323 - 21.06.07


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L’Eliseo a scuola
da Machiavelli

Luca Sebastiani


Parigi - Nicolas Sarkozy è un grande uomo politico, su questo non c’è alcun dubbio. L’egemonia conquistata prima a destra e poi nel paese ne sono la testimonianza, il successo alle elezioni del sei maggio la conferma. La sua è una capacità politica pragmatica, un mimetismo mobile che si serve della comunicazione per infiltrare tutti i temi e rigirarli a proprio favore. Un pragmatismo che lo svincola da un’ideologia coattiva e gli rende movimento e spazio di manovra.

Questa libertà inspira il metodo che Sarkozy ha potuto sperimentare nei cinque anni passati nei governi di Jean Pierre Raffarin e Dominique de Villepin: creare campi di rapporti di forza in cui assumere la parte dell’oppositore al “vecchio”. Vecchio di volta in volta declinato come ciò che non funziona, ciò che ha portato la Francia o l’Europa sull’orlo del baratro, ciò che i francesi non vogliono, etc. Di fronte agli agenti della crisi Sarkozy è naturalmente il rinnovatore, quello che rimedierà ai danni perpetrati dagli “altri”. Altri che di volta in volta prendono nelle sue parole i sembianti dei socialisti, del Sessantotto, del Pensiero Unico, della Banca Centrale, dell’euro, etc.

Dietro l’immagine della rupture, martellante e totalizzante, la realtà di Sarkozy scompare e le sue contraddizioni si dileguano. Rimane il paladino del bene in perenne lotta con le forze del passato, ché per conservarsi nella posizione vincente Sarkozy è costretto a creare continui campi di forza manichei. Il risultato è l’individuazione infinita di nemici contro cui mobilitare le ansie del cittadino e trascinarlo in una campagna elettorale permanente. È dal 2002, da quella per l’elezione di Jacques Chirac, che Sarkozy è in campagna e i suoi primi giorni all’Eliseo non fanno presagire nessuna inversione di tendenza.

Del resto l’attivismo e l’esposizione sono necessità interne del sarkozismo, attributi che non si possono eclissare neanche di fronte alle istituzioni e alla presa di funzione ai vertici della Quinta Repubblica. In passato il Presidente della République si faceva necessariamente uomo ombra per incarnare una carica che Charles de Gaulle aveva voluto come non partigiana. Oggi invece, aiutato anche dalla riforma costituzionale del 2001 che ha accorciato di due anni il mandato presidenziale, il Presidente Sarkozy non può ritirarsi dalla ribalta, deve prendere in carico tutto per alimentare se stesso ed eliminare l’opposizione. Di fronte al neo Presidente sono gli altri ad entrare nell’ombra: il governo e il parlamento – esecutori della volontà emanante dall’Eliseo – e l’opposizione – ridotta al trascurabile rango del “vecchio”.

Di fronte al luccichio sfavillante della storia che Sarkozy continua a raccontare ai francesi e al mondo, le contraddizioni, dicevamo, scompaiono. Eppure sono abbondanti e già visibili nei primi giorni di mandato.

Esempi. Il debito pubblico: in campagna è una piaga da risanare, all’Eliseo un accessorio della crescita e dello sgravio fiscale. Il liberalismo: una necessità quando parla ai capitani d’azienda, un nemico quando si rivolge ai salariati che vuole proteggere. Lo statalismo: roba vecchia da socialisti, tranne quando la contingenza e lo spirito patriottico l’impongono.

Il pragmatismo sarkozista scopre le proprie contraddizioni alla prova della realtà, ma, da calcolata strategia, per ora a persistere è l’immagine del nuovo, del Presidente che fa jogging, attivissimo su tutti i fronti.

Presto, però, l’inquilino dell’Eliseo dovrà fare i conti con i grandi potentati finanziari e industriali, gli interessi rurali e la protesta operaia, cioè con la maggioranza sociale che lo ha portato dov’è. Il candidato Sarkozy li ha “pragmaticamente” messi insieme contro qualcosa (il vecchio, il pensiero unico, il sessantotto, i socialisti, l’assistenzialismo, etc.) e ora dovrà comporre positivamente gli interessi di tutti. Dalla parola alla prova dei fatti, dalla campagna al test del governo.

Quella parte maggioritaria della classe lavoratrice che prima delle ultime elezioni votava Le Pen, lo faceva per protesta e, non dovendo il lepenismo dar prova al governo, era in qualche modo la garanzia della protesta permanente. Ora che questo voto è diventato uno dei pilastri del blocco sociale sarkozista, il Presidente non ha alibi, tanto più che, dando una sterzata presidenzialista alle istituzioni della Quinta Repubblica, non potrà giovarsi neanche del Primo ministro fusibile da far saltare nei momenti di difficoltà. Anche per questo il pragmatismo sarkozista ha bisogno di essere continuamente in campagna, d’incarnare l’opposizione anche dal governo.

 



 

 

 

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