondo stesso che non può
permetterselo”. Gli Usa, la Cina, l’India.
E l’Europa? “Trovo che l’Europa sia
deludente – ammette – non ha né la
voglia né la capacità di fornire una leadership
alternativa sulle questioni internazionali. Forse è
inevitabile, visto che ogni paese europeo segue i propri
interessi, e l’Europa non può parlare con
una sola voce”.
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