Luci e ombre
sul debutto europeo del nuovo inquilino dell’Eliseo.
A fronte di un attivismo diplomatico pragmatico ed efficace
volto a sbloccare la paralisi istituzionale, il Presidente
francese Nicolas Sarkozy crea però una certa
inquietudine a Bruxelles con la sua politica economica
che, centrata su uno “choc fiscale”, rischia
di scombussolare i già dissestati conti d’oltralpe
e di sospendere le politiche di rientro del deficit
e del debito avviate dai suoi predecessori.
La contraddizione sarkozista tra politica estera europea
e politica interna quantomeno “non europeista”,
era già emersa il 23 maggio scorso quando il
Presidente, insediatosi di fresco, dopo aver incontrato
Angela Merkel in Germania, si era recato a Bruxelles
dal presidente della Commissione José Manuel
Barroso. In quell’occasione era riuscito a convincere
il suo interlocutore della necessità di trovare
la massima convergenza sulla sua proposta di minitrattato
– ribattezzato trattato semplificato per renderlo
più digeribile ai nostalgici della Costituzione
ormai morta e sepolta – e, allo stesso tempo,
aveva annunciato una serie d’interventi fiscali
necessari a recuperare un punto di crescita che avrebbero,
però, imposto una “pausa” nella politica
di rientro del debito sotto la soglia del 60 per cento
del Pil. A Barroso in quell’occasione chiese di
essere giudicato alla fine della legislatura, nel 2012.
Il problema è che il precedente governo, quello
di Dominique de Villepin, si era impegnato con l’avallo
della Commissione, a riportare la Francia nei parametri
del patto di stabilità entro il 2010. Questi
parametri erano stati alleggeriti nel 2005 proprio su
richiesta di Francia, Italia e Germania e, secondo le
modificazioni intervenute, i Ventisette si sono impegnati
a diminuire debito e deficit in periodo di crescita.
Come quello attuale. In quella sede si decise anche
di accettare spese eccezionali per riforme strutturali
importanti come, ad esempio, quella dei regimi previdenziali.
Ora si dà il caso che i 20miliardi che dovrebbero
costare le misure sarkoziste non hanno niente a che
vedere con eccezionalità e riforme strutturali.
Anzi, molti, sia in patria che in Europa, le giudicano
nel migliore dei casi inefficaci interventi per rafforzare
la domanda o, nel peggiore, regali fiscali alle clientele
elettorali che l’hanno appena portato all’Eliseo.
Il 29 maggio, in un meeting elettorale del suo partito,
l’Ump, in campagna per le legislative del 10 e
17 giugno, il Presidente ha ribadito che rispetterà
gli impegni presi con gli elettori: defiscalizzazione
degli straordinari, soppressione dei diritti di successione,
scudo fiscale, riduzione della patrimoniale e deduzione
degli interessi per l’acquisto della prima casa.
Il 4 giugno, invece, alla prima riunione dell’Eurogruppo
guidato dal premier lussemburghese Jean Claude Juncker,
il ministro francese dell’Economia, Jean Louis
Borloo, si è sentito ribadire che “la Francia
deve pienamente conformarsi al patto di crescita e stabilità,
tutte le buone o cattive idee devono rientrare nelle
regole del patto”. Del resto quale può
essere la credibilità e lo spazio di manovra
di un Sarkozy che pur ponendosi come grande propugnatore
di un governo economico della zona euro, intende allo
stesso tempo non rispettare le regole che i Ventisette
si sono dati sin qui?
Migliori i risultati in campo istituzionale. Dopo due
anni d’immobilità provocati dal “no”
francese e olandese al referendum sul Trattato costituzionale
europeo e alla lenta agonia del mandato di Jacques Chirac,
Sarkozy ha deciso di dare una sterzata netta. La Francia
è in effetti tornata in Europa e il nuovo Presidente
ha sfruttato il momento di crisi e di mancanza di leadership
nell’Ue per guidare un processo pragmatico e realista
che ha buon possibilità di portare le istituzioni
fuori dalla palude.
La sua idea è semplice. Alleggerire il precedente
testo - ratificato da 18 paesi, respinto da due e non
molto amato dagli altri - per trovare un accordo sui
punti che possono fare consenso tra i Ventisette. Sostanzialmente
si tratterebbe di emendare il trattato di Nizza, evitando
i referendum, per procedere subito ad estendere il voto
a maggioranza, per creare una presidenza stabile, un
ministro degli Esteri e per riconoscere giuridicamente
l’Ue.
La sera stessa del suo insediamento ufficiale all’Eliseo,
Sarkozy è volato dalla Merkel per preparare il
Consiglio europeo del 21 giugno. Nei giorni seguenti
ha incontrato Romano Prodi e José Luis Zapatero,
una visita determinante è prevista in Polonia,
mentre con Blair al tramonto si era già visto.
Di fronte alle recriminazioni di chi fino a ieri rifiutava
qualsiasi accordo al ribasso e di fronte alla riottosità
di coloro che non vedono di buon occhio un’eccessiva
integrazione politico-istituzionale, Sarkozy è
finora riuscito, grazie a concessioni e senso della
realtà, a trovare una convergenza sul trattato
semplificato e a rimandare le contraddizioni a più
tardi. Come quella, ad esempio, sull’adesione
della Turchia, che il Presidente francese ha sempre
avversato. Anzi, per preparare un’alternativa
a questa ha anche lanciato l’intenzione di creare
un’Unione mediterranea in cui i turchi avrebbero
un ruolo importante.
La Turchia si accontenterà di una soluzione
di ripiego? Gli altri partner europei saranno d’accordo
a rimangiarsi impegni già presi e sottoscritti
da anni? Ma queste sono questioni da discutere dopo
il Consiglio, quando, spera Sarkò, il suo prestigio
e la sua leadership saranno rafforzati da un accordo
che lui ha reso possibile. Si vedrà.
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